Rielaborazioni 3

Si chiamava Massimo. Eravamo in seconda liceo, e sin dal ginnasio mi ero convinto di amarlo. Gli anni sessanta, quelli della mia adolescenza, erano un mondo che non potete neppure immaginare se non l’avete vissuto, i Beatles, l’assassinio di J.F.Kennedy, del leader dei diritti civili Martin Luther King e il primo allunaggio, sono solo alcuni dei tanti accadimenti che hanno cambiato l’intera società scaraventandoci nei tempi moderni. In ogni caso, era il periodo delle prime proposte per la decriminalizzazione dell’omosessualità. Tutti al liceo, sapevano di noi due o tre omosessuali. Vi era curiosità, certo, condita da domande che oggi, educati per immagini da internet, sembrerebbero assurde: “Ma entra tutto?” era la seconda, sempre. Eravamo in una scuola statale, non in un collegio religioso dove vecchie tonache nel silenzio omertoso davano sfogo alla depravazione, vi era molta tolleranza e, sempre, molta buona educazione, tra ragazzi e insegnanti. In tre anni Massimo mi aveva concesso soltanto, una volta, durante la lezione di latino, di accarezzargli il polpaccio infilando la mano sotto i calzoni, gesto al quale era seguito un casuale sfiorargli il sesso diventato turgido. Saremmo potuti diventare buoni amici, non ci fosse stato di mezzo il mio desiderio, ma, lo avrete sperimentato, fra i quindici e i diciotto anni, saliamo uno dei gradini, che nella vita si susseguono portandoci alla consapevolezza e all’età adulta, la scala delle esperienze. Così un giorno, ricordo ancora, era un martedì, avevo appena terminato di leggere Kerouac, libro culto in quegli anni, dissi a Massimo che il venerdì successivo i miei genitori sarebbero partiti per un fine settimana nella capitale con rientro previsto per il lunedì pomeriggio. Massimo veniva ogni mattina a Milano dalla periferia, gli spiegai che da venerdì fino a lunedì mattino sarei stato solo a casa. Dato che casa mia era a dieci minuti a piedi dal liceo perché non venire a studiare e a dormire da me.
Alla proposta mi lanciò uno sguardo che già mi aspettavo. Gli promisi solennemente che non ci avrei provato, non lo avrei sfiorato neppure con un dito. Sarebbe stato mio ospite in tutto, pranzo e cena e ci saremmo recati nei locali di Brera popolati dagli artisti e da personaggi della politica. Massimo sembrava poco convinto ma io mi lanciai in una delle mie migliori interpretazioni: “Ti prego decidi di sì, fallo per quando saremo vecchi, ricorderemo un divertente fine settimana insieme da amici fraterni”.
“Un fine settimana, ma cosa dico ai miei?”
“La verità, che un compagno di classe ti ha invitato a casa sua. Non occorre specificare che il compagno è dell’altra sponda. E visto che tu credi in Dio questa buona azione non verrà dimenticata”.
Accettò e furono giorni meravigliosi. Fu la mia prima esperienza di vita di coppia. Massimo si era portato solo due paia di slip ma dato che avevamo la stessa taglia fui ben felice di prestargli tutto il mio guardaroba. Tutti gli indumenti da lui indossati non furono lavati, ma da me conservati in buste di plastica per conservarne odore e sapore e li indossai giorni dopo come in un indimenticabile e meraviglioso amplesso. Si dormiva insieme nel lettone dei miei, sfiniti da grandi discorsi adolescenziali sui massimi sistemi e sulla nostra incontenibile voglia di cambiare il mondo, ascoltando musica fino a tardi. Al mattino, sfiorandoci con mani e gambe, si studiava seduti al tavolo della sala, nel pomeriggio si usciva nel centro elegante di Milano che per Massimo era una continua scoperta. Sabato dopo cena gli chiesi se potevo lavargli la schiena, una schiena bella, forte, maschia, sensuale, le mie mani scorrevano ogni muscolo, le scapole, la spina dorsale. Dopo cercai una scusa per andare a masturbarmi, lui capì e mi disse di farlo lì e mi guardò mentre godevo della sua schiena appena toccata e del sapone che scorreva sulla sua pelle. Quella notte, verso le due, per sua iniziativa mi prese, con forte dolcezza, senza parole, posò il suo pene eretto alla mia schiena, lo fece scivolare e dopo averlo insalivato, si insinuò tra le mie natiche e spinse per entrare ansimando sul mio collo. E poi ancora la notte tra domenica e lunedì, a luci spente mi fece inginocchiare e me lo ficcò in gola fino a venire. Eravamo un po’ goffi, impacciati. Erano le prime scoperte sessuali. Nessuno di noi fece cenno di ciò che era accaduto, né le mattine seguenti né mai. Dopo il nostro fine settimana insieme tutto riprese come prima. Fino a tre giorni prima delle vacanze estive quando mi diede una busta chiusa, dicendomi di aprirla da solo. L’autunno successivo, ultimo anno di liceo, non era più fra gli iscritti. Né mai riuscii a rintracciarlo.
E adesso che il tempo è trascorso ed io sono vecchio, nei pomeriggi in cui la malinconia è come l’onda della marea, sfilo da quella busta la grande foto in bianco e nero di lui, nudo splendido e in eterno giovane come un eroe, Massimo fermato per sempre nel fulgore dei suoi diciotto anni, tutta la vita ancora davanti a sé piena di promesse e d’ignoto.

“Forse cercare significati fisici e metaforici è una maniera maldestra per capire cosa succede quando due esseri umani hanno bisogno non solo di stare insieme, ma di diventare così totalmente duttili che ognuno si trasforma nell’altro. Essere ciò che sono grazie a te. Essere ciò che era grazie a me. Essere nella sua bocca mentre lui era nella mia, e non sapere più se era il mio o il suo uccello che avevo in bocca. Lui era il passaggio segreto che mi conduceva a me stesso, come un catalizzatore che ci consente di diventare ciò che siamo, il corpo estraneo, l’innesto, il cuore di un altro uomo che ci rende più noi stessi di quanto non eravamo prima del trapianto”.

 

Nota: le rielaborazioni sono destinate ad un sito di racconti erotici.
In questo periodo in cui nulla accade aiutano a trascorrere il tempo.

Rielaborazioni 2

Mi trovo alla scuola di ballo per disdire le lezioni omaggio, e, più volte, senza successo, ho cercato di attirare l’attenzione dell’attempata receptionist. Finalmente, la donna, si rivolge a me con un sorriso e senza ascoltarmi, dice: ”Cara, prima di tutto, deve scegliere un maestro”, e mi indica con la mano le foto di tre uomini e tre donne. Provo gentilmente a chiederle di non chiamarmi “cara”, ma si è già girata verso un altro cliente. Distrattamente guardo le foto che mi ha mostrato e una attira la mia attenzione. Sono così assorta che non mi accorgo che la receptionist è tornata con l’agenda e cinguetta allegra: ”Vedo che ha scelto la nostra Lori. Ottimo. Ha molta esperienza. Le va bene martedì, cara?”. Senza capire bene come, mi ritrovo con in mano il biglietto promemoria della mia prima lezione. Esco dalla scuola di ballo pensando che le cose non sono andate esattamente come volevo, ma la foto di Lori mi ha colpito. Sono sempre stata attratta dalle donne. Ho avuto una storia importante ora finita e in questo periodo sono annoiata, forse le lezioni con una bella donna possono dare brio a serate piatte.
Martedì, senza ben sapere cosa aspettarmi, mi presento con la mano tesa e Lori con un sorriso meraviglioso la fa scivolare sul suo fianco, spiegandomi che nel ballo, per prima cosa, devo prendere confidenza con il corpo del partner. Mi spiega: “Il ballo è un abbraccio, è un modo di camminare abbracciato ad una persona. Riuscire a comprendersi in questa camminata è come realizzare il miracolo di due persone che si muovono insieme nel mondo”. Rimango affascinata dalle sue parole e dal modo di muoversi. Siamo l’una di fronte all’altra, – e, sempre sorridendo continua la lezione: ”Il primo passo è imparare la postura. Busto eretto e immagina una coperta leggera sul braccio destro con cui avvolgermi”. La cingo con delicatezza, tra il punto vita e le scapole. Sento sotto la maglietta sottile la spallina del reggiseno. Lei appoggia con eleganza il braccio sinistro sul mio destro e con la mano arriva quasi al centro della schiena. Quel tocco mi dà un brivido. Ora le mani: la mia sinistra accoglie la sua destra, palmo contro palmo. Siamo in contatto, e il mio lato destro aderisce perfettamente al suo sinistro. Mi accorgo in questo abbraccio, della sua fisicità prorompente, il calore del suo corpo contro il mio, il seno perfetto, le gambe tornite da anni di allenamento. Ne seguo i movimenti, cercando di concentrami sui passi, mi ingarbuglio nei miei stessi piedi. Lei ripete instancabile. Al termine di quaranta minuti disastrosi mi congeda con un sorriso e con l’invito a rivederci martedì prossimo.
In men che non si dica, i miei martedì diventano un appuntamento che bramo tutta la settimana. Imparo, con impegno, la “salida basica”, la “parada”, ma è nella rotazione della “sacada” quando Lori appoggia la coscia alla mia, o nel “gancio” quando indugia il contatto con la mia gamba, che sento la mia eccitazione salire. E’ sempre molto professionale, ma nei ripetuti contatti che abbiamo rallenta sempre un po’ di più il movimento. Prendo coraggio e la invito per un caffè e lei, con sorpresa, mi propone casa sua. Accetto. Mentre guida parla. Parla entrando in casa. Parla salendo le scale, davanti a me, gradino dopo gradino, rallentando il passo per cuocermi lentamente. Nell’androne non parla più. Mi ha già messo la lingua in bocca, con una mano mi slaccia la camicia e con l’altra i pantaloni. Tutta la nostra stoffa cade sul pavimento e le mie mani cercano la sua pelle. I baci sul collo. La sua voglia. La mia voglia. Il suo corpo freme di piccole scosse. Le sue cosce mi stringono in paradiso.
I nostri martedì non sono lezioni di ballo. Sono i nostri corpi che si intrecciano sulle note di un tango, e io penso che il mondo gira perché lei gira con me in passi di danza orizzontali. Il rapporto tra due donne è speciale, ti travolge la testa, ti spacca il cuore e ti toglie il respiro.
Lori diventa il mio primo pensiero. Un desiderio che vive in funzione del tempo che ci divide dall’ultimo incontro al prossimo.
Non immaginavo che potesse finire all’improvviso, ma come lei mi spiegò in seguito: finisce tutto ciò a cui non si può dare un nome. Me ne accorgo solo ora ripensandoci, non aveva mai dato un nome ai nostri incontri. Mi faceva entrare in casa di nascosto. Nessuno sapeva di me. Nessuno sapeva di noi.
Chiusa la questione con me, ora ha un nuovo gioco, un uomo. Dovrei farmene una ragione, invece, alla sera, passo davanti a casa sua, vedo l’auto del nuovo amico e riesco ad immaginare il palestrato torello che, dopo la monta, si sistema il pacco prima di salire in macchina.
A me non è rimasto nulla solo il silenzio. Non risponde più alle mie chiamate; non legge i miei messaggi. Mi ignora completamente.
E’ notte e sono qui, sul retro di casa sua, nascosta nelle ombre. Aspetto, vedo il suo uomo uscire, prendere l’auto e andarsene. So dove Lori tiene la chiave di scorta. La prendo ed entro in casa. La musica, che proviene dal piano di sopra, attutisce i miei passi mentre salgo le scale. Apro la porta e la prima cosa che vedo è una bottiglia di vino vuota con due bicchieri lasciata sul tavolo rotondo. C’è odore di sigaretta. Trattengo il fiato e la cerco. Le voglio parlare, le voglio spiegare ciò che sto provando, la sofferenza, l’amarezza, il mio desiderio. Mentalmente mi sono preparata un bel discorso di quelli che si fanno solo una volta nella vita. Lori è in camera da letto, nuda, forse stanca, sicuramente appagata. Mi dà la schiena e non si accorge di me e del laccio rosso che è comparso tra le mie mani. L’ho sfilato dalla tasca e lo tendo tra le dita, è un attimo metterglielo al collo, su quella curva che ho baciato cento volte. La sorpresa e l’alcool giocano a mio favore. Stringo il laccio con tutte le mie forze. La tiro a me in un abbraccio. Scalpita. Si affanna per ritrovare il respiro. Si muove come in una danza. Con le mani cerca di allentare la stretta. Siamo nuovamente in contatto. La sua schiena aderisce perfettamente al mio petto. Sento il suo calore. Respiro il suo odore. L’adrenalina mi inonda, mi trasporta ad una eccitazione mai provata. Godo di quell’abbraccio mortale. Stringo sempre di più, sento la vita che l’abbandona, i suoi occhi si chiudono piano, un rantolo esce dalle sue labbra ed io raggiungo il massimo del piacere nel momento in cui si spegne tra le mie braccia. Cadiamo a terra, due persone immobili nel mondo.
Ora lei è soltanto mia.

** fatti e persone sono di pura fantasia.

Rielaborazioni 1

Lei è sotto la doccia. L’acqua le cade sul corpo e vi indugia formando repentini rigagnoli nell’abisso di quei seni che hai baciato, morso e succhiato per ore. A tempo con lo scroscio d’acqua del soffione apri il rubinetto e riempi la caldaia della moka fino alla valvola. Inserisci il filtro e inizi a mettere i caffè, con gesti lenti per non disperdere la polvere, intanto sorridi per quel colore marrone che si sovrappone e che ti riporta ai ciuffi della notte appena finita. Avviti con cura la parte superiore e mentre appoggi la moka sul fornello accesso, lei appare col tuo accappatoio annodato in maniera bislacca. Puoi vederle le cosce splendide, ancora umide, socchiudi gli occhi e sei colpito dal profumo, non sai distinguere se è il bagnoschiuma che ha usato o le rose che hai comprato la sera prima. È tutto un attimo, lei sparisce nuovamente in bagno e i tuoi pensieri vengono distolti da un leggero borbottio. Il caffè sale ràpido e per la cucina si espande il suo aroma. Ora lei appare con un asciugamano annodato come un turbante, puoi vederle la nuca, il collo liscio. Una ciocca di capelli sfugge alle costrizioni della spugna e aderisce alla pelle in un ricciolo nero. Lei si siede, lo fai anche tu, e davanti a voi il silenzio prende posto.
Servi il caffè, tendi verso di lei la mano con la tazzina piena, riempi la tua, con lo sguardo le offri lo zucchero appoggiato sul tavolo. Lei non ne vuole. Con il cucchiaino compi brevi movimenti, finché lo zucchero non è completamente disciolto, la guardi rispettando il silenzio di questa mattina che mangia la notte appena passata. Alla fine è lei la prima ad assaggiare il caffè e, lì per lì, pensi che forse la tazza è sporca. Ma lei dice:
“Mi piace nero, bollente, ma questo è freddo”.
Rimani di stucco. Non hai tempo di replicare. Lei si alza, va in camera da letto. Senti il fruscio dei suoi abiti raccolti in giro per la stanza. Porti la tua tazzina alle labbra e ti accorgi che anche il tuo caffè è freddo. Prendi le tazze e la caffettiera, rovesci tutto il liquido nel lavandino. Sciacqui e ricominci con perizia a riempire d’acqua e di caffè la moka. Calcoli che sia tutto corretto. Rimani in piedi aspettando che la caldaia entri in pressione e che, goccia a goccia, il caffè salga nel bricco, ascolti i rumori, ne annusi l’aroma. Prendi due tazzine pulite, le riempi e le appoggi sul tavolo. Lei arriva vestita come la sera prima, con la camicetta che le hai tolto e la gonna che le hai sfilato. Accende una sigaretta e avvicina la tazzina ma subito la spinge via. Non ha bevuto, ma lo sa. Te lo dice in silenzio. Te lo dice attraverso il fumo che esce dalle labbra.
Tocchi la tazzina ed è fredda.
Una sensazione di gelo ti attanaglia la gola. Vuoi parlare ma non riesci a dire una parola. Vuoi spiegare che lo puoi rifare, un altro tentativo.
Lei si alza. Prende la borsa, cerca le chiavi dell’auto. Si prepara. Prima di aprire la porta si volta e appoggia le sue labbra alle tue in un bacio che è freddo come il tuo caffè.

Rielaborazioni per ingannare il covid.

Covid’s World

Prendo spunto da un post*   letto oggi, ma soprattutto dall’immagine che accompagna lo scritto, il noto quadro di Andrew Wyeth – “Christina’s world”.
Il quadro ritrae una giovane che sembra, ad un primo sguardo, sdraiata nell’erba, con più attenzione si nota una postura del corpo non naturale, tesa verso la casa lontana. Christina è affetta da disabilità motoria e caparbiamente preferiva spostarsi con la sola forza delle braccia trascinandosi piuttosto che usare la sedia a rotelle. Wyeth è riuscito a trasmettere un paesaggio al contempo sia dolce che amaro; un paesaggio sentito ed elaborato.

Come tutti, soffro questo tempo di covid che mi ha privato di ogni sistematica abitudine: i film al cinema d’essai, con annesse chiacchiere con i titolari sulle ultime uscite.  I concerti, l’ultimo di Paolo Fresu. Le mostre. Le uscite fotografiche. Le visite agli amici. Le cene con il mio più caro amico.

A Christina è stata offerta la possibilità di usare le braccia per opporsi al suo male.

A noi è stata offerta la privazione di tutto su un piatto d’argento.

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*) il blog di bisou_fatal

 

Lorella

Ho conosciuto Lorella nella primavera del 2011 attraverso un profilo ospitato sulla piattaforma di Libero. Mi ha inviato un messaggio e nel giro di pochi giorni abbiamo preso un caffè in un bar del mio paesello. Donna di poche parole, ci eravamo lasciate con la promessa di sentirci per definire un incontro. Dopo alcuni messaggi si era dileguata adducendo ad un peggioramento del suo stato di salute, soffriva di emicrania.

É ricomparsa alcuni mesi più tardi, con un messaggio, dopo alcuni tentativi di combinare l’incontro, non gradiva il posto, il giorno, l’orario… ho lasciato cadere nel silenzio ogni risposta.

Nel corso degli anni successivi si é fatta risentire un paio di volte. Due brevi messaggi inconcludenti. Poi il nulla.

Dopo anni, mi ricontatta chiedendomi di andare da lei una sera. Ci accordiamo, era il 9 dicembre 2016, un venerdì. Mi ha accolto in casa sua vestita di un bellissimo maglione oversize che in meno di un battito di ciglia era sul pavimento…

Lorella, é la donna più bella che io abbia frequentato, maestra di ballo con alle spalle diversi campionati mondiali nella sua disciplina (latino-americano), spigliata, spavalda, menefreghista, indomabile stronza. Ha collezionato apparizioni in fiction, in trasmissioni di intrattenimento e qualche contratto in emittenti secondarie.

Bionda, occhi azzurri, gambe tornite, terza di seno, un debole per le bollicine, non ha mai letto un libro in vita sua, se non quelli relativi al ballo e al suo insegnamento, di cui é molto apprezzata.

Ho visto lo stupore e l’invidia negli occhi dei miei due amici di merende al ritorno da una cena, quando mi sono posizionata sotto un manifesto pubblicitario 6×3 che la ritraeva e indicandolo ho detto: “é lei”. Ammetto di aver gongolato un po’ … ma ho anche faticato parecchio…

In principio le donai un libro, pensando di fare cosa gradita, lo rifiutò dicendomi che leggeva solo riviste quando andava a farsi i capelli…

Ad un altro invito le portai dei fiori con un biglietto, gradì poco, mi disse che non era romantica, le poesie non le capiva…

Dopo alcuni goffi tentativi di renderla partecipe dei miei interessi, mi specificò che non ne sentiva la necessità e che da me voleva sesso.

“Mi devi scopare forte” queste le sue parole… che per una donna, della mia corporatura, il “forte” é impegnativo, avrei preferito un “dolce” ma le carinerie non rientrano nel suo modo di essere…

Finalmente, in uno dei pochi dialoghi che abbiamo avuto, scopro che ama la “bolla”.

Da quel giorno mi sono sempre presentata agli appuntamenti con una bottiglia comprata in una enoteca molto fornita. Ricordo la prima volta che ne ho varcato la soglia mi ha accolto il proprietario apostrofandomi che era in chiusura.

Shelt:”faccio in fretta, ho bisogno una bottiglia …”

Proprietario:”se é venuta da me é naturale che abbia bisogno di una bottiglia…”

Shelt:”bollicine…”

Per ogni appuntamento ho portato una bottiglia consigliata da questa persona che ammiccando mi riceveva con un “bollicine?”.

Le scelte sono sempre state apprezzate e ne riporto una parte a “piè-post”.

A Lorella sono molto affezionata. Nei nostri incontri di “sesso forte”, immancabilmente mi chiedeva di far combaciare accuratamente la sua schiena al mio ventre, le mie braccia scivolavano sotto le sue in un abbraccio e il mio viso affondava tra i suoi capelli, qualcuno ha scritto: come in un disegno in un libro di scienze, un frutto tagliato a metà, io la buccia e lei il torsolo.


Bolle & C.

Domaine Gauby 2013 Vieilles Vignes

Champagne Henriot, il Blanc de Blancs

Champagne Krug

Champagne Comte de Senneval

Metodo Classico Extra brut Jad’Or Rosè

Spumante Marchesi Guerrieri Gonzaga, il Blanc de Blancs Pas Dosé

Champagne Brut ‘Vintage’ Pol Roger

Prosecco Conegliano Valdobbiadene

Champagne Brut Premier Louis Roederer

Prosecco Rive di San Pietro di Barbozza Millesimato

Champagne AOC Brut La Cuvée Laurent Perrier

Pinot Bianco Riserva Vorberg Cantina Terlano

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Millesimato Casa Vittorino

Franciacorta Extra Brut DOCG “Anthologie Blanc” 2012 – Stefano Camilucci

Spumante Brut Riserva ‘Graal’ Altemasi Trento

Pinot Bianco Solo Bastianich

Ribolla gialla Martagona spumante Monviert

Monica

Pied de poule

Mi ero completamente dimenticata di lei.

Sono trascorsi anni dalla nostra frequentazione e avevo rimosso ma poi capita che i ricordi ritornino all’improvviso scatenati da un gesto, un colore, un profumo intenso … o come nel mio caso da un tessuto. In un negozio ho trovato una giacca pied de poule e mi sono messa a pensare dove mai l’avessi vista e … tac … mi è tornata in mente, Monica possedeva una giacca pied de poule molto simile a quella che mi guardava, con aria di sfida, dall’appendino.

Monica è un’estetista della mia zona, anzi per la precisione, massoterapista… no, non mi ha mai fatto un massaggio anche se mi riceveva nel suo studio il venerdì. Una bella donna, capelli lunghi neri, carnagione scura, labbra carnose, magra e tonica. Mi apriva la porta indossando un’uniforme bianca da infermiera che si sfilava quasi subito sorridendo. Si spogliava con molta grazia, lasciando cadere gli indumenti, girava su se stessa per mostrarmi la sua bellezza e poi iniziava a spogliare me.

Ricordo la sua pelle morbida e liscia. Le sue mani una carezza tra i miei capelli. Tra le sue gambe ascoltavo tutto quello che voleva raccontarmi.

Era stata adottata con la sorella da due famiglie che fortunatamente abitavano a poca distanza, erano in contatto e si frequentavano. Da poco aveva scoperto che aveva altre sorelle e altri fratelli, forse una dozzina in totale, una storia di povertà del sud, i figli erano stati tolti ad uno ad uno e adottati da famiglie in tutta Italia ed ora volevano ritrovarsi e conoscersi. Il grande raduno, lo chiamava, con le rispettive famiglie, figli e vite da raccontarsi. Voleva scrivere un libro sulle emozioni provate. Voleva organizzare il grande raduno. Non so come sia andata a finire.

Monica era, con me, una donna calda, si lasciava andare, era eccitante molto eccitante in ogni bacio in ogni carezza. Quello che non so dire è se era far l’amore o del semplice sesso, se c’era, in quello star bene, del sentimento, qualsiasi cosa fosse si è spento presto.

Nel negozio prendo la manica della giacca … no, non si può dire che sia un bel capo di abbigliamento.

La vie d’Adèle

di Adellatif Kechiche

Il film dura, per la precisione, 179 minuti, da me sofferti dal primo all’ultimo, in particolare alcuni tratti della vita di Adele (che ho sentito molto miei) come: i primi turbamenti vicino ad una compagna di scuola, la scena crudele delle amiche a scuola che l’accusano di essere lesbica e il senso di solitudine nel rapporto sentimentale che la spinge al tradimento. La struttura tecnica del film è particolare, ci sono primi piani strettissimi sulla protagonista, quasi il regista ne voglia scandagliare l’anima avvicinando, facendo penetrare lo sguardo attraverso la pelle… alla fine, devo ammettere, è soffocante, quasi viene voglia di alzarsi e allontanarsi, andare in fondo alla sala, guardare lo schermo da lontano per prendere respiro e io ero in terz’ultima fila. Kechiche fin dall’inizio indica la strada che intende percorrere (molto molto tortuosa) con la lettura in classe di ‘La vie de Marianne ‘ di Marivaux. La prima scena è, proprio, una studentessa che legge ad alta voce il romanzo “Me ne andavo con un cuore cui mancava qualcosa, senza sapere cosa fosse”, il professore incalza gli alunni domandando: “E che cosa vuol dire, che manca qualcosa nel cuore?”, si apre il dibattito a cui tutta la scolaresca, maschi e femmine, partecipa.

 La chiave di lettura sta, quindi, nell’evoluzione di un innamoramento, di un amore. Tutto il film è un punto di osservazione privilegiato di questa parabola. A prescindere dal sesso dei protagonisti, come è stato ribadito dal regista. (Riflessione: ma se i protagonisti fossero stati un ragazzo e una ragazza ci sarebbe stata una cassa di risonanza così ampia?).
 Ci si deve attenere a quella chiave di lettura anche perché se uno spettatore volesse sviluppare la storia di Adele ed Emma su un asse temporale si trova in difficoltà.
 Adele è al liceo vive con i genitori, si innamora di Emma.
 Poi per magia insegna (ma non doveva andare all’università?) e convive con Emma (i genitori sono completamente spariti, non ci è dato di sapere se Adele ha fatto coming-out ).
 Ad un tratto Adele si sente sola (per una serie di motivi comuni a tutti i rapporti affettivi omo/etero) e tradisce Emma, questa lo scopre e la butta fuori di casa.
 Passano tre anni (deduzione perché viene indicata l’età della figlia della nuova compagna di Emma) e Adele invita Emma a parlare in un bar, questa è una scena importante perché evidenzia il legame carnale delle due. Non è la prima volta che in un film che tratta di un legame lesbo viene inserita una scena di questo genere, è una scena violenta ed è un’invocazione di pietà al tempo stesso, per un amore finito e non finito, per qualcosa di irripetibile, per il chiedere di ricominciare, per il non sapere spiegare quel lacerante dolore dell’anima, ecco che nel cuore manca qualcosa e si comprende ora che cos’è.

Ci sarebbe tanto da dire, perché nelle tre ore viene toccato tutto, crisi adolescenziali, omosessualità, intolleranza, differenze di ceto sociale, le vocazioni artistiche e non, preconcetti, turbamenti, insofferenze, incoerenze, bulimia.

 Negatività:
 Non mi sono piaciuti i continui pianti, (forse perché io reagivo al dolore in maniera differente)

Sesso:
Le scene di sesso sbandierate su tutti i giornali sono molto tecniche. Nel senso che amore e passionalità sfociano nell’improvvisazione e nel gioco, qui han dato sfoggio di grande metodo, c’è il kamasustra completo, non hanno dimenticato nessuna posizione. Ho avuto la sensazione che oltre alla carnalità sbandierata dal regista c’è anche molta morbosità.

Circolarità:

La scena del colpo di fulmine quando Adele vede Emma per la prima volta. Emma ha i capelli blu. Quando l’amore finisce Emma ha i capelli normali. Adele nelle ultime scene del film indossa un abito blu, è pronta per un nuovo amore (arriverà il capitolo tre, come 1Q84 di Murakami? )

Incoerenza:

Su una rivista di cinema collocano la giovane Adele liceale alla fine degli anni novanta, eppure lei balla durante la festa del suo compleanno sulle note di I follow rivers, del 2011.

Annamaria – La Timida

Timida si è graziosamente presentata lasciando un breve saluto nella mia messaggeria. Abbiamo iniziato a dialogare parlando del tempo e di altre banalità.
– Facciamo quattro chiacchiere per conoscerci meglio …
Così mi aveva scritto. Poi mi era caduto l’occhio su un banner lampeggiante nel suo profilo che non passava inosservato
Shelt – C’è una cosa che mi incuriosisce, perché sul tuo profilo c’è scritto “Proprietà di xxx” ?
Timida – Perchè gli Appartengo…
Shelt (a volte afferro i concetti con lentezza) – Pratichi BDSM? Questo xxx è il tuo Master?
Timida (ma non troppo a quanto pare) – Abbiamo una relazione D/s
Shelt – La relazione di dominazione/sottomissione è reale o si tratta di scene?
Timida (puntigliosa) – La relazione D/s è reale. Il mio Master mi sta portando alla scoperta di questo mondo, mi sta istruendo ad essere una slave, risvegliando in me sensazioni intime mai provate …
Shelt (con una velata ironia) – Ti ha già donato il collare? Magari con la piastrina in argento?
Timida (ma calata nel ruolo di slave) – Si, certo. Donare il collare ha il significato di rendere consapevole  il bottom della sua nuova condizione. Io sono slave per rendere felice il mio Master.
Shelt (felice lui a darle mazzate, felice lei a prenderle) – E ti ha ‘donato’ anche un head harness?
Timida – Non ancora sono all’inizio del mio percorso. Guarda non è mia intenzione coinvolgerti in questo discorso e soprattutto stravolgerti da vanilla.
Shelt (vanilla a me??) – Veramente io non sono né stravolta, né sconvolta. Devi essere un’abile organizzatrice per incastrare tutti questi “impegni”.
Timida (ma risoluta) – ogni relazione da qualcosa di diverso, con il mio compagno ho una relazione stabile, ordinaria, a volte un pò noiosa, ma comunque profonda e bella, con dei desideri futuri di famiglia. Con il mio Master ho una relazione che mi fa mettere in discussione con me stessa, che mi fa provare sensazioni mai nemmeno immaginate, trasgressive (è complicato da spiegare). non viviamo vicini, ma è una relazione profonda quella che è nata. Una relazione con una donna sarebbe un altro aspetto dell’amore, un’amica su cui poter contare… penso che la vita sia una sola e voglio viverla con questa consapevolezza.
Shelt – Credo che per alcune (privilegiate) persone la giornata non sia di 24 ore ma di 36 …

Esempio di offerta (Bondage-Domination-Sado-Masochism):

“Obbedire deriva da ob audire ascoltare stando di fronte, porsi in ascolto in maniera vigile e consapevole, ma soprattutto libera. La condizione di porsi liberamente e consapevolmente in una condizione di obbedienza è infatti fortemente liberatoria. Voglio che tu faccia ciò che più desideri e più ti terrorizza. Abbandonare il controllo del tuo corpo e della tua mente e affidarlo ad un Padrone Dolce, Comprensivo , ma Esigente. La Dominanza è uno stato dell’ Animo e del Fisico, così come la sottomissione è la tua inevitabile natura di schiava. Voglio in regalo il tuo corpo e la tua mente e ti porterò molto lontano , proprio dentro la parte più recondita del tuo animo. Voglio che tu senta il tuo corpo , dal collo in giù, non più tuo, ma un prezioso pasto a disposizione del Padrone, della sua dolcezza e della sua misurata severità. Sarai sottoposta ad un raffinato dressage, ma anche a sessioni severe. Sono un espertissimo Master molto cerebrale , ma anche molto severo. Sarò comprensivo, paterno, dolce , esigente ed inflessibile”.
Appunti per il futuro:
evitare contatti con donne slave o similari

Paola

Cronaca di un disamore (estratti di corrispondenza)

Si parlava di dichiarazioni, dell’innamoramento e dell’amore. Tu mi domandavi: “Se hai la certezza di non essere corrisposti, perché mai dichiararsi? In fondo è un farsi del male”.
E’ vero, il dolore per un amore non corrisposto è enorme e rende pazzi. Sono una persona che non si innamora tanto facilmente. Un sentimento così intenso l’ho provato solo nel periodo tra l’adolescenza e la giovinezza, forse perché era puro e non contaminato da logiche di interesse o forse perché era il periodo in cui non avevo ali ma potevo volare ugualmente.

Ho conosciuto Paola il primo anno delle superiori. Era seduta nel banco davanti al mio. Il primo giorno di scuola si è voltata verso di me e mi ha detto “piacere, mi chiamo Paola”. L’ultimo sole di settembre invadeva l’aula e faceva caldo.

Trovo incredibile come certe sensazioni provate in un attimo lontano della propria vita siano indelebili, indimenticabili e riaffiorino alla mente nel corso degli anni quando meno te l’aspetti forse per un confronto con il sentimento corrente che, in comparazione, ne esce sempre meno intenso di quello lontano …Naturalmente lei non poteva interessarsi a me per ovvie ragioni che avevo analizzato, quindi sapevo benissimo a quale delusione andavo incontro … ma … c’è un ma, io pensavo a lei sempre, era diventata un’ossessione, così ho deciso di parlarle, le ho detto che l’amavo e che il giorno mi sembrava bello solo se c’era lei vicino a me. Una dichiarazione fatta con addosso i miei pochi anni, niente da offrire, nessun futuro, nessun passato, solo la mia persona, davanti a lei, indifesa. Non avevo corazze in quel momento ed è stato devastante. Come nei più grandi romanzi pensavo che non avrei superato la situazione, per vergogna volevo morire, immaginavo i suicidi più assurdi per porre fine alla mia sofferenza. Poi con molta lentezza è passato lasciando solo le sensazioni più belle, il suo odore, il calore del suo corpo quelle poche volte che l’ho abbracciata e tenuta stretta.

La vita non è rischio calcolato molto spesso è una serie di imprevisti a cui bisogna far fronte senza preparazione.
Ho rincorso Paola per cinque anni. Avrei fatto di tutto per lei. A lei non è mai interessato.
Si è sempre tesi verso persone interessanti e carismatiche. Il resto dell’umanità, chi non ha niente e non è niente, viene tollerato con un senso di fastidio. 

In questi anni ne ho seguito il percorso di vita: matrimonio, lavoro, figli, separazione. L’ho vista qualche volta, da lontano. I saluti non sono mai stati indispensabili. Ma c’era in me la voglia di volerle parlare. C’era la mia esigenza di comunicare con lei.  In verità, cresceva il desiderio di riprovare quella sensazione, ripercorrerla nelle viscere, quell’emozione che sopravvive al tempo e alla distanza.

Ho digitato il suo nome in facebook, il rigattiere delle amicizie, e lei si è materializzata davanti. Le ho scritto con un nickname, lei ha risposto, credendo di avere a che fare con un uomo.

La solitudine è un vuoto da riempire, anche solo di parole.

Dopo un anno di corrispondenza le dico chi sono. Non si arrabbia, anzi mi vuole incontrare. Ci vediamo e ci sentiamo in continuazione al telefono, lei sta attraversando un brutto periodo con il nuovo compagno e ha grossi problemi con i figli. Le sto vicino per come mi è possibile, non le do consigli, la faccio solo ragionare su particolari che a me sembrano importanti e che a lei sfuggono. L’evoluzione della situazione è positiva, le cose migliorano, mi ringrazia, a quanto pare la mia amicizia è servita, le sono stata utile e la cosa mi fa piacere…

anche se … durante i nostri dialoghi, che, in realtà, erano i suoi monologhi, mi sono accorta che ha paura di rimanere sola e sta cercando a tutti i costi di “ricollocarsi” con un “qualsiasi uomo”.

Anche se in certi momenti il suo modo di esprimersi mi irrita, la trovo molto superficiale e mi infastidisce che indichi il suo compagno usando aggettivi dispregiativi.

Anche se scopro, casualmente, che mi usa come scusa per uscire a cena con “non so chi”.

Anche se mi incontra nei (cronometrati) ritagli di tempo.

Anche se mi messaggia (le lunghe telefonate sono una pratica lontana) che compra casa con il compagno (quello che insulta in continuazione) dopo un mese dall’aver ottenuto il divorzio.

Anche se muore mio padre e lei non può farmi le condoglianze di persona dato che il santo rosario cade proprio nell’ora dell’aperitivo festivo e il funerale nell’orario lavorativo.

Anche se dopo poco viene ricoverato il suo, di padre, e mi manda un sms allarmata augurandosi che non capiti la stessa cosa che è capitata al mio …

Sorvolo sul resto e torno alla domanda iniziale:

“Se hai la certezza di non essere corrisposti, perché mai dichiararsi? In fondo è un farsi del male”.

Si, è vero ma ci vuole tempo per comprenderlo. Questa è la risposta.

Laggiù c’è una fontana che è piena di monete,
le ho buttate io
tutte le notti che non tornavi.
Quelle te le porterò a vedere.
Non le stelle che sono cadute, non
Le candele che ho acceso nelle chiese,
non i versi delle preghiere, non
le lacrime che ho pianto,
non le parole degli amici, non
le notti che ho passato sveglia
ad aspettarti.
Solo le monete ti farò vedere.

Sotto l’acqua che scorre,
quando ritornerai,
quelle te le farò vedere