Creato da HansSchnier il 28/10/2009

PEZZI, pezzotti

(le Opinioni tarocche)

 

 

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Capozzi

Post n°202 pubblicato il 22 Maggio 2013 da HansSchnier

Questa piccola storia da libro Cuore è vera, e vorrei raccontarla con semplicità, se ci riesco.

Marco Capozzi era un mio coetaneo. Alle elementari del mio paese eravamo entrambi considerati esemplari: lui era il modello negativo, il disordinato fino alla sciatteria, il piccolo perdente; io ero troppo bravo, parlavo bene l'italiano, la maestra mi esaltava. Preciso che non stavamo nella stessa classe. La cattiva fama di Capozzi era internazionale.

Anche alle scuole medie, non è che facesse grandi progressi, Capozzi, col suo cognome un po' goffo, però era un cognome da grande giurista, l'avesse saputo si sarebbe iscritto a giurisprudenza! Se solo si fosse diplomato.

Lo persi di vista. Passarono gli anni.

Ed eravamo ormai sulla trentina.

Io mi ero ormai sposato, mia madre era ancora viva? Non ricordo, forse sì. Avevo le mie piccole certezze economiche: un ottimo posto di lavoro, non dovevo pagare l'affitto, per giunta quel giorno ero in ferie.

Anzi, quella notte ero in ferie. Mio figlio, il delinquente, era già nato o ancora non delinqueva? Non riesco a ricordare. Quella notte mia moglie stava dormendo e io prendevo un po' d'aria al balcone.

Devo fare una descrizione, non posso proprio farne a meno. Sotto casa mi ritrovo un piazzale dalla forma oblunga, con la pavimentazione antica (i bàsoli di pietra lavica), forse un po' leziosa, bruscamente compensata dal condominio anni '60 in orrido stile funzionale che mi toglie il sole ad est. A monte del piazzale c'è una strada stretta, i SUV riescono a intrufolarvisi con qualche difficoltà. E alla sommità della strettoia c'è una chiesetta, intitolata agli Angeli custodi.

Di solito c'è traffico. E anche di notte passano motorini rombanti, specialmente ad agosto. Quella notte non passava nessuno. Gli Angeli avevano frapposto uno sbarramento invisibile. Dalla strettoia doveva scendere Capozzi, con suo figlio a cavalcioni sulle spalle.

Io guardavo, ero l'unico spettatore. Capozzi all'epoca lavorava in un cantiere edile, credo si fosse sposato anche lui. (Se mi leggesse un parente: mi dispiace per eventuali inesattezze.)

In questo silenzio non dico surreale, ma certamente insolito, Capozzi e il figlio scherzavano tra loro. Doveva essere un ottimo padre. Il bambino annuiva, sorrideva, parlottava. Erano belli, non smettevo di guardarli. Ovviamente stavo zitto. Non guardavano verso i balconi, non mi vedevano. Io non volevo mica che mi vedessero. E mi sentivo libero: Capozzi non era più il perdente, io non ero l'odioso modello positivo, ero solo uno spettatore, in una notte estiva. In un curioso silenzio. Quel genitore e quel bambino si volevano bene visibilmente, perfettamente.

Erano perfetti come un gol di Maradona, ma senza competizione. Erano esemplari, ecco la parola. Esemplari. In un modo completamente diverso dal passato.

Pochi giorni dopo gli Angeli ritennero che Capozzi fosse decisamente troppo bello per stare a questo mondo, e - a costo di dare un dispiacere al figlioletto, ma si vede che la cosa era urgente - se lo pigliarono, con un blocco di lapilcemento dall'altezza giusta, proprio sulla scatola cranica. Mentre stava lavorando. Ciao ciao.

Quando si dice la perfezione.

 

 
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