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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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E gli Ascari sfilarono a Roma

Post n°34 pubblicato il 07 Agosto 2008 da wrnzla

E gli Ascari sfilarono a Roma

Se gli Italiani erano andati nelle Colonie, anche le Colonie vennero in Italia. Accadde nel 1937, in occasione del primo anniversario della fondazione dell’Impero, con un’imponente e pittoresca parata a Roma dei reparti delle nostre truppe coloniali. Con gli ascari in estasi al cospetto degli scenari dei Fori Imperiali, un mondo mai visto, nemmeno immaginato nei sogni, e con i romani festosamente assiepati lungo l’itinerario della sfilata.
Insieme con quegli uomini sfilava la storia delle nostre truppe iniziata nel 1885, quando furono arruolati i primi ascari eritrei. Che diventarono subito leggendari, per valore, dedizione e fedeltà nelle epiche e spesso sfortunate battaglie del 1887 a Dogali, del 1895 all’Amba Alagi, del 1896 a Macallè, Adigrat e Adua, per poi essere organicamente inquadrati nel definitivo “Regio Corpo Truppe Indigene” nel 1904, su iniziativa del gen. Baldissera. E continuarono a battersi nelle successive battaglie coloniali, sino ad essere ancora loro fra gli ultimi difensori del Tricolore in Africa Orientale nel 1941.Non solo, ma qualcuno di quegli uomini, come Alì Gabrè, “muntaz” (caporalmaggiore) dei Carabinieri Eritrei (“zaptiè”) continuò per conto suo, con un centinaio di altri “irriducibili”, a combattere nelle boscaglie abissine per ulteriori cinque anni, sino alla metà del 1946. Ma questa storia merita un articolo a parte.
Alla suggestiva parata dei nostri soldati africani parteciparono le rappresentative di tutti i reparti, dai meharisti sahariani, ai “dubat” somali, dagli ascari della Fanteria, della Marina, dell’Aviazione e dei Carabinieri, a quelli delle cavallerie eritrea e libica, tutti meno due: gli ascari paracadutisti e gli ascari della Polizia dell’Africa Italiana, per la semplice ragione che le due specialità furono costituite l’anno successivo, nel 1938. Anzi, con gli “ascari del cielo” sarebbe nato l’iniziale nucleo del paracadutismo italiano. Il primo lancio di quei pionieri fu infatti effettuato nel 1938, sul Gebel cirenaico, da 800 paracadutisti libici addestrati da ufficiali e sottufficiali nella scuola della nuova specialità che nello stesso anno il governatore della Libia, Italo Balbo, aveva fatto istituire a Tripoli.
Ascari del Corpo Truppe Coloniali si presentarono in gran numero per essere ammessi alla scuola, affascinati all’idea di far parte del primo “Battaglione Fanti dell’Aria” . Riuscirono a superare le impegnative prove attitudinali in 450, insieme con 30 ufficiali e sottufficiali nazionali. Successivamente, con l’afflusso di altri volontari, fu costituito un secondo battaglione indigeno e un primo battaglione di nazionali, sino a unificare i tre battaglioni in un unico 1 Reggimento Paracadutisti.
L’anno successivo alla fondazione della prima scuola italiana di paracadutismo a Tripoli, fu inaugurata nel 1939 a Tarquinia quella per formare i reparti nazionali. Vi furono addestrate due divisioni che poi avrebbero fatto storia, la “Folgore” nel 1941, e la “Nembo” nel 1942.Alla sfilata romana furono particolarmente ammirati i meharisti sahariani, uno spettacolo fascinoso e inedito nelle strade dell’Urbe, con tutti quei cammelli dal portamento solenne e maestoso e quei misteriosi uomini del deserto avvolti nei veli bianchi delle loro uniformi per sopravvivere alle torride temperature delle sabbie roventi. Questo Corpo militare, molto speciale, era stato costituito in Somalia nel 1910, con reparti addestrati ad operare in territori ampiamente sabbiosi e di scarse risorse idriche. Successivamente furono inquadrati in gruppi e squadroni sahariani e impiegati nelle zone desertiche libiche dove gli automezzi non potevano avventurarsi, pena paralizzanti insabbiamenti.
Quanto fossero preziosi i “dromedari veloci” per operazioni nel deserto lo avevano già scoperto i Romani nelle loro conquiste in Africa e Mesopotamia, e più tardi anche Napoleone, che li impiegò nella spedizione verso le Piramidi del 1798.
Nella sfilata ai Fori Imperiali dei meharisti, gli animali sembravano più sorpresi dei cavalieri nel percorrere strade asfaltate, mai prima conosciute e non più la familiare e faticosa sabbia delle dune. Anche le cavalcature dei meharisti erano molto speciali, non i comuni dromedari, ma una varietà particolare di animali molto veloci, in grado di percorrere sino a 200 chilometri al giorno a rapida andatura. Ancora oggi è la cavalcatura preferita dai Tuaregh, i famosi “uomini blu”, nomadi del Sahara, abili guerrieri ma anche pastori e allevatori di cammelli. Detti “uomini blu” in quanto usano coprirsi il capo e il volto per proteggersi dalla sabbia con veli neri o blu. Non sono arabi, con i quali non hanno un buon rapporto, ma di antiche origini meticce, per le vicinanze delle regioni dell’Africa Nera.
Molto ammirati nella parata romana anche i “dubat” somali, snelli, scattanti, dal passo lungo, nerissimi di pelle ma bianchissimi nei turbanti e nell’abbigliamento molto leggero per potersi muovere con agilità nei rapidi spostamenti a guardia delle frontiere. Vigili e fedeli furono sempre pronti a reagire contro le incursioni dei razziatori abissini entro i nostri confini. Il più famoso fu Alì Ualle che comandava il posto di frontiera di Ual-Ual al momento di respingere il proditorio attacco del capo predone Omar Sammantar che in precedenza aveva assassinato a pugnalate un nostro ufficiale e con i suoi uomini massacrato i difensori di un nostro presidio. L’incidente di Ual-Ual – dove rifulse il valore dei “dubat”- fu la scintilla che accese il conflitto italo-etiopico del 1935.
Suscitarono curiosità anche gli “zaptiè”, i Carabinieri Eritrei, che poi si copriranno di gloria durante la disperata ed ultima resistenza in Africa Orientale sugli spalti di Cheren. Non meno applauditi gli ascari della Marina, anche loro straordinari protagonisti di eroiche vicende nel Mar Rosso quanto per noi ormai era tutto perduto.
Pittoreschi gli ascari a cavallo “Penne di falco”, in due versioni, i “Savari”, equipaggiati come i militari della cavalleria nazionale,e gli “Spahis” attrezzati secondo la tradizione locale, armati di lancia o sciabola, fucile e pistola. Gli “Spahis” avevano alle spalle una lunga e remota storia, sin da quando questo Corpo speciale di Cavalleria Leggera Ottomana era stato costituito nel 1362 dal sultano Murad I, vincitore anche per merito di questi combattenti, di molti eserciti: bizantini, ungheresi, serbi, dell’imperatore di Bisanzio, insomma, di mezza Europa balcanica sino al Kosovo, dove morì nel 1369. Gli “Spahis” furono poi ricostituiti nel 1834 dal generale francese d’Erbon, che li impiegò in Algeria, Marocco e Tunisia. Infine furono adottati anche dagli italiani dopo la conquista della Libia, che ne fecero un reparto scelto della cavalleria coloniale.
Applauditi infine i reparti molto fantasiosi degli ascari di fanteria, che sfilarono in gioioso disordine cantando inni nelle loro lingue ed agitando in aria i moschetti. Raccolti in vasti accampamenti, gli ascari vivevano insieme con le famiglie, in ordinate comunità, in un clima di serenità: il comandante italiano era considerato un punto di riferimento, al quale rivolgersi con fiducia per risolvere problemi di ogni genere, far venire un medico per il figlio febbricitante, risolvere controversie, persino per riportare la pace fra marito e qualcuna delle sue mogli, gelosa delle altre.
Mentre in Libia le truppe coloniali erano costituite da reparti nazionali e indigeni, in Eritrea e in Somalia, in tempo di pace, operavano soltanto gli ascari, comandati da ufficiali e sottufficiali nazionali.
Le truppe locali diedero un notevole contributo alla nostra storia coloniale. Anche in termini di vite umane. Cinquemila morti nelle campagne contro l’Abissinia dal 1890 al 1896; mancano dati attendibili dei Caduti nei combattimenti in Libia contro i Turchi nel 1911 e contro i senussiti negli anni ’30, mentre 4.500 rimasero sui campi di battaglia nella campagna etiopica del 1935-37; incerto il numero – ma sicuramente molto alto – degli ascari che caddero durante la seconda guerra mondiale in Eritrea, Somalia, Africa Orientale e Libia. Finita la guerra, i nostri ascari avrebbero meritato riconoscenza, invece furono frettolosamente dimenticati, e con loro oltre settant’anni di fedeltà e di comuni percorsi di storia.
Accorato interprete dello stato d’animo di quanti servirono l’Italia è uno dei più influenti rappresentanti della comunità eritrea, Zegai Kahsai: “Io stesso sono orfano di un padre che dopo 26 anni di servizio con l’Italia è morto combattendo; perché avete dimenticato il mezzo milione di eritrei caduti nelle guerre combattute dall’Italia in Africa?”.
Loro non dimenticano l’Italia, anche perché il nostro Paese aveva scelto una strada ben diversa, completamente opposta a quella praticata dalle altre potenze coloniali che senza alcuno scrupolo impiegavano reparti africani nei fronti delle guerre europee. L’Italia infatti non portò mai alcun soldato delle truppe coloniali a combattere in Europa. Non solo, ma non portò mai volontari stranieri nei nostri territori d’Oltremare, come facevano i francesi con la Legione Straniera, gli spagnoli con il Tercio, e gli inglesi con i militari indigeni arruolati in India e nelle colonie asiatiche.
Le nostre truppe invece operarono soltanto ed esclusivamente in Africa, suddivise in reparti regolari e in bande irregolari. Unica forza trascinatrice, il prestigio dei comandanti nazionali o dei capi del luogo.
La sfilata dei nostri Ascari per le vie di Roma, nel primo anniversario della fondazione dell’Impero, si concluse in un clima di grande festa e di fraternità, con i romani che facevano a gara per testimoniare agli ospiti il loro entusiasmo.

Franz Maria D'Asaro
Tratto da: www.italiaeritrea.org  

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Data di creazione: 27/05/2005
 

 
   Agli Ascari d'Eritrea 

- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

Mohammed Ibrahim Farag

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

Unatù Endisciau 

Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

QUESTA È LA MIA STORIA

.... Racconterà di un tempo.... forse per pochi anni, forse per pochi mesi o pochi giorni, fosse stato anche per pochi istanti in cui noi, italiani ed eritrei, fummo fratelli. .....perchè CORAGGIO, FEDELTA' e ONORE più dei legami di sangue affratellano.....
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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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