IL REDDITO DI “POVERTA'” DEL GOVERNO (ReI: reddito di inclusione)

IL REDDITO DI “POVERTA'” DEL GOVERNO (ReI: reddito di inclusione)

«Franza o Spagna, basta che se magna !».
È un motto che risale al medioevo (attribuito al Guicciardini) allorquando le diverse frammentazioni statali italiane parteggiavano ora per la Francia ora per la Spagna che si disputavano il dominio sia in Europa che sull’Italia.
Da allora sembra che nella “filosofia popolare” non sia cambiato molto (almeno per la massa) ma la responsabilità va ascritta alla classe politica che non è stata all’altezza del ruolo di educatrice per cui non è stata in grado di formare una coscienza democratica nei cittadini.
Oggi la faziosità dei mezzi d’informazione attribuisce ad un Movimento politico, che raccoglie grandi consensi tra le fasce emarginate (e per fortuna perché così si affievoliscono i contrasti sociali e le legittime aspettative s’incanalano nel solco della legalità), l’incapacità di “governare il Paese”, ma lo stesso giudizio negativo (sicuramente frettoloso e partigiano) si dovrebbe esprimere anche nei confronti dei partiti repubblicani che, tranne rari esempi di “statisti”, hanno espresso il lato peggiore della plebe.
La Repubblica, che è subentrata alla Monarchia, imponeva un’opera di costruzione della coscienza democratica. Il cittadino è altra cosa rispetto al suddito. Mentre il primo viene caricato della responsabilità di partecipare al governo della cosa pubblica, il secondo, invece, è soltanto un sottoposto, un “limitato politico” (tra il “sovrano” e il suddito non vi è alcuna eguaglianza né pari onori e dignità sociale ed economica).
Inoltre, il cittadino in democrazia deve vivere secondo il principio dell’eguaglianza; deve, cioè, sentirsi uguale a tutti gli altri cittadini, per cui nell’esercizio della sua attività o funzione pubblica deve agire con lo spirito di servizio.
Il suddito, invece, nella monarchia, opera nel nome del Re; è un suo funzionario, per cui la sua funzione è esercizio del potere sovrano.
Questa “mentalità” purtroppo non è stata mai cancellata dal modus agendi degli italiani, che peraltro hanno sempre conservato nel proprio seno dei semi di una monarchia nostalgica (che è probabile che ritorni negli anni a venire, in ossequio alla ciclicità delle Costituzioni).
Ma è ancora possibile rimediare agli errori del passato ? Forse si, e comunque bisogna provare a cambiare la rotta.
Tra i gravi problemi irrisolti dalla democrazia vi è anche quello del divario tra ricchi e poveri, tipici di un regime di governo monarchico e oligarchico che si fondano sulle ineguaglianze.
Aristotele raccomandava vivamente di “purificare” il regime di governo per impedire che nel governo democratico i cittadini avessero un comportamento tipico degli altri regimi e viceversa.
In quello democratico, perciò, costituzionalizzato in Italia, occorre agire per bonificarlo da tutte le incrostazioni normative e comportamentali che impediscono la realizzazione dell’eguaglianza sostanziale tra i cittadini.
L’art.3 della Carta, perciò, dovrà superare la sola eguaglianza formale (davanti alla legge) e riconoscere la piena eguaglianza sostanziale tra tutti i cittadini. In questo senso, quindi, dovrà essere modificata la Costituzione (e non, come è stato tentato di fare, di riconoscere al governo il ruolo di guida politica dell’assemblea parlamentare).
Il Governo ha di recente approvato il D. Lgs. 15 settembre 2017, n. 147, che, all’art. 2, comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2018, introduce il Reddito di inclusione – ReI, quale misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale; e, al comma 2., sancisce che “Il ReI è una misura a carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi e all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà”.
In questo modo il governo si propone di riformare l’area delle politiche socio-assistenziali al fine di dotare il nostro Paese di «una misura di contrasto della povertà».
Nella Relazione di presentazione del disegno di legge-delega al governo si legge: «Esistono strumenti di protezione del reddito di specifiche fasce di cittadini fragili – l’assegno sociale per gli anziani, la pensione di inabilità per gli invalidi civili – così come alcuni sostegni di portata limitata per le famiglie, tra cui alcuni di recente adozione – l’assegno per le famiglie con almeno tre figli minori, la social card per i bambini con meno di tre anni, il cosiddetto bonus bebé raddoppiato per le famiglie con redditi bassi – ma manca una misura organica che copra le necessità delle famiglie più vulnerabili e in condizioni economiche di bisogno, a partire da quelle con figli ».
Come si vede la logica è quella di “prendere due piccioni con una fava”.
Non c’è rimedio peggiore che quello di “condizionare” la risoluzione di un problema grave (come quello della povertà) con qualche altro “progetto” collegato, anche quando questo possa essere anch’esso meritevole dell’attenzione pubblica.
Si rischia, in questi casi, di perdere di vista la vera priorità, oppure di fare facile demagogia.
Se, infatti, l’esigenza è quella di intervenire per contrastare la povertà, come grave problema sociale, oltre che morale e civile, allora occorre avere a riferimento prima di tutto tale problema in sé.
L’inclusione sociale e lavorativa, invece, potranno trovare altra soluzione, ma non dovrebbero essere direttamente collegate, o, addirittura, condicio sine qua non, per essere beneficiari della provvidenza economica.
Non vi è dubbio che qualcuno potrebbe dire «meglio che niente», ma quando si affronta un problema serio come quello della lotta alla povertà non è proprio possibile graduare tra i poveri e lasciarne fuori tanti perché le risorse sono limitate.
Una politica seria affronta il problema, se decide di affrontarlo (e in questo caso fa bene a farlo), ma lo deve risolvere trovando le risorse necessarie.
Finora il Governo ha dato prova di non avere in grande considerazione il grave debito pubblico distribuendo bonus di 80 euro a pioggia, e di sicuro non in favore di coloro che erano da ritenersi “poveri”. Queste “elargizioni” hanno sottratto dalle casse dello Stato oltre venti miliardi di euro (a cui si potrebbero aggiungere i vari tickets di 500 euro per gli insegnanti e i diciottenni e gli aiuti contributivi per le assunzioni, ecc. ). E di certo non vi era alcuna necessità sociale, come invece vi è per affrontare il problema della povertà, che è anche morale oltre che politico.
L’auspicio, perciò, è che la lotta alla povertà divenga un problema democratico e che la spesa sia caricata sulla fiscalità generale.
Tutti i cittadini, perciò, dovranno partecipare alla soluzione del problema della povertà, rianimando, così, il senso della democrazia.
Indubbiamente la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche a volte angoscia i governi in carica, ma di certo non quelli illuminati che perfino la sollecitano (anche nelle chiamate referendarie !).
L’eguaglianza tra i cittadini è un elemento fondante e caratterizzante delle democrazie e quanto più nel Paese si manifestano le diseguaglianze tra ricchi e poveri tanto più si riduce il sentimento democratico.
Suscitare la partecipazione dei cittadini alla lotta contro la povertà può senz’altro essere un ottimo rimedio per “riammagliare” un tessuto sociale che, anche a causa della partigianeria dei partiti, arroccati gli uni contro gli altri con una logica “maggioritaria” della divisione di interessi, risulta globalmente lacerato.
Personalmente, ritengo che la migliore soluzione possibile sia quella del “reddito di esistenza” perché è collegato direttamente alla condizione umana, di ogni singolo uomo, prima che questi diventi “cittadino”.
In tale modo il titolare del “reddito di esistenza” si sottrae a qualunque dinamica partigiana dei partiti e non deve “barattare” il consenso per ricevere l’elargizione. Il suo diritto è un diritto naturale che preesiste alla stato di diritto, che, pertanto, lo deve soltanto “riconoscere” e soddisfare.
Inoltre, inserendolo in Costituzione, lo si sottrarrà a qualsiasi dinamica politica e a qualunque tipo di governo.
E il “reddito di esistenza” impedirà anche la nascita della povertà perché questa sarà bloccata sul nascere, per cui ci potranno essere soltanto differenti livelli di “ricchezze” ma mai più il divario di oggi che annulla la dignità di tantissimi cittadini poveri.

IL REDDITO DI “POVERTA'” DEL GOVERNO (ReI: reddito di inclusione)ultima modifica: 2017-12-05T12:30:10+01:00da rteo1