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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1890-1891. Parte Prima

Post n°50 pubblicato il 11 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1890-1891. Parte Prima
L'ASMARA-NEGUS - TRATTATO DI UCCIALLI - CRISPI IN CRISI

BALDISSERA GOVERNATORE A MASSAUA - COMBATTIMENTO DI SAGANEITÌ - IL CONTE ANTONELLI E LA POLITICA SCIOANA - MORTE DEL NEGUS GIOVANNI - IL TRATTATO DI UCCIALLI - RAS MAKONNEN IN ITALIA - LA CONVENZIONE ADDIZIONALE AL TRATTATO DI UTCCIALLI - L'AZIONE DI BALDISSERA - OCCUPAZIONE DI CHEREN E DI ASMARA - IL GENERALE ORERO SOSTITUISCE BALDISSERA - LA "COLONIA ERITREA" - LA MARCIA SU ADUA - L'ART. 17 DEL TRATTATO DI UCCIALLI - RICHIAMO DEL GENERALE ORERO - LA MISSIONE ANTONELLI PRESSO MENELICK - AZIONE DI CRISPI PER IMPEDIRE L'ANNESSIONE DELLA TUNISIA ALLA FRANCIA E LA FORTIFICAZIONE DI BISERTA - L'INCONTRO TRA I CRISPI E IL CANCELLIERE TEDESCO CAPRIVI - DIMISSIONI DEL GIOLITTI - L'INAUGURAZIONE DELLA XVII LEGISLATIURA - DIMISSIONI DEL MINISTERO CRISPI

BALDISSERA GOVERNATORE A MASSAUA

Dopo il ritiro da Sabarguma del negus Giovanni - come si è detto nel precedente capitolo - la maggior parte del corpo di spedizione italiano guidato da SAN MARZANO rimpatriò, e a Massaua, in qualità di governatore e di comandante superiore delle truppe rimase il maggior generale ANTONIO BALDISSERA.
Questi si diede subito a riordinare le truppe, i servizi militari e civili e cominciò ad allacciare relazioni d'amicizia con le tribù vicine per estendere l'influenza italiana e prepararsi per l'occupazione dell'altipiano.

Primo obbiettivo fu Cheren, che il 26 luglio 1889, fu occupata dalle bande alleate all'Italia del "barambaras" KAFIL. Intanto un altro gruppo indigeno a servizio dell'Italia, guidato da un certo DEBEB; avventuriero tigrino, che aveva disertato quando il Negus e il San Marzano stavano uno di fronte all'altro, rifugiatosi nell'Accheli Guzai, organizzava incursioni contro le tribù già sottomesse agli italiani. Il generale BALDISSERA pensò di farlo sorprendere a Saganeiti, dove il Tigrino risiedeva, e incaricò dell'impresa il capitano CORNACCHIA il quale, con 400 "bascibuzuch", quattro ufficiali (i tenenti BRERO, POLI, VIGANÒ E VIRGINI) e la banda di ADAM agà (300 uomini), mosse il 4 agosto del 1889 da Uaà per la via di Italia-Hevo.

COMBATTIMENTO DI SAGANEITI

Il piccolo corpo all'alba dell'8 agosto 1889, occupò d'assalto il villaggio di Saganeiti, ma non vi trovò DEBEB, il quale, avvertito, si era posto con i suoi sulle alture vicine. La colonna CORNACCHIA, circondata ed assalita da forze di molto più numerose subì gravissime perdite.
Morti il comandante e i quattro ufficiali con 200 uomini di truppa, rimasti feriti 76, i superstiti si ritirarono e raggiunsero alla spicciolata Massaua. Questo doloroso episodio diede luogo ad aspre critiche contro il Baldissera, il quale chiese il richiamo, ma il Governo, costatato che il generale non era responsabile dell'insuccesso, gli confermò la fiducia.
Non solo con le armi BALDASSERA cercava di estendere l'influenza italiana in Africa, ma anche con la politica. Nel campo politico però egli non era solo: aveva un concorrente autorevole e fortunato nel conte PIETRO ANTONELLI, l'ardito viaggiatore, che si era accattivata l'amicizia di MENELICK, che nel 1883 aveva, come abbiamo già visto, stipulato un trattato segreto con lui, ed ora, accarezzandone le ambizioni, si proponeva di servirsene a vantaggio dell'Italia contro il Negus e di farlo salire sul trono con il suo aiuto.

IL CONTE ANTONELLI E LA POLITICA SCIOANA

Gli eventi pareva che favorissero la politica antonelliana. Il re del Goggiam, TECLA ANNANOT, si era ribellato al Negus GIOVANNI e questi, nonostante avanzò con tanta sicurezza verso Saati, si era dovuto ritirare. Un'azione combinata tra le truppe italiane e le truppe scioane avrebbe avuto facilmente ragione del Negus il quale per giunta aveva contro di sé un altro nemico potente, i Dervisci che, penetrati in Etiopia, avevano incendiato Gondar.

MENELICK sapeva che Giovanni sospettava di lui, avendolo ras ALULA e DEBEB accusato presso il Negus di avere istigato l'Italia alla spedizione di Massaua e di essere d'accordo con il re del Goggiam. Minacciato da GIOVANNI e temendo di essere spodestato, il re dello Scioa si diede da fare per prepararsi ad una guerra quasi certa e chiese armi all'Italia, promettendo di vendicare gli Italiani caduti in Africa.

Nell'estate del 1888, latore di lettere di MENELICK, il conte ANTONELLI giunse in Italia per indurre il Governo ad accettare le proposte del re dello Scioa. CRISPI inviò alcune migliaia di fucili e si mostrò disposto ad accettare quello che MENELICK proponeva, ma disse di volere garanzie di territori e di ostaggi e rimandò l'Antonelli in Africa incaricandolo di dire a MENELICK di attaccare il Negus, contro il quale poi sarebbero andate le truppe italiane.

Ma MENELICK faceva la politica del temporeggiatore e intendeva trarre profitto dall'azione di altri. Aveva promesso aiuti a TECLA AIMANOT, ma quando il Goggiam fu invaso e messo a ferro e a fuoco dal Negus non impegnò neppure un solo uomo; aveva promesso al governo italiano di operare insieme contro GIOVANNI, ma quando questi andò a Sabarguma, lui non si era mosso. Ora, invece di attaccare il Negus, impaurito dalle sue minacce, faceva da un canto atto di sottomissione e dall'altro sollecitava gli italiani a salire sull'altipiano.

MORTE DEL NEGUS GIOVANNI

Erano a questo punto le cose quando il Negus GIOVANNI re d'Abissinia, con un esercito di settantamila uomini marciò contro i Dervisci, ma presso Metemma, nelle sanguinose giornate del 10 ed 11 marzo del 1889 le sue orde furono sconfitte e lui stesso fu colpito mortalmente.
Il 25 marzo 1889, ANTONELLI telegrafava a Roma informando CRISPI della morte di Giovanni: "L'esercito del Tigrè è completamente distrutto. Sono morti, oltre il Negus, ras Area, zio del Negus, ras Ailh Mariam e diversi altri capi: Ras Alula e ras Michel si sono salvati con poche forze. Re Menelick si trova presso Uollo Galla diretto a Gondar, ove si incoronerà re dei re. In questa qualità firmerà il trattato .... Sarebbe necessario che Vostra Eccellenza ordini di occupare e fortificare Asmara".

Il giorno dopo MENELICK in una lettera a Re UMBERTO confermava quanto aveva scritto l'Antonelli e pregava che gli Italiani occupassero con decisione Asmara, aggiungendo:
"Pregherei V. M. di dare ordine ai generali di Massaua di non ascoltare le parole dei ribelli che si trovassero dalla parte del Tigrè e d'impedire il passaggio delle armi".
I ribelli erano ras ALULA e ras MANGASCIÀ, figlio di Giovanni. Quest'ultimo aspirava lui alla corona imperiale e rappresentava quindi l'unico ostacolo alle ambizioni di MENELICK, come abbiamo visto già salito sul trono.
Alcuni giorni dopo, e precisamente il 5 aprile, il senatore PARENZO svolgeva un'interpellanza sulle intenzioni del Governo dopo la morte del Negus. Rispondeva CRISPI che "per l'Italia poteva essere grande la tentazione e non minore la seduzione, ma che il Governo non si sarebbe lasciato né sedurre né tentare. Ma poiché il Parlamento si era sempre rifiutato di ritirare le truppe da Massaua, qualche profitto conveniva trarre dalla posizione acquistata con tanti sacrifici".

Il 7 e l'8 maggio furono svolte alla Camera alcune interpellanze sulla situazione in Africa. L'on. SONNINO interrogò il Governo intorno alle ragioni che lo avevano indotto, mentre si trovavano in stato di guerra con l'Abissinia, a non approfittare degli ultimi rivolgimenti là avvenuti, per assicurare il confine che strategicamente era necessario alla sicurezza dei nostri possedimenti ed al benessere dei nostri presidi. Necessaria ora, secondo l'oratore, era l'occupazione di Asmara, Zazega e Cheren, che ci avrebbe dato il comando della via per Sabarguma e Massaua, della valle del Mareb e della valle dell'Anseba.
Altre interpellanze svolsero gli onorevoli DI BREGANZE, che riteneva dannoso mantenere a Roma la direzione del servizio d'Africa; ROUX e COSTA si dichiararono contrari ad ogni ulteriore avanzata in Africa; SPROVIERI, spronava il Governo ad andare avanti; RICCIO che voleva che ci si fermasse a Massaua; DELLA VALLE consigliava di lasciare al Governo libertà d'azione; BONGHI sostenne che non avevamo il diritto di occupare e colonizzare parte dell'Abissinia.

CRISPI rispose che non poteva dire che cosa il Governo avrebbe fatto, che bisognava lasciargli la facoltà di giudicare ciò che conveniva fare e in quale occasione, e che si sarebbe ispirato sempre al concetto di tutelare il nome, la dignità e gli interessi d'Italia. Quanto a Menelick affermava che si era proclamato imperatore e che era intenzionato ad impadronirsi del supremo potere.

IL TRATTATO DI UCCIALLI

ANTONELLI intanto era riuscito a indurre MENELICK a stipulare, il 2 maggio del 1889, un trattato di amicizia e di commercio con l'Italia, che fu detto di Uccialli dalla località in cui fu concluso. E gli riconobbe la legittimità del potere in Abissinia. Mentre lui accetta le conquiste dell'Italia in Etiopia. Così recitava il trattato:

"Sua Maestà Umberto I, Re d'Italia, e Sua Maestà Menelick II, Re dei re d'Etiopia, allo scopo di render proficua e durevole la pace fra i due Regni d'Italia e d'Etiopia, hanno stabilito di concludere un trattato d'amicizia e di commercio. E S. M. il Re d'Italia, avendo delegato come suo rappresentante il Conte Pietro Antonelli, Commendatore della Corona d'Italia, Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, i cui pieni poteri furono riconosciuti in buona e debita forma, e S. M. il Re Menelick, stipulando in proprio nome quale Re dei Re d'Etiopia, hanno concordato e concludono i seguenti articoli:

I. - Vi sarà pace perpetua ed amicizia costante fra S. M. il Re d'Italia e S. M. Il Re d'Etiopia e fra i loro rispettivi eredi, successori, sudditi e popolazioni protette.
II. - Ciascuna delle parti contraenti potrà essere rappresentata da un agente diplomatico presso l'altra e potrà nominare consoli, agenti ed agenti consolari negli Stati dell'altra.
III. - A rimuovere ogni equivoco circa i limiti dei territori sopra i quali le due parti contraenti esercitano i diritti di sovranità, una Commissione speciale, composta di due delegati italiani e due etiopici, traccerà sul terreno, con appositi segnali permanenti, una linea di confine, i cui capisaldi siano stabiliti come appresso:
a) la linea dell'altipiano segnerà il confine etiopico-italiano;
b) partendo da Arafali, Halai, Saganeiti ed Asmara saranno villaggi nel confine italiano;
c) Adi Nefas e Adi Johannes saranno dalla parte dei Bogos nel confine italiano; d) da Adi Johannes una linea retta prolungata da est ad ovest segnerà il confine italo-etiopico.
IV. - Il convento di Debra Bizen con tutti i suoi possedimenti resterà proprietà del Governo etiopico, che però non potrà mai servirsene per scopi militari.
V. - Le carovane da o per Massaua pagheranno sul territorio etiopico un solo diritto dì dogana di entrata dell'8 per cento sul valore della merce.
VI. - Il commercio delle armi e munizioni da o per l'Etiopia attraverso Massaua sarà libero per il solo Re dei Re d'Etiopia. Ogni qualvolta questi vorrà ottenere il passaggio di tali generi dovrà farne regolare domanda alle autorità italiane, munita del sigillo reale. Le carovane con carico di armi e munizioni viaggeranno sotto la protezione e con la scorta di soldati italiani fino al confine etiopico.
VII. - I sudditi di ciascuna delle due parti contraenti potranno liberamente entrare, viaggiare, uscire coi loro effetti e mercanzie nei paesi dell'altra e godranno della maggiore protezione del Governo e dei suoi dipendenti. E' però severamente proibito a gente armata di ambo le parti contraenti di riunirsi in molti o in pochi e passare i rispettivi confini con lo scopo di imporsi alle popolazioni e tentare con la forza di procurarsi viveri e bestiame.
VIII. - Gli Italiani in Etiopia e gli Etiopi in Italia o nei possedimenti italiani potranno comprare o vendere, prendere e dare in affitto e disporre in qualunque altra maniera delle loro proprietà non altrimenti che gli indigeni.
IX. - È pienamente garantita in entrambi gli Stati la facoltà per i sudditi di praticare la propria religione.
X. - Le contestazioni o liti fra Italiani in Etiopia saranno definite dall'Autorità italiana a Massaua o da un suo delegato e da un delegato dell'autorità etiope. Morendo un Italiano in Etiopia o un Etiope in territorio italiano, le autorità del luogo custodiranno diligentemente tutte le sue proprietà e le terranno a disposizione dell'autorità governativa a cui apparteneva il defunto.
XII. - In ogni caso per qualsiasi circostanza gli Italiani imputati di un reato saranno giudicati dall'Autorità Italiana. Per questo l'Autorità etiopica dovrà immediatamente consegnare all'Autorità italiana in Massaua gli Italiani imputati di aver commesso un reato. Egualmente gli Etiopi imputati di reato commesso in territorio italiano saranno giudicati dall'Autorità etiopica.
XIII. - S. M. il Re d'Italia e S. M. il Re dei Re d' Etiopia si obbligano a consegnarsi reciprocamente i delinquenti che possano essersi rifugiati, per sottrarsi alla pena, dai domini dell'uno nei domini dell'altro.
XIV. - La tratta degli schiavi essendo contraria ai principi della religione cristiana, S. M. il Re dei Re d' Etiopia s'impegna d'impedirla con tutto il suo potere in modo che nessuna carovana di schiavi possa attraversare i suoi Stati.
XV. - Il presente trattato è valido in tutto l'impero etiopico.
XVI. - Se nel presente trattato, dopo cinque anni dalla data della firma, una delle due alte parti contraenti volesse fare o introdurre qualche modifica, potrà farlo; ma dovrà prevenirne l'altra un anno prima rimanendo ferma ogni e singola concessione in materia di territorio.
XVII. - S. Maestà i1 Re dei Re di Etiopia "consente" di servirsi del governo di S. Maestà il Re D'Italia per tutte le trattazioni di affari che ha con altre potenze o Governi. (attenzione a questo "consente" che fu maltradotto in amarico in "poteva" - vedi più avanti. Ndr.)
XVIII. - Qualora S. M. il Re dei Re d'Etiopia intendesse accordare privilegi speciali a cittadini di un terzo Stato per stabilire commerci ed industrie in Etiopia, sarà sempre data, a parità di condizioni, la preferenza agl'italiani.
XIX. - Il presente trattato, essendo redatto in lingua italiana ed amarica e le due versioni concordando perfettamente fra loro, entrambi i testi si riterranno ufficiali e faranno sotto ogni rapporto pari fede.
XX .- Il presente trattato sarà ratificato, e le ratifiche saranno scambiate a Roma il più presto possibile. In fede di che il conte Pietro Antonelli, in nome di S. M. il Re d'Italia, e S. M. Menelick, Re dei Re d'Etiopia in nome proprio hanno firmato ed apposto il loro sigillo al presente trattato".

RAS MAKONNEN IN ITALIA - LA CONVENZIONE ADDIZIONALE

Dopo la firma di questo trattato, MENELICK inviò in Italia un' ambasceria diretta dal cugino ras MAKONNEN e guidata dall' ANTONELLI. Sbarcò a Napoli il 21 agosto; il 28 fu ricevuta con grande solennità al Quirinale. Il 29 settembre 1889 fu ratificato i1 trattato di Uccialli e il 1° ottobre, a Napoli, da FRANCESCO CRISPI e da ras MAKONNEN in nome dei loro sovrani, fu firmata la seguente convenzione addizionale:

"I. - Il Re d' Italia riconosce Re Menelick imperatore di Etiopia.
II. - Re Menelick riconosce la sovranità del Re d'Italia nelle colonie che vanno sotto il nome di possedimenti italiani nel Mar Rosso.
III. - In virtù dei precedenti articoli sarà fatta una rettifica dei due territori, prendendo a base il possesso di fatto attuale, per mezzo dei delegati che, a tenore dell'articolo 3° del Trattato dal 2 maggio 1889, saranno nominati dal Re d'Italia e dall'Imperatore di Etiopia.
IV. - L'Imperatore di Etiopia potrà far coniare poi suoi Stati una moneta speciale di un peso e di un valore da stabilirsi di comune accordo. Essa sarà coniata nelle zecche del Re d'Italia ed avrà corso legale anche nei territori africani posseduti dall'Italia. Se il Re d' Italia conierà una moneta per i suoi possedimenti africani, essa avrà corso legale in tutti i Regni dell'Imperatore d'Etiopia.
V. - Un prestito di quattro milioni di lire italiane dovendo essere contratto dall'imperatore d'Etiopia con una banca italiana, grazie alla garanzia del Governo d' Italia, resta stabilito che l'imperatore di Etiopia dà da sua parte al Governo italiano, come garanzia per il pagamento degli interessi e per l'estinzione della somma capitale, gli introiti delle dogane di Harras.
VI. - L'imperatore di Etiopia, mancando alla regolarità del pagamento delle annualità da convenirsi con la banca che farà il prestito, dà e concede al Governo italiano il diritto di assumere l'amministrazione delle dogane suddette.
II. - Metà della somma, ossia due milioni di lire italiane, sarà consegnata in monete di argento; l'altra metà, rimarrà depositata nelle Casse dello Stato italiano per servire agli acquisti che l'imperatore di Etiopia intende di fare in Italia.
VIII. - Resta inteso che i diritti fissi di dogana dell'articolo 5 del sopraccitato trattato tra l'Italia e l'Etiopia si applicheranno non solo alle carovane da o per Massana, ma a tutte quelle che scenderanno o saliranno per qualunque strada dove regna l'imperatore d'Etiopia.
IX. - Così pure resta stabilito che il terzo comma dell'articolo 12° del sopraccitato Trattato è abrogato e sostituito dal seguente: "Gli Etiopi che commetteranno un reato in territorio italiano saranno giudicati sempre dalle Autorità italiane".
X. - La presente convenzione è obbligatoria non solo per l'attuale imperatore di Etiopia, ma anche per i suoi eredi e successori nella sovranità di tutto o di parte del territorio sul quale Re Menelick ha dominio.
XI. - La presente convenzione sarà ratificata e le ratifiche saranno scambiate il più presto possibile".

L'11ottobre 1889, CRISPI, applicando l'articolo 34 dell'atto generale della Conferenza di Berlino del 26 febbraio 1885 notificò alle potenze l'articolo 17 del Trattato d' Uccialli secondo il quale l'imperatore d'Etiopia "consentiva" di servirsi del Governo italiano per tutte le trattazioni d'affari internazionali. Il 4 dicembre la missione abissina s'imbarcava a Napoli per Gerusalemme e Ras Makonnen telegrafava ad Umberto I ringraziandolo calorosamente dell'ospitalità ricevuta. La politica dell'Antonelli trionfava.

Diversa da quella, dell 'ANTONELLI era stata la politica del generale BALDISSERA. "Questo impareggiabile tipo di soldato - scrive Gualtiero Castellini - diffidava istintivamente della politica dell'Antonelli come di quella che favorendo capi di troppa importanza, quali Menelick, giocava un grosso rischio. Anche Baldissera tentava talora la politica di seduzione, ma, valendosi di capi minori e non giocando quindi mai le carte più arrischiate. Né aveva quella petulante baldanza proprio del soldato avventuriero che vede la salvezza soltanto nell'opera delle armi .... ma confidenza nell'opera graduale di penetrazione che andava compiendo e sopra tutto nella trasformazione della colonia che era in grado di compiere con le truppe nere, dalle quali era adorato.
Poche volte l'Italia ebbe di fronte al nemico un uomo di così lucido intuito e di
piena capacità e di così perfetto equilibrio. Troppo poco se ne valse".

Quando era giunta a Roma la notizia della morte del Negus, CRISPI avrebbe voluto l'occupazione di Cheren e di Asmara, ma BALDISSERA consigliava di aspettare il momento opportuno e lasciare frattanto che i capi abissini rivali si dilaniassero fra di loro. Le premure del governo, che aveva cieca fiducia nella politica dell'Antonelli, e il contegno insidioso di Ras Alula e Barambaras Kafil, che tramava contro l'Italia con il primo, indussero il generale all'occupazione di Cheren, effettuata il 2 giugno 1889 dalle colonne Escard e Di Majo, partite da Canfer e da Asus il 27 e il 28 maggio.

OCCUPAZIONE DI CHEREN E DI ASMARA

Si facevano i preparativi per marciare sull'Asmara, quando giungeva notizia che DEBEB, recatosi a Makallè presso ras MANGAGCIÀ, era stato imprigionato a tradimento e che ras Alula si preparare a ritornare nell'Hamasien. Allora il Baldissera affrettò l'operazione.

La notte del 3 agosto del 1899 una colonna italiana, protetta sulla destra da truppe comandate dal maggiore di Majo risalenti la valle del Dorfa, mosse da Ghinda e il mattino occupò Asmara. Il 16 agosto, essendosi saputo che ras ALULA marciava da Godofelassi su Gara, fu mandata, contro di lui una colonna, che l'obbligò a ritirarsi precipitosamente verso Adua.

Aveva luogo intanto la missione etiopica del Makonnen in Italia; ma BALDISSERA continuava a diffidare dì Menelick e a seguire la propria politica, tentando di accordarsi con ras Mangascià e con ras Alula. Però CRISPI disapprovava, telegrafandogli: "Ella vuole la pace con Alula, mentre io vorrei che fosse punito per le stragi di Dogali".

IL GENERALE OBERO

Allora il generale Baldissera, adducendo motivi di salute, chiese di essere richiamato in Italia ottobre) e nei primi del novembre del 1889 fu sostituito dal generale OBERO.

 
 
 
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- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
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Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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