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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Anni 1890-1891. Parte seconda.

Post n°51 pubblicato il 11 Agosto 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1890-1891. Parte seconda.

LA "COLONIA ERITREA" - LA MARCIA SU ADUA - RICHIAMO DELL'OBERO - LA MISSIONE ANTONELLI

Con decreto reale del 1° gennaio 1890, tutti i possedimenti italiani del Mar Rosso furono riuniti sotto una sola amministrazione con il nome di Colonia Eritrea. Il generale Orero, che aveva il supremo potere civile e militare, da Massaua trasferì all'Asmara il suo quartiere generale, donde, seguendo le direttive del Governo, poteva essere più utile a Menelick, che intanto avanzava verso la città santa di Axum per cingervi la corona imperiale; e il 2 gennaio scrisse a Crispi di volere occupare Adua, capitale del Tigrè, per consegnarla, poi direttamente a Menelick. L'Antonelli e il Menelick, che, di ritorno dall'Italia, erano giunti in Massaua, sapute le intenzioni del governatore, scrissero a Crispi sconsigliando l'avanzata su Adua, che avrebbe potuto allarmare l'imperatore; il Presidente del Consiglio telegrafò all' Orero di rinunziare all'occupazione della capitale del Tigrè; ma i telegrammi da Roma non giunsero in tempo a fermare il generale, che il 26 gennaio entrò in Adua, commemorandovi il 3° anniversario di Dogali.

CRISPI cercò di trarre profitto dell'occupazione di Adua fatta suo malgrado, ordinò all'Orero di rimanervi ed aspettarvi l'Antonelli e Makoxmen; ma il generale, avendo saputo che Menelick non veniva e aveva dato a ras Mangascià il comando ciel Tigrè, decise di ripassare il Mareb e ritornare all'Asmara. II Crispi, conosciuta l'intenzione del governatore, gli telegrafò:
"Lei è troppo suscettibile, e negli affari di Stato non bisogna prendere risoluzioni immediatamente dopo impressioni ricevute per notizie più o meno attendibili. Lei è precipitoso e non mi lascia neanche un momento a riflettere. In questo modo non si governa; e temo che, continuando così, il nostro accordo non potrà durare. Intempestivamente lei andò in Adua ed intempestivamente la vuole abbandonare .... Stia al suo posto ed attenda altro mio telegramma".

Ma era troppo tardi: l' ORERO era già tornato all'Asmara.
Ma intanto qualcosa di più grave che non fosse la condotta del generale Orero succedeva in Etiopia. Uno svizzero, l'ingegnere ILG, che poi divenne il consigliere ascoltatissimo del Negus, ed agenti francesi, russi, armeni e greci erano riusciti, intrigando e calunniando l'Italia, a cambiare completamente gli atteggiamenti di MENELIK. Gli si era, fra le altre cose, fatto notare che l'articolo 17 del Trattato d'Uccialli metteva l'Abissinia sotto il protettorato dell'Italia, essendo in esso detto che il Negus "consentiva" di servirsi del governo italiano per tutte le trattazioni di affari internazionali.
Fortuna per lui che nelle traduzione amarica (che come la redazione italiana, aveva valore ufficiale) del trattato si trovava una parola che alterava il significato dell'articolo 17: infatti, il traduttore aveva scritto che il Negus "poteva" servirsi, nelle relazioni con le altre potenze europee del governo italiano. In quello italiano il termine fu invece tradotto con un "consente".
Allora Menelick, protestandosi indipendente, aveva comunicato alle potenze europee la sua incoronazione ad imperatore d'Abissinia. E allegando la copia del suo trattato, con quel "poteva", faceva intendere chiaramente che lui disponeva della facoltà di rivolgersi non solo all'Italia ma anche servirsi delle relazioni delle altre potenze europee.

Il 23 febbraio 1890, Antonelli s'incontrò con MENELICK a Makallè; poco dopo il Negus ratificò la convenzione addizionale firmata a Napoli, ma fece le sue riserve circa la linea dei confini; verso la fine di marzo, nominato ras MANGASCIÀ governatore di Adua, l'imperatore se ne tornò verso lo Scioa.
Quel mese stesso, in Italia nelle sedute del 5 e del 6 marzo, ci furono alla Camera lo svolgimento delle interpellanze sull'Africa.
Parlarono l'on. PLEBANO, che consigliò il governo a diffidare di Menelick, violatore del trattato di Uccialli; l'on. GIULIANI che, fra l'altro, criticò la marcia su Adua; l'on. LUIGI FERRARI che svolse la seguente mozione: "La Camera, ritenendo che l'organizzazione coloniale debba essere autorizzata dal potere legislativo; che i trattati internazionali i quali implicano una modificazione del territorio dello Stato ad un onere finanziario non possono avere effetto senza l'approvazione del Parlamento, invita il Governo a sottoporre all'approvazione del Parlamento il regio decreto del 1° gennaio sulla Colonia Eritrea, ed a conformare la sua condotta in Africa alla corretta interpretazione dell'art. 5 dello Statuto"; l'on. GATTI-CASAZZA, che, fece notare che "nel disagio economico in cui versa il paese, ritengo inopportuna la politica coloniale del ministero"; poi parlarono BACCARINI, FRANCHETTI, DE ZERBI, TOSCANELLI, PANDOLCI e FERDINANDO MARTINI, a proposito del Trattato di Uccialli, e l'ultimo pose delle domande legittime, inquietanti, ma anche realisticamente profetiche: "Supponete che al vantato art. 17, il quale consacra il nostro protettorato sull'Etiopia, Menelick manchi, che lui lo violi: noi che cosa faremo? Andremo a punirlo nello Scioa? E faremo la guerra a chi si metterà in diretta comunicazione con lui? O ci rassegneremo a tollerare l'umiliazione?". Al Martini si associarono pure Bonfadini e Tittoni; parlarono inoltre gli onorevoli Filopanti, Odescalchi, Sonnino e Cavalletto.
Risposero il ministro della Guerra e il Presidente Crispi, difendendosi dall'accusa di aver violato lo Statuto e dichiararono che scopo del governo nella politica africana era di creare uno sbocco all'emigrazione e ai commerci italiani.
Dopo un ampio discorso di IMBRIANI, e repliche di FERRARI e di BACCARINI, fu respinta la mozione Ferrari ed approvato con 193 voti contro 55 e 5 astenuti un ordine del giorno di MENOTTI GARIBALDI favorevole al "prudente indirizzo della politica africana del Governo".

Nell'aprile del 1890 il generale ORERO chiese di essere richiamato in Italia e nel giugno successivo, fu sostituito dal generale ANTONIO GANDOLFI, che ebbe il titolo di Governatore civile e, a fianco, come vicegovernatore comandante delle truppe, il colonnello Oreste Baratieri, trentino, ex-garibaldino dei Mille, che era stato già in Africa con la spedizione San Marzano nel 1887-88.

Intanto alla Corte del Negus gli Italiani perdevano di giorno in giorno terreno e la prova fu la fredda accoglienza che il 9 luglio del 1890 ebbe ad Entotto, presso MENELICK il nuovo residente generale CONTE SALIMBENI. Questi cercò di risolvere le questioni pendenti con l'imperatore, ma Menelick non volle saperne di riconoscere il contenuto dell'articolo 17 del Trattato d' Uccialli nel testo italiano, né di concedere il confine del Mareb. In tal senso inoltre scrisse due lettere ad UMBERTO I nel settembre del 1890.

Il 14 ottobre CRISPI telegrafava a SALIMBENI:
"Assicuri Menelick che circa i confini, noi insistemmo per mantenere la linea del Mareb allo scopo di garantire all'imperatore la sua sovranità nel Tigrè, minacciata da molte pretese di altri pretendenti al suo trono di Re dei Re. In quanto all'articolo 17, fu tradotto da Josef, interprete dell'imperatore, e non da noi. Prima di notificarlo alle potenze avemmo il consenso di ras Makonnen; fu stampato su tutti i giornali che Makonnen si faceva sempre tradurre dai suoi interpreti, e non sollevò mai alcuna opposizione .... Per la questione dei confini può assicurare l'imperatore che il Governo italiano è disposto ad accontentarlo se egli ci garantisce la sicurezza delle nostre frontiere .... Ella deve fare in modo che la nostra condiscendenza nei confini sia compensata dall'accettazione da parte di Menelick dell'art. 17 come è nel testo italiano".

Ma a Salimbeni non gli riusciva a migliorare la posizione italiana presso l'imperatore. Il 20 novembre scrisse un rapporto dettagliato su tale situazione al ministero degli Esteri, quindi inviò in Italia, per dare maggiore informazioni al Governo, il dottor LEOPOLDO TRAVERSI, direttore della stazione geografica di Let-Marefià, il quale il 17 dicembre giunse ad Assab e il 10 gennaio 1891, per ordine superiore, dovette ritornare allo Scioa, dove nel frattempo era stato mandato in missione il conte ANTONELLI.
Questi aveva però perso l'ascendente che aveva su Menelick, il quale, del resto, oramai non aveva più bisogno dell'Italia, neppure per il rifornimento di armi, dato che (tempestivamente si era fatta avanti) la Francia e gli aveva offerto quarantamila fucili e dieci cannoni a tiro rapido.

Dopo lunghe discussioni, il 2 febbraio del 1891 MENELICK dichiarò all' ANTONELLI che si sarebbe servito sempre dell'Italia per la trattazione degli affari internazionali e che si accontentava che l'articolo 17 rimanesse com'era nei due testi fino alla scadenza del trattato. Inoltre l'imperatore assicurò che avrebbe confermato questa sua decisione con una lettera a Re Umberto.

II 6 febbraio Menelick consegnò all'Antonelli la lettera e lo invitò a firmare una dichiarazione in cui era detto, fra l'altro: "L'art. 17 resta quale è nei due testi". L'Antonelli firmò, ma più tardi si accorse di aver firmato un documento in cui invece era scritto che si stabiliva di "cancellare l'art. 17". Allora, sdegnato, reclamò la restituzione del documento, che lacerò in presenza del Negus, e decise di lasciare l'Abissinia con il conte SALIMBENI e il dott. TRAVERSI. Nella visita di congedo (11 febbraio) l'Antonelli protestò per aver l'imperatore mancato alla parola data, ma il Negus si scusò dicendo che quando aveva proposto di lasciare immutato l'Art.. 17 "gli girava la testa".

AZIONE DI CRISPI PER IMPEDIRE L'ANNESSIONE DELLA TUNISIA ALLA FRANCIA E LA FORTIFICAZIONE DI BISERTA

Mentre in Abissinia vi erano queste difficoltà, la Francia ne approfittava e non tralasciava con il suo contegno di creare per l'Italia altre altre gravi preoccupazioni nel Mediterraneo.
Nel luglio del 1890 (la sgradita visita di SALIMBENI A Menelick era avvenuta il 9 luglio !) il console italiano a Tunisi informava il suo governo che il 9 di quel mese tra il Bey e la Francia era stato stipulato un accordo per la cessazione della sovranità beylicale alla morte del Bey.

Appena ricevuta questa notizia, CRISPI scrisse all'ambasciatore Italiano a Berlino:
"Se la Germania lascerà eseguire il suddetto trattato del 9 luglio, a noi non solamente sarà sottratta nel Mediterraneo la libertà alla quale abbiamo diritto, ma il nostro territorio sarà sotto una continua minaccia...
L'occupazione francese di Tunisi nel 1881 produsse la caduta del Ministero. Il paese se ne addolorò, ma allora l'Italia era isolata. Oggi esiste la Triplice Alleanza, ed il mutamento della sovranità in Tunisi produrrebbe in Italia due conseguenze: il ritiro del Ministero attuale, e la persuasione nel popolo che a nulla giovi la Triplice Alleanza. Questa seconda conseguenza sarebbe fatale, e bisogna che il Gabinetto di Berlino ci pensi. Io sono convinto che se la Germania farà comprendere a Parigi che l'esecuzione del trattato del 9 corrente potrebbe produrre la guerra, il Governo della Repubblica cederà ad un accomodamento con l'Italia .... Bisogna quindi: o trovar modo d'impedire la dominazione assoluta francese in Tunisia, o premunirsi perché la Tripolitania sia data a noi come sola possibile garanzia di fronte all'aumento della potenza militare e marittima della Francia .... Noi vogliamo procedere d'accordo con i Gabinetti amici, ma siamo risoluti ad usare tutti i mezzi perché l'Italia non sia colpita da un fatto che sarebbe un disastro".

Il Governo francese smentì la voce della convenzione del 9 luglio; tuttavia CRISPI volle scrivere personalmente al conte inglese SALISBURY:
"Se questo mutamento di dominazione in Tunisia avvenisse senza contrasto e a nostra insaputa, la Tripolitania non tarderebbe ad avere la stessa sorte. Il governo della repubblica tende ad occupare questa regione, come stanno ad attestarlo le usurpazioni continue sulla frontiera. Si avrebbe allora che dal Marocco all'Egitto una sola potenza dominerebbe l'Africa del Nord, e che da questa potenza dipenderebbe la libertà del Mediterraneo. L'Italia dal canto suo, sarebbe sotto la minaccia incessante della Francia; Malta e l'Egitto non sarebbero per l'Inghilterra una garanzia sufficiente .... Se noi avessimo la Tripolitana, Biserta non sarebbe più una minaccia per l'Italia né per la Gran Bretagna. Noi siamo vostri alleati necessari, e la nostra unione vi garantirebbe la dominazione di Malta e dell'Egitto".

Il 31 luglio, CATALANI, incaricato d'affari a Londra, scriveva a CRISPI che SALISBURY l'aveva incaricato di telegrafare al presidente del Consiglio che egli "…è convinto che il giorno in cui lo "status quo" nel Mediterraneo, fosse alterato sarebbe necessario che l'Italia debba occupare la Tripolitania: Tale occupazione è richiesta dall'interesse europeo per impedire che il Mediterraneo diventi un lago francese. La sola questione da esaminare è l'opportunità del momento presente all'impresa. L'ostacolo principale ad un'occupazione immediata di Tripoli si troverebbe nella resistenza del Sultano, che dichiarerà guerra all'Italia.
Le condizioni della Turchia sono diverse da quelle dell'epoca della cessione di Cipro. La Turchia da sé sola non è da temersi, ma sarà appoggiata dalla Russia, che coglierà l'occasione di rendersi vassallo il Sultano, difendendone il territorio".
Catalani concludeva: "La chiave di Tripoli è in questo momento a Berlino. Una parola risoluta di Berlino conferirebbe a SALIMBURY l'ardire che gli manca".

Naturalmente CRISPI, mentre interessava della questione i Gabinetti di Londra e di Berlino, non trascurava di far sentire la sua voce a Parigi:
"Bisognerà persuadere codesti signori - scriveva all'ambasciatore in Francia MENABREA - che noi non potremo permettere alcun mutamento politico nella Tunisia, e che qualora il Governo della Repubblica assumesse la piena autorità della Reggenza, avremo con noi i nostri alleati. Il protettorato fu tollerato perché l'Italia era isolata, ma oggi non siamo più al 1881. La Tripolitania appartiene all'impero ottomano, e noi per averla non vorremo provocare una guerra europea. La Francia qualora si mostrasse disposta a facilitarcene il pacifico acquisto come compenso della Tunisia, dovrebbe adoperarsi con tutti i suoi mezzi a Costantinopoli ed a Pietroburgo, da dove ovviamente verranno le opposizioni. E' bene che questo sia messo in chiaro, perché a noi non basta il solo consenso della Francia per occupare il suddetto territorio".

Contemporaneamente CRISPI faceva passi in Tripolitania, presso i capi di quel villayet, per una probabile azione militare, come risulta da una comunicazione segreta del console GRANDE di Tripoli, in data del 7 agosto 1890, in cui si diceva che "HASSUNA CARAMANLI era disposto a coadiuvare la nostra occupazione, assicurava il concorso di gran parte della popolazione e dichiarava che l'elemento arabo non avrebbe aiutato la Turchia".
Mentre CRISPI si sforzava d'impedire alla Francia di farsi padrona assoluta di Tunisi, lo statista siciliano sorvegliava gli armamenti francesi a Biserta, contrari agli impegni assunti da Parigi nel 1881, e li denunciava alla Germania e all'Inghilterra. Quest'ultima fece rimostranze al Governo francese; ma il ministro degli esteri GOBLET dichiarò che i lavori del porto di Biserta erano stati intrapresi per scopi puramente commerciali.

Anche Ribot, più tardi fece le stesse dichiarazioni; ma il Crispi non fu per nulla persuaso e inviò al Salisbury un memorandum in cui mostrava quanto fosse pericolosa per l'Italia e per l'Inghilterra la fortificazione di Biserta.

L'INCONTRO DI CRISPI CON IL CANCELLIERE TEDESCO CAPRIVI

L'8 novembre nel colloquio avvenuto a Milano con il generale GEORG LEO von CAPRIVI, successo a Bismarck, CRISPI prospettò anche al nuovo cancelliere tedesco i pericoli che minacciavano l'Italia e di conseguenza la Triplice per gli armamenti di Biserta. Il Caprivi mostrò di capire l'importanza della cosa, ma disse che "...prima di reclamare era necessario che si completasse la trasformazione dei fucili in Germania potendo il reclamo suscitare una guerra".

ELEZIONI POLITICHE

Quindici giorni dopo il colloquio Crispi-Caprivi , il 23 novembre 1890, ci furono le elezioni politiche, precedute da un discorso, tenuto a Torino da Crispi, in cui, fra l'altro, il presidente del Consiglio fece rilevare quanto era stato fatto in pro dei meno abbienti e specialmente della classe operaia e promise una legge per gl'infortuni nel lavoro, la cassa nazionale delle pensioni per la vecchiaia e l'istituto dei probiviri. Poi Crispi aggiunse:
"…dei nuovi diritti non dovevano abusare gli operai", che ammoniva di "…guardarsi dagli errori dell'internazionalismo. La ragione della Patria dove vivere nel loro spirito e far sentire che, fratelli agli uomini di tutto il mondo, essi sono, come tutti noi, italiani anzitutto".

Le elezioni videro una scarsa affluenza alle urne. Su 2.752.173 aventi diritto, votarono soltanto 1.477.173, ossia poco più della metà.
Dalle votazioni Crispi uscì rafforzato con circa 402 deputati ministeriali, una sessantina di parlamentari dell'estrema sinistra, e una cinquantina della destra indipendente.
Il clima elettorale non fu per nulla sereno, per le misure e le pressioni prefettizie, per la violenta campagna di Crispi contro i radicali, oltre l'intransigenza dei soliti cattolici (nonostante l'Opera dei Congressi), e degli anarchici.

DIMISSIONI DI GIOLITTI

Nonostante l'enorme maggioranza che dovevano rendere formidabile il Gabinetto Crispi, questo, due giorni prima dell'apertura del parlamento, s'indebolì per le improvvise dimissioni di GIOLITTI (Finanze e Tesoro), causate da un dissenso con FINALI, (lavori Pubblici), che insisteva per ottenere un aumento di 12 milioni nel suo bilancio.
A sostituire Giolitti fu chiamato GRIMALDI, e prese lui il portafoglio delle Finanze e l'interim del Tesoro.

INAUGURAZIONE DELLA XVII LEGISLATURA

Il 10 dicembre del 1890 fu inaugurata la XVII Legislatura con un discorso della Corona. Il Re enumerò i disegni di legge che sarebbero stati discussi nella prima sessione.
Pochi giorni dopo l'on. IMBRIANI svolse un'interpellanza sull'esonero del SEISMIT-DODA e sulle dimissioni di GIOLITTI, accusando il governo d'incostituzionalità: "Noi non abbiamo altro che un governo personale: un ministro il quale cerca di seguire non le tradizioni rette della costituzionalità, ma invece di imitare le tradizioni delle cancellerie degli imperi feudali, e stabilire quindi, invece di un governo parlamentare e di Gabinetto, un Governo di Cancelleria, un governo tutto suo, dove le responsabilità dei ministri spariscono e non rimane che la responsabilità del Presidente del Consiglio".
Ma la mozione dell'IMBRIANI non ebbe fortuna e le dichiarazioni con cui rispose CRISPI furono approvate dalla Camera con 271 voti contro 10. Cioè un consenso al suo operato di "accentratore", decisamente schiacciante; ma era solo virtuale.
Abbiamo visto che alle elezioni l'asse della maggioranza (402 eletti) era risultato tutto spostato verso destra e molti dei parlamentari governativi erano dei conservatori o di centrodestra.
Ma se già prima era palese un'opposizione non trascurabile, da qualche tempo si andava organizzando contro il "dittatore" un forte dissenso, dalla sinistra (virtuale, che era più a destra che a sinistra) e dalla destra.

 
 
 
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- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

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Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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