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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1888-1889.

Post n°49 pubblicato il 11 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1888-1889.

LA SPEDIZIONE SAN MARZANO IN AFRICA
CONVENZIONE SEGRETE DEL RE CON LO SCIOA
LA MISSIONE PORTAL - RITIRATA DEL NEGUS GIOVANNI
INTERPELLANZE ALLA CAMERA SULLA CAMPAGNA D'AFRICA

Il 26 ottobre del 1887, l'indomani cioè del discorso pronunziato dal Crispi al banchetto di Torino, partirono per l'Africa i primi scaglioni della spedizione militare che doveva vendicare l'eccidio di Dogali; comandata dal tenente generale ASINARI di San Marzano, aveva con sé i generali di brigata GENÈ, LANZA, CAGNI e BALDISSERA. Le truppe del corpo di spedizione, sbarcate nell'autunno a Massaua e unite al Corpo speciale d'Africa formarono una massa operante di circa 20.000 uomini, di cui 3.000 indigeni, con 38 pezzi d'artiglieria, i duemila uomini delle bande del capo Debèb e gli equipaggi della squadra del Mar Rosso.
Le operazioni dovevano cominciare non appena il corpo di spedizione fosse stato in condizione di muoversi; invece rimase a Massaua, esposto a quel clima torrido, colpito dalle febbri e dalla dissenteria, fino a tutto il gennaio in attesa che si sapesse l'esito della "missione PORTAL", inviata dall'Inghilterra presso il Negus per tentare di rappacificare l'Italia e l'Abissinia.
Il Governo italiano sperava un esito migliore da MENELIK, allora re dello Scioa e aspirante alla corona imperiale d'Abissinia, con il quale il conte ANTONELLI, accreditato presso di lui, aveva il 20 ottobre del 1887 in Addis Abeba stipulato la seguente convenzione segreta:

"S. M. MENELIK, re dello Scioa e di Kaffa ecc., ed il conte PIETRO ANTONELLI, come inviato di S. M. il Re d'Italia, hanno convenuto:
1° - S. M. il Re d' Italia e S. M. il Re di Scioa ed i loro rispettivi governi si dichiarano amici ed alleati e si sottintende che debbono godere, quanto più estesamente è possibile, di tutti i diritti e privilegi di due nazioni civili alleate; 2° - S. M. Il Re d'Italia promette a S. M. il Re di Scioa che, qualora S. M. Scioana avesse bisogno di aiuti in armi od altro, per far valere i suoi diritti, glieli darà con la maggior sollecitudine possibile. Dal canto suo S. M. il Re Menelik promette di aiutare S. M. il Re d' Italia in tutte le circostanze;
3° - S. M. il Re d'Italia dichiara a S. M. il Re Menelik che non farà annessioni di territori.
4° - Il Governo di S. M. il Re d'Italia si impegna a far consegnare all'agente di S. M. il Re Menelik 5000 fucili Remington in Assab, nello spazio di sei mesi dalla data della presente convenzione.
5° - S. M. il Re Menelik promette al Governo di S. M. il Re d'Italia che dette armi serviranno per la propria difesa e non saranno mai impegnate a recare danno alcuno agli Italiani, e di ciò dà formale promessa".

Ma né Menelik né la "missione Portal" furono utili all'Italia. Il primo aveva in animo di giocare l'Italia per assicurarsi l'invio delle armi e un aiuto per le sue mire ambiziose, non impegnandosi però a fondo e fingendo di volere mettere i suoi buoni uffici tra l'Italia e il Negus GIOVANNI, contro il quale, se l'Italia lo avesse conosciuto meglio, si sarebbe accorta che lui al Negus non ci sarebbe mai andato.
Mentre al Portal il Negus rispose che "non si poteva parlare di pace quando i cavalli erano già sellati e le sciabole sguainate e quando gli Italiani calpestavano ancora il suolo etiopico".
La risposta di Giovanni si conobbe nel Natale del 1887, al ritorno della "missione Portal". Allora il Crispi telegrafò a Londra, ringraziando il Governo inglese per l'opera svolta presso il Negus e chiudendo il telegramma con queste parole:
"La parola spetta oramai alle armi. Fidiamo nel valore dei nostri soldati".

Il 1° febbraio 1888, SAN MARZANO con quasi tutte le sue truppe marciò su Saati, lo rioccupò e lo fortificò potentemente per sostenervi gli attacchi del Negus. Questi, nel marzo scese dall'altipiano con più di ottantamila uomini ed andò ad accamparsi nella conca di Sabarguma, a poca distanza dalle posizioni occupate dagli italiani.
Nonostante la superiorità numerica del suo esercito, GIOVANNI non osò attaccare le linee italiane. Invano tentò di attirare le nostre truppe fuori delle loro posizioni, poi dopo due mesi di inattività, verso gli ultimi di marzo, per mancanza di viveri e per le epidemie scoppiate nel suo esercito, fu costretto a iniziare una ritirata. Questa iniziò il 3 aprile del 1888 e si sarebbe facilmente trasformata in una rotta disastrosa se gli italiani fossero piombati su quelle torme stanche, sfiancate dal digiuno; ma per ordine giunto da Roma, rimasero dentro le linee della difesa e lasciarono che il Negus si allontanasse tranquillamente dalla conca di Sabarguma.
Di lì a poco (e pochi capirono perché) la spedizione SAN MARZANO rimpatriava e al comando delle truppe rimaste restava il generale ANTONIO BALDISSERA con poteri civili e militari sulla colonia.

In Italia nella tornata del 2 maggio 1888, incominciò alla Camera lo svolgimento delle interpellanze sulla campagna d'Africa. L'on. DE RENZIS disse che era giunta l'ora delle spiegazioni su quanto si era fatto e su quello che si voleva fare; sostenne che la responsabilità della campagna africana dopo Dogali spettava al presente ministero; affermò che dopo 14 mesi e molti milioni, non si era avuto né la pace né la guerra; ed il ritorno delle nostre truppe era pieno di malinconia perché quelle avevano dovuto assistere inerti alla ritirata nemica quando avrebbero potuto sbaragliare le orde abissine.
BONGHI intervenendo, affermò che "…dopo Dogali non si poteva certo abbandonare l'Africa senza vergogna, ma che non dovevamo neppure impegnarci in una guerra vera e propria"; lodò le istruzioni date dal Governo a San Marzano e lodò questo per averle eseguite; quindi, venendo a parlare di ciò che l'Italia doveva fare in Africa, sostenne che "è nostro interesse rimanere a Massaua ed allacciare amichevoli relazioni con l'Abissinia. Da uno stato di pace con l'Abissinia si possono avere grandi e veri vantaggi; e nella storia politica coloniale si sarebbe potuto, forse per la prima volta, registrare il fatto di uno Stato europeo che ha dominato popolazioni barbare con le civili conquiste della pace e non con gli orrori del ferro e del sangue".

POZZOLINI rettificò alcune asserzioni di Bonghi e chiese che si annullasse il trattato inglese Howett. Rispose a tutti il ministro della guerra, il quale spiegò le ragioni per cui si era dovuta limitare l'azione delle truppe, accennò alla difficoltà dei trasporti, e lodò San Marzano per la sua prudenza e le nostre truppe per il valore e la disciplina; disse che "…se poi era mancato il successo militare non era però mancato quello morale".
Anche CRISPI prese la parola; disse di avere sempre sostenuto che non si dovesse fare una politica di conquista, ma riprendere le posizioni abbandonate. Quelle posizioni erano state riprese e saldamente tenute davanti ad un nemico sì numeroso ma anche impotente a ricacciarci. Circa le intenzioni del Governo per l'avvenire, Crispi disse che non si poteva tenere Massaua senza Saati e che a Saati quindi si sarebbe rimasti.

La discussione proseguì nella seduta successiva. Vi parteciparono DE BENZIE e POZZOLINI che presentò una mozione approvante la politica del Governo in Africa; BONGHI che propose l'abbandono di Saati ed Uaà, infine Crispi, il quale dichiarò che il Governo desiderava e sperava di ottener la pace, e che non avrebbe potuto, senza recare offesa, ricusare la mediazione inglese; quindi BACCARINI e MUSSI presentarono, anche in nome di molti deputati, due mozioni: la prima diceva:
"La Camera encomia altamente le virtù dell'esercito e dell'armata, ritiene non conforme all'interesse nazionale una politica militare sulle coste del Mar Rosso e invita il Governo i richiamare le truppe"; la seconda era così concepita: "La Camera, deplorando che al suo voto sia stato sottratto l'inizio dell'impresa africana, contraria all'interesse ed al prestigio del Paese, invita il governo a richiamare in Italia il corpo di spedizione".

Lo svolgimento di queste mozioni si cominciò nella seduta del 10 maggio 1888. Dopo BACCARINI e MUSSI, che illustrarono nuovamente le loro mozioni, parlò il ministro della Guerra sul trattamento ai reduci di Dogali; l'on. DI CAMPOREALE sostenne che "…non si dovesse abbandonare la costa del Mar Rosso" e presentò un ordine del giorno in cui si approvava la politica del Governo; l'on. L. FERRARI dichiarò che la politica di espansione coloniale si era inaugurata senza il consenso del Parlamento ed affermò che "…il Governo avrebbe dovuto concentrare le sue forze a risolvere il problema della politica interna con intenti di civiltà e di rinnovamento nazionale anziché fare una politica coloniale consentita soltanto a paesi di esuberante vitalità"; l'on. DE ZERBI in un forte discorso considerò "…inaccettabile la teoria secondo cui il re e il potere esecutivo non potessero spedire truppe fuori i confini del regno senza l'autorizzazione del Parlamento", lodò la condotta delle truppe in Africa e del San Marzano, e si disse contrario al richiamo delle truppe da Massaua "…perché l'indomani dell'imbarco del nostro ultimo soldato vi sarebbero sbarcati i soldati di un'altra nazione europea", sostenne che Massaua era una colonia importantissima e che "…occorreva avanzare anziché indietreggiare" e concluse col dire che "…l'avvenire di tutti i popoli stava nella colonizzazione e che i popoli i quali non pensavano al domani si votavano al suicidio".
Dopo Zerbi, di altro avviso fu ODESCALCHI che si dichiarò "…favorevole all'abbandono completo di Massaua, che era e sarebbe stata sempre una passività per il nostro bilancio".

Nella seduta dell'11 maggio 1888, parlarono il ministro della Guerra, l'on. MARSELLI, il quale affermò che l'obiettivo dell'Italia doveva esser quello di un protettorato commerciale sull'Abissinia che ci consentisse di esercitare una legittima influenza sul Sudan e sull'Egitto; FERDINANDO MARTINI, disse doversi "…lasciare a Massaua un esiguo presidio e abbandonare Saati perché la sua occupazione significava uno stato di guerra in permanenza con l'Abissinia"; l'on. TOSCANELLI che presentò e svolse un ordine del giorno, augurandosi la pace e l'alleanza con l'Abissinia per combattere i Sudanesi, e approvando la politica africana del Governo e il modo com'era stata ispirata e condotta la campagna militare; l'on. FORTIS, da parte sua affermò che "…abbandonare Massaua dopo tutto quello che era accaduto ripugnava al sentimento ed alla ragione perché avrebbe diminuito infallibilmente il nostro prestigio in Europa", ma, sostenne, che si doveva rimanere a Massaua con intenti pacifici; l'on. GIUSSO appoggiò la necessità del mantenimento di Saati, e l'on. ARNABOLDI, dichiarandosi contrario alle mozioni presentate, approvò la condotta del Governo che credeva "…ispirata ad un alto sentimento del diritto e della dignità nazionale".

Nella seduta del giorno 12 maggio 1888, l'on. SOLIMBERGO svolse il seguente ordine del giorno:
"La Camera, encomiando altamente le virtù dell'esercito e dell'armata, volendo mantenere l'occupazione italiana nel Mar Rosso, confida che la politica si esplichi come è richiesto dalla dignità e dall'interesse nazionale".
L'on. POZZOLINI svolse quest'altro: "La Camera, udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, approva la condotta del Governo in Africa";
infine l'on. CAMILLO FINOCCHIARO-APRILE svolse questo terzo ordine del giorno
"La Camera, affermando che l'esercito e l'armata hanno bene meritato della Patria, udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, confida che il Governo saprà risolvere la questione africana secondo la dignità e gl'interessi della nazione".

FRANCESCO CRISPI, prendendo la parola, si disse lieto che nella discussione si fosse levata una nota alta e patriottica da tutti i settori della Camera, dichiarò di esser contrario all'abbandono di Massaua che agli indigeni sarebbe parsa una fuga, affermo affermò che a Massaua l'Italia esercitava piena sovranità e che si era opposto decisamente alla Francia, la quale sosteneva che vigeva ancora il sistema delle capitolazioni, e concluse facendo appello al patriottismo di tutti e alla lealtà di quanti volevano il bene e la grandezza d'Italia e dicendo: "Le colonie sono una necessità della vita moderna. Noi non possiamo rimanere inerti e far sì che le altre potenze occupino da sole tutte le parti del mondo inesplorate, altrimenti saremmo colpevoli di un gran delitto verso la patria nostra; comportandosi da inerti chiuderemmo per sempre le vie alle nostre navi ed i mercati ai nostri prodotti .... Noi cominciamo oggi, e mal si comincerebbe quando, al primo ostacolo, si fuggisse dai punti che abbiamo occupato"; "Siamo a Massaua e ci resteremo!".

Dopo il discorso del Crispi presero la parola: MANCINI che presentò e svolse un ordine del giorno, MUSSI che ritirò la sua mozione, BACCARINI che disse esser fuori di questione la fiducia nel Governo; gli onorevoli POZZOLINI, PELLOUG, ELIA, TOSCANELLI, DI CAMPOREALE, FORTIS, PATERNOSTRO, BRANCA, CHIALA ed altri ritirarono i loro ordini del giorno; fu messa ai voti la mozione BACCARINI; fu approvata la prima parte e respinta la seconda, quindi la Camera approvò l'ordine del giorno presentato da CAMILLO FINOCCHIARO-APRILE.

CONVENZIONE MILITARE ITALO-GERMANICA
MUTAMENTI MINISTERIALI
INAUGURAZIONE 3a SESSIONE DELLA XVI LEGISLATURA
TUMULTI ROMANI E DIMISSIONI DEL MINISTERO

Tre mesi prima delle tornate in Parlamento, cioè il 1° febbraio del 1888, fu firmata a Berlino la convenzione militare tra l'Italia e la Germania proposta da CRISPI a BISMARK nell'ottobre dell'anno precedente.
Con questa convenzione si stabiliva che, se fosse scoppiata una guerra tra gli Stati centrali da una parte e la Francia e la Russia dall'altra, l'Italia avrebbe attaccato la Francia e avrebbe inviato in Germania sei corpi d'armata e tre divisioni di cavalleria perché operassero con l'esercito tedesco.

Dopo questa convenzione si rendeva necessario un aumento nel bilancio della Guerra e il 1° dicembre i ministri BERTOLÈ-VIALE e BRIN presentarono un disegno di legge per l'autorizzazione di spese militari straordinarie.
Il 21, durante la discussione parlamentare, contro questo disegno si scagliò CAVALLOTTI con un suo ordine del giorno: "deplorava la politica estera del Crispi turbatrice della pace e della vita economica italiana" e affermava che "…nel paese e specie fra gli avanzi delle vecchie legioni garibaldine era sorto un grido di protesta e d'allarme per la "politica crispina" che avviava la nazione alla guerra e alla catastrofe"…."Questi uomini che insorgono contro la politica troppo ardita dell'onorevole Crispi sono pur quelli che la patria ha visto sempre al loro posto, in prima fila, nel giorno delle supreme audacie; e alla loro testa vi è Giuseppe Missori, poesia vivente, idealizzata dell'eroismo italiano. E sono questi impavidi sfidanti della fortuna che per creare la patria non esitarono a gettarsi incontro all'ignoto, che oggi dell'ignoto, hanno paura, sul suo pauroso limitare si fermano, e invitano l'onorevole Crispi a fermarsi. Perchè è lecito a quelli, anche se non conoscono la paura, temere per la cosa che hanno idolatrato di più. Sono queste le paure dei forti".

FRANCESCO CRISPI rispose che le spese proposte erano esclusivamente quelle necessarie alla difesa, e aggiunse:. "Fatalmente tutti armano, compresi i piccoli Stati, e noi non possiamo restare inerti. Aggiungete, signori, che noi siamo nel Mediterraneo dove è disputata e si è anche insediata quella legittima influenza alla quale abbiamo diritto.
Noi abbiamo quindi bisogno, di una forte armata, la quale non solo difende il paese da possibili assalti, ma vada per i mari a proteggervi i nostri commerci. Io non so se vi sarà o no la guerra .... Molte però sono le cause di un grande, eventuale incendio europeo; molti sono i dissidi in questo vecchio continente che, o all'oriente o all'occidente, potrebbero produrre uno scoppio, e noi bisogna che ci troviamo preparati a fare il debito nostro .... Non dobbiamo permettere che, in tutte le questioni che potrebbero sorgere, e nelle quali l'interesse del nostro paese fosse impegnato, il nome d' Italia, la bandiera del nostro paese potessero abbassarsi dinanzi alle esigenze dello straniero.
Finché io sono a questo posto, di questi esempi non ne darò mai".
Il 22 dicembre 1888 la Camera con 231 voti contro 45 approvò la politica estera del Governo.

Nello stesso mese in cui si firmava la convenzione militare si dimetteva il Coppino da ministro della Pubblica Istruzione, avendogli il Senato respinto un Disegno di legge per la conservazione dei monumenti. CRISPI lo sostituì con BOSELLI. La Destra, di cui il nuovo ministro faceva parte, interpretò la nomina come un passo del presidente del Consiglio verso di essa e mise ogni impegno per abbattere MAGLIANI, ministro delle Finanze, che, come il COPPINO, era di Sinistra.
I motivi per combatterlo non mancavano. Grave era il disavanzo del bilancio; nell'estate del 1888 erano aumentati il dazio sui cereali; la tassa graduale del bollo per cambiali; nel novembre il ministro proponeva di ristabilire i due decimi dell'imposta fondiaria e di aumentare il prezzo del sale.
Fu questo nuovo disegno di legge che rovesciò MAGLIANI. La commissione del bilancio respinse all'unanimità il disegno e l'onorevole GIOLITTI, relatore, attaccò a fondo il ministro e la politica finanziaria del Governo. Negli ultimi di dicembre AGOSTINO MAGLIANI si dimetteva dal ministero delle Finanze e del Tesoro. Crispi lo affidava a BERNARDINO GRIMALDI, che lasciava l'Agricoltura a LUIGI MICELI e al Tesoro il senatore PERAZZI.

Gli avversari di CRISPI speravano forse nelle dimissioni dell'intero Gabinetto ma dopo averlo visto più saldo che mai, trasportarono la lotta dal Parlamento alla piazza.
Il 13 gennaio del 1889 a Milano, che era centro del partito francofilo, si tenne un comizio pacifista, al quale parteciparono due deputati francesi, il RIVET e il GAINARD, scesi in Italia a fraternizzare in nome degli immortali principi del 1789 e a dare la mano a PANTANO e a CIPRIANI. Presente anche il celebre leader marxista tedesco WILJEM LIEBNECHT.
Pochi giorni prima (l'8 gennaio 1889) a Faenza, migliaia di operai senza lavoro, assalivano i forni del pane; accenni di rivolta anche a Ferrara; poi per quasi tutto il mese manifestazioni di protesta si ripeteranno nel corso del mese in altre città

Il 28 gennaio 1889 fu inaugurata la terza sessione della XVI Legislatura con un discorso del re, il quale ricordò la visita di Guglielmo II, accennò alla necessità di attuare alcune riforme, fra cui quella penitenziaria e carceraria, quella della giustizia amministrativa, quella della Pubblica Istruzione e quella delle Opere Pie, e dichiarò che per raggiungere il pareggio del bilancio occorreva imporre nuovi tributi e ridurre le spese fatta eccezione per i provvedimenti militari, poiché "una pace non salvaguardata dalle armi è una pace infida". Poi il re concludeva: "Se il mio governo non continuasse a dedicare le sue più sollecite cure all'esercito e all'armata, tradirebbe la Patria".

Oltre i fatti di Faenza di gennaio accennati sopra, si erano già verificati disordini a Roma l'anno precedente; tremila operai disoccupati per la crisi edilizia si misero a tumultuare per le vie della capitale gridando "Viva da Rivoluzione" e commettendo eccessi sulle cose e sulle persone. Il Governo si lasciò sorprendere dagli avvenimenti e come non aveva pensato di prevenirli così fu pure impotente a reprimerli. Si ebbe alla Camera il dibattito sui disordini, Crispi chiese poi un voto di fiducia che gli fu largamente accordato.
Ma non era finita lì. Del resto il Re già aveva accennato a qualcosa, parlando di "imporre nuovi tributi".
Infatti, tre giorni dopo iniziò la discussione sui provvedimenti finanziari esposti dal GRIMALDI e da PERAZZI (che nel dicembre precedente aveva sostituito Magliani al ministero del Tesoro). Affermano che il disavanzo del bilancio non era di 62 milioni, ma di 192 milioni; propongono alcuni aggravi fiscali, come il ripristino di un decimo dell'imposta fondiaria, l'aumento di 5 centesimi sul prezzo del sale, aumento dei tributi di circa 50 milioni. La discussione fu lunga e vivace e fin dall'inizio la maggioranza della Camera si dichiarò contraria ai provvedimenti. Temendo di subire uno scacco con un voto di sfiducia sulla gestione delle finanze, il 28 febbraio CRISPI presentò le dimissioni del suo ministero, affermando di "non voler compromettere con un voto parlamentare i grandi interessi del Paese".

Molti nemici di Crispi, speravano proprio di non rivedere più al governo l'"accentratore", il "dittatore"; ma la sorpresa fu che i molti interpellati dal Re, rifiutarono l'incarico di costituire il Gabinetto.
Il Paese, il Re, il Parlamento, avevano bisogno (soprattutto in politica estera) di un uomo con il polso fermo, mente audace, larghe vedute; e, nonostante l'età (71), Crispi, queste qualità le aveva tutte; né intendeva, energico e fiero com'era, di farsi da parte; né volle nel riprendere il bastone di comando, diventare all'improvviso un debole. Anzi.

Nasce così nella polemica il secondo ministero Crispi…

… ed è il periodo delle prossime pagine dal 1889 al 1891 > > >

 
 
 
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   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
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- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

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Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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