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da Il paese delle donne

Post n°36 pubblicato il 15 Marzo 2007 da agentealcairo
 

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Il macchinista ferma il treno per interrompere una violenza: rischia la sospensione

mercoledì 14 marzo 2007

Pubblichiamo il testo che l’autrice, Lia Di Peri, ha inviato alla consigliera regionale della Puglia, Elena Gentile, per metterla al corrente di una vicenda, che testimonia, quanta strada ci sia ancora da fare, per scardinare (se mai sarà possibile) una mentalità patriarcale di sopraffazione e ingiustizia nei confronti delle donne

Apprendo, con immenso piacere, dal sito nazionale della pari opportunità, la notizia dell’approvazione da parte del consiglio regionale della Puglia, del DDL riguardante “Norme per le politiche di genere e i servizi di conciliazione vita-lavoro in Puglia”.

Concordo con Lei che “è una legge vera perché disegna un profilo alto di governo per le politiche di genere e di conciliazione”. Credo, possa essere un passo in più, in direzione di quella lotta contro le ingiustizie nei confronti del genere femminile. Ingiustizie, che affondano le radici ancora oggi, sul terreno di un ordine patriarcale e pertanto gerarchico.

Mi permetto di raccontarle una storia vera, successa qualche sera fa (per la precisone, sabato 10 marzo 2007) in uno scompartimento del treno della ferrovia appulo-lucane, nella tratta "Altamura-Gravina" intorno alle 22, circa.
A quell’orario, le carrozze del treno, erano pressoché deserte,e, gli unici viaggiatori, erano una coppia (lei e lui) giovane. Oltre, ovviamente, al personale formato dal capotreno e dal macchinista.
Ad un certo punto, il macchinista (del quale per il momento ometto il nome), udendo delle voci concitate provenienti dallo scompartimento dove la coppia si era sistemata, chiede (sic!) al capotreno, di verificare cosa stesse succedendo.
Il capotreno però, si rifiuta, adduccendo una futile motivazione sul tipo la “litigiosità dei giovani d’oggi”.

Dopo un po’, le voci, sono diventate delle vere urla (da parte della ragazza) e, all’ennesima richiesta, del macchinista al capotreno di andare a controllare, riceve l’ennessimo rifiuto.
A quel punto, il macchinista, udendo i lamenti della ragazza, ha ritenuto che qualcosa di grave stava succedendo, e costretto dall’inazione, del capotreno, che continuava a sollecitare il macchinista di “non farci caso,perché i giovani hanno un modo tutto loro di litigare”, intuendo che, qualcosa di più grave stava succedendo, decide di fermare il treno.

Uscendo dalla cabina, ai suoi occhi, appare una scena raccapriciante: la ragazza stava subendo percosse da parte del “findanzato” il quale, nonostante, il naso e il viso ridotto ad una maschera sanguinante, continuava a batterla. Grazie all’intervento di quel macchinista, l’incubo della ragazza, finiva e, alla stazione di Gravina, l’uomo, veniva preso in consegna dai carabinieri (chiamati sempre dal macchinista) mentre, la ragazza, veniva curata sul posto dagli operatori del 118.

Le racconto questa vicenda, non per metterla al corrente, dell’ennesima violenza perpetrata nei confronti di una donna, più semplicemente, per informarla che il macchinista, dopo l’intervento atto a salvare la ragazza, non soltanto ha subìto la relazione del capotreno, sulla violazione del regolamento (per aver fermato il treno) ma subisce adesso, l’isolamento posto in essere dalla maggior parte dei colleghi, che gli contestano, il fatto che, “si è permesso di scrivere una relazione denunciando il comportamento omissivo del capotreno”.

C’è in corso, un’indagine interna del CdA delle ferrovie appulo-lucane, che è indirizzata (secondo, quello che si è potuto intuire) a produrre una decisione di tipo salomonico: punizione per entrambi con relativi giorni di sospensione.

Se questo sarà vero o no, si saprà tra breve. Quello che mi preme sottolineare è l’ingiusto isolamento, per ragioni di carattere gerarchico e (sotto) culturali, alle quali da quel giorno, va incontro il dipendente che ha avuto “il torto”, di seguire ciò che la sua coscienza (civile) gli suggeriva e di far smettere una violenza contro una donna.

Coscienza e impegno, assenti viceversa, in colui che, per dovere, aveva (ed ha) la responsabilità di non fare mancare.
Come donne, da anni, denunciamo le ingiustizie, i soprusi (fisici e psicologici) le violenze, commessi nei confronti del genere femminile da parte di un ordine patriarcale e gerarchico. Un ordine che è rimasto (e rimane, per molti versi) sordo alle istanze e richieste delle donne di un riconoscimento dell’identità di genere ancorato com’è a quel primato genealogico maschile.
E quando, viceversa, (come quella sera) un “miracolo” è avvenuto (un uomo ha deciso di spezzare quell’ordine) “il branco”, di quella comunità maschile (le ferrovie apulo lucane, non hanno nessuna lavoratrice donna) insorge. Difendendo quel “simbolico” confermato, dall’applicazione rigida di un regolamento che si fa interprete di un ordine (costituito) gerarchico, misogino e cieco ad una vicenda umana. “Troppo umana”. E femminile.

 
 
 
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