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Post N° 73

Post n°73 pubblicato il 30 Settembre 2008 da ziggystardust10

LAMPI NEL BUIO

 
Da 16 anni, dal 19 luglio del 1992, i manovratori delle luci hanno fatto calare le tenebre attorno alla scena della strage. Sono rimasti solo i riflettori accesi sul numero 19 di via D’Amelio. Con una luce forte, accecante, in maniera che gli occhi, colpiti da quella luce, non riescano a distinguere quello che succede attorno, in mezzo alle tenebre.
Buio sul castello Utveggio, su via dell’Autonomia Siciliana, buio sul golfo di Palermo, sull’Arenella, sull’Acquasanta, le tenebre coprono tutto, si può solo sentire ogni giorno, alle 17, il suono delle sirene che arriva da via dell’Autonomia Siciliana, le macchine blindate che sbucano d’improvviso da quelle tenebre in una via che dovrebbe essere sgombra, dove dovrebbe essere vietato fare sostare le macchine e che invece ne è tanto piena che, una volta entrati, se ne può uscire solo a marcia indietro.
Ogni giorno, alla stessa ora, il giudice scende dalla macchina lasciando la sua borsa di cuoio sul sedile posteriore, deve solo suonare il campanello della casa di sua madre e dirle di scendere perché deve accompagnarla dal cardiologo.
Tutti gli uomini e l’unica donna della sua scorta scendono insieme a lui e gli si fanno attorno, non hanno che il loro corpo per proteggerlo. Il giudice suona il campanello e non si capisce se riesce a pronunciare qualche parola prima che l’esplosione di centinaia di chili di tritolo, anzi di Semtex, l’esplosivo usato dai militari, scateni l’inferno.
Antonino Vullo, l’autista della macchina del giudice, è restato dentro l’auto, sta facendo la manovra per essere pronto a ripartire appena il guidice ritornerà tenendo per il braccio la madre. Un’onda di calore lo sbalza all’indietro ma la macchina è blindata e resiste all’onda d’urto.
Ogni giorno, alla stessa ora, scende ferito e intontito dalla macchina e camminando sente sotto i piedi delle cose molli, sono i pezzi dei suoi compagni, cammina con i piedi in mezzo alle pozzanghere, è il sangue dei suoi compagni, del suo giudice, insieme ai quali, da allora, continuerà a desiderare di essere morto per non dovere rivivere ogni giorno ed ogni notte, nei suoi terribili sogni, sempre la stessa scena.
Il giudice viene tagliato in due, il troncone del suo corpo viene sbalzato tra quel che rimane della cancellata e la facciata crollata del palazzo. Dei corpi dei ragazzi che lo proteggevano non rimane quasi nulla, una mano vola ogni giorno in alto, in una sequenza senza fine, e si ferma su quello che è rimasto su un balcone del quinto piano.
La madre del giudice sa che è scoppiata quella bomba che tutti sanno, da due mesi, servirà per eliminare, dopo l’altro giudice, anche suo figlio, ma, per pietà, il suo cervello le fa credere che siano scoppiate le tubature del gas ed allora, a piedi nudi, corre per le scale, cerca di arrivare all’esterno, scende per quattro piani in mezzo alle macerie, alle vetrate distrutte, ma arriva giù senza un graffio. Forse suo figlio, prima di andare via per sempre, la prende in braccio e la porta giù, dolcemente e, quando passa vicino al suo corpo, le chiude gli occhi per non farle vedere quello che è rimasto di lui, quello che è rimasto di Emanuela, di Agostino, di Claudio, di Vincenzo, di Walter. In ospedale, dove la porta un pompiere che la raccoglie dalle braccia del giudice, dirà di non avere visto niente di quell’inferno che c’era davanti al numero 19 di via d’Amelio, di non avere visto il corpo di suo figlio, di non avere visto il sangue che riempiva la strada
Ogni giorno alla stessa ora, qualcuno, dal Castello Utveggio, vede distintamente il giudice che sta per premere il pulsante del citofono e preme il pulsante del telecomando che scatena l’inferno, il castello ora è immeso nelle tenebre ma da lassù l’ingresso del numero 19 di via D’Amelio si distingue chiaramente, illuminato dalla luce accecante dei riflettori ed è facile sincronizzare il comando al momento in cui viene premuto il campanello e non lasciare scampo al giudice ed agli uomini della sua scorta.
Ogni giorno, alla stessa ora, il Cap. Giovanni Arcangioli si avvicina alla Croma blindata del Giudice e prende la borsa di cuoio che contiene l’agenda rossa, o è qualcuno a porgergliela, in mezzo alle fiamme ed al fumo non si distingue bene, ma poi si allontana con passo sicuro, guardandosi intorno, verso via dell’Autonomia Siciliana dove c’è qualcuno ad aspettarlo Quell’attentato è stato preparato anche per potere avere in mano quell’agenda.
Nell’allontanarsi dalla macchina calpesta gli stessi pezzi di carne, lo stesso sangue che ha calpestato l’agente Vullo, ma dal suo viso non traspaiono emozioni, forse ha un preciso incarico da compiere, è come essere in guerra, e in guerra le emozioni devono essere controllate. Arriva in Via dell’Autonomia Siciliana ma qui le luci dei riflettori che illuminano la scena della strage non arrivano, c’è il buio, il buio assoluto e non si riesce a vedere a chi il Cap. Arcangioli consegna la borsa e chi ne estrae l’agenda rossa del Giudice. Vediamo solo, ancora sotto la luce dei riflettori, qualcuno che un’ora dopo riporta la borsa, ormai vuota di quell’agenda che potrebbe inchiodare gli assassini del Giudice e chi aveva interesse ad eliminarlo,, sul sedile posteriore della macchina blindata.
Sono passati 16 anni e ogni anno, al 19 di luglio, arrivano i padroni dei tecnici delle luci, portano delle corone, le appoggiano alle cancellate, si fanno fotografare, e intanto sorvegliano che tutto vada come previsto, che i riflettori siano sempre accesi con la loro luce accecante sul luogo della strage e che tutto intorno sia tenebra, che niente si riesca a vedere di quello che è successo, di quello che succede, intorno al luogo della strage.
Ma i tecnici delle luci possono controllare solo i riflettori, non possono controllare il cielo e ogni tanto, nel buio, qualche lampo arriva a squarciare le tenebre e lascia intravedere anche se solo per un attimo, quello che loro non vogliono farci vedere, quello che non dobbiamo, non possiamo vedere, non possiamo sapere perché su di esso sono fondati gli equilibri e i ricatti incrociati che tengono in piedi questa seconda repubblica, questo nuovo regime fondato sul sangue delle stragi del 1992.
Ecco un lampo che squarcia le tenebre. Sono le 7 del mattino del 19 luglio, in via Cilea, a casa del Giudice che è in piedi dalle 5, arriva una telefonata del suo capo, Pietro Giammanco. Non gli ha mai telefonato a quell’ora, e di domenica, non lo ha avvisato di un rapporto del Ros in cui si rivelava che era arrivato a Palermo un carico di tritolo per l’attentato al Giudice che ha potuto conoscere la circostanza per caso, all’aereoporto, incontrando il ministro Scotti, e che sui motivi di questa omissione con il suo capo, ha avuto un violento alterco. Non gli ha ancora concesso, da quando è rientrato da Marsala prendendo le funzioni di Procuratore Aggiunto a Palermo,  la delega per condurre le indagini in corso sulle cosche palermitane e, in conseguenza, la possibilità di interrogare  senza la sua espressa autorizzazione, pentiti chiave come Gaspare Mutolo. Ora, il 19 luglio, quando la macchina per l’attentato è già posteggiata davanti al numero 19 di via D’Amelio, gli telefona per dirgli che gli concede quella delega e gli dice una frase che, oggi, suona in maniera sinistra “così si chiude la partita”. La moglie del Giudice, Agnese, lo sente urlare al telefono e dire “no, la partita comincia adesso” e lo stesso giudice, qualche tempo prima, aveva confidato al maresciallo Canale, che lo affiancava nelle indagini, che “in estate avrebbe fatto arrestare Giammanco perché dicesse cosa conosceva sull’omicidio Lima”, dal recarsi ai funerali del quale lo stesso Giammanco venne dissuaso solo all’ultimo momento da un procuratore.
Ecco un altro lampo, è ancora il 19 Luglio e si vede il Giudice nella casa in cui si trasferisce in estate, a Villagrazia di Carini che invece di dormire per una mezzora, come è solito fare dopo aver mangiato, continua a fumare nervosamente tanto da riempire un portacenere di mozziconi, e intanto scrive sulla sua agenda rossa, poi prende la sua borsa di cuoio, vi mette dentro l’agenda e il pacchetto di sigarette, saluta i suoi, e parte con la scorta verso il suo ultimo appuntamento, quello con la morte che, dopo la morte di Giovanni Falcone, ha sempre saputo che sarebbe presto arrivata, tanto da continuare a dire a sua madre e a sua moglie “devo fare in fretta, devo fare in fretta
Ecco un altro lampo e in mezzo alle tenebre che circondano il castello Utveggio si vede qualcuno in attesa, ecco che arriva una telefonata sul suo cellulare ed allora punta il binocolo sul portone al numero 19 di via d’Amelio, vede scendere il giudice dalla macchina blindata, lo vede alzare la mano verso il pulsante del citofono e allora preme un altro pulsante di un telecomando che stringe nella mano e subito si vede una colonna di fumo e si sente un boato ed allora, dopo avere osservato in mezzo al fumo, per un attimo, gli effetti dell’esplosione, prende il cellulare fa un numero e dice appena qualche parola. Poi il baleno provocato dal lampo finisce e tutto ripiomba ancora nelle tenebre.
Ecco un altro lampo, e si vede una barca nel golfo di Palermo, è piena di uomini, ma non sono persone qualsiasi, appartengono tutti ai servizi segreti così che le loro testimonianze potranno, dovranno essere tutte concordi. E’ quasi l’ora dell’attentato e tutti sono in silenzio, sembrano attendere qualcosa. Poi si ode, attutito dalla distanza e dalla montagna un tremendo boato, e dalla parte di Palermo verso il monte Pellegrino si vede alzare una alta colonna di fumo e quasi subito dopo arriva una telefonata. Il giudice è morto, quel maledetto ostacolo sulla via della trattativa è eliminato. Dai telefoni cellulari sulla barca partono altre telefonate concitate poi il motore viene acceso e la barca riparte velocemente verso il porto.
Per chiunque, in Italia, sono passate dalle quattro alle cinque ore prima di sapere che il giudice era morto, che quella morte annunciata era arrivata, ma per chi stava su quella barca sono bastati solo centoquaranta secondi per sapere tutto. Ma ora il baleno provocato dal lampo è finito e tutto è ripiombato nelle tenebre.
Un altro lampo, ma stavolta è troppo di breve durata per capire se è veramente Bruno Contrada quell’uomo che si aggira in via D’Amelio subito dopo la strage come due capitani del Ros, Umberto Sinico e Raffaele del Sole affermano di avere saputo dal funzionario di polizia Roberto Di Legami che riportava a sua volta una relazione di servizio, poi distrutta, di alcuni agenti accorsi sul lugo della strage.
Ancora un altro lampo che squarcia per poco tempo le tenebre. È la fine di Giugno e si riesce a vedere Vito Cianciminio che consegna al Cap. De Donno e al Col. Mori un foglio scritto a mano, il papello di Riina, con le dodici richieste del capo della cupola per fermare l’attacco al cuore dello Stato.
Un altro lampo, è il 1 di Luglio e si vede il giudice al ministero, davanti alla porte di Mancino, per un incontro a cui è stato chiamato dallo stesso ministro mentre stava interrogando Gaspare Mutolo. Il giudice ha annotato questo appuntamento nella sua agenda : 1 Luglio, ore 19 : Mancino, ma la luce provocata dal lampo si esaurisce e non riusciamo a vedere chi c’e’ dietro quella porta ad aspettarlo e che cosa gli viene detto. Dall’agitazione del giudice quando torna ad interrogare Mutolo si può solo immaginare che gli viene detto che lo Stato ha deciso di aderire alla richieste contenute nel papello e la reazione del giudice che deve essere stata violenta e sdegnata tanto da non lasciare spazio, per concludere la trattativa, ad altra possibilità se non quella di eliminarlo, ed eliminarlo in fretta, ma le tenebre sono troppo fitte per vedere qualcosa e solo Mancino ci potrebbe dire, se guarisse improvvisamente dalle sue amnesie, che cosa accadde veramente in quella stanza.
Altrimenti potremo solo aspettare, se mai avverrà, che una serie continua di lampi squarci le tenebre ed allora potremo veramente vedere quali e quanti mani, tra quelli che oggi godono i frutti dei nuovi equilibri raggiunti, siano lorde del sangue delle stragi del 92 e di quelle altre stragi che, nel 93, furono necessarie prima che la trattativa venisse conclusa

 
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Post n°72 pubblicato il 30 Settembre 2008 da ziggystardust10

L'ATTEGIAMENTO FREDDO DI PIERO GRASSO

 
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LA STRANA MORTE DI ATTILIO MANCA

Post n°71 pubblicato il 30 Settembre 2008 da ziggystardust10
Foto di ziggystardust10

Attilio Manca ucciso da Cosa Nostra? PDF Stampa E-mail

 

di Tony Zermo - 4 settembre 2008
La Procura della Repubblica di Viterbo ha riaperto le indagini su un «giallo» tutto siciliano, perché la morte del giovane urologo Attilio Manca di Barcellona Pozzo di Gotto, archiviata come decesso per droga, è in effetti un chiaro omicidio di mafia.


 E che mafia, perché chiama in causa il boss dei boss Bernardo Provenzano. Attilio Manca, 34 anni, urologo all'ospedale di Viterbo, venne trovato morto nel suo appartamento della cittadina laziale il 12 febbraio 2004. Aveva sul braccio sinistro i segni di due iniezioni di eroina. Per gli inquirenti la morte era dovuta a una overdose. E invece non quadrava nulla, perché il medico non aveva mai fatto uso di stupefacenti, e poi era mancino: come avrebbe potuto farsi quelle iniezioni sul braccio sinistro? Inoltre aveva il volto tumefatto, il setto nasale deviato e numerose escoriazioni, il corpo era stato trovato in un lago di sangue. Un'indagine meno superficiale avrebbe dovuto far sospettare l'omicidio.
Perché dovevano uccidere il giovane medico? Tutto lascia supporre che era un testimone scomodo. Provenzano aveva grossi problemi alla prostata, aveva trovato nascondiglio nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto protetto dalla mafia locale. Di certo nei giorni in cui il boss veniva operato in una clinica di Marsiglia il dottor Attilio Manca si trovava nella città francese. Molti indizi lasciano credere che Manca abbia assistito all'operazione cui si sottopose Provenzano. Attilio Manca era stato uno dei primi in Italia a fare un'operazione alla prostata per via laparoscopica, era dunque un esperto, nonostante la sua giovane età, e questo perché era stato un anno a Parigi per apprendere bene questo tipo di intervento.
Racconta la madre Angela Gentile: «Che mio figlio fosse a Marsiglia il giorno in cui si operava Provenzano non ci sono dubbi, perché ci telefonò lui stesso. In quella telefonata ci disse anche una cosa strana: "Mamma, dacci un'occhiata alla mia moto che è nella casa a mare di Tonnarella". Abbiamo fatto vedere la moto, ma era perfettamente funzionante. Cosa ci voleva dire? Negli ultimi tempi era cambiato, era diventato acido, le nostre conversazioni ridotte al minimo. Anche un suo collega, il dottor Fattorini, che lo aveva visto depresso se l'era portato in campagna. Gli aveva chiesto cosa lo turbasse e lui aveva risposto: "Non te lo posso dire". E quando Fattorini gli consigliò di parlare almeno ai genitori, lui rispose che erano troppo lontani e che certe cose non si potevano dire per telefono. Credo che non ci abbia detto niente per tenerci al riparo da un possibile coinvolgimento».
Ma perché il dottor Attilio Manca sarebbe stato indotto a partecipare all'operazione di Provenzano? «Secondo me - dice ancora la madre - lui non sapeva che si trattava di un boss, altrimenti non ci sarebbe mai andato. Era stato più volte a Parigi, ma per apprendere, non era mai stato all'estero per partecipare ad un'operazione. Qualcuno deve averlo convinto a recarsi a Marsiglia per assistere un paziente. Quando poi ha capito di cosa si trattava sono cominciati i tormenti e lo hanno tolto di mezzo in maniera sbrigativa. Tra l'altro, uccidendolo a Viterbo, hanno evitato che del caso si interessasse una Procura siciliana. Le indagini sono state frettolose, sarebbe bastato vedere i tabulati dei telefonini per accertare che Attilio era a Marsiglia negli stessi giorni di Provenzano e che questo semplice fatto meritava un approfondimento. E poi, se era mancino, come si spiegavano quei due buchi sul braccio sinistro? E perché tutto quel sangue? Ho fatto tre appelli al procuratore nazionale Pietro Grasso che non ha risposto. Ho sollecitato pure la Procura di Palermo, che indagando su Provenzano avrebbe potuto occuparsi della strana morte di mio figlio. Ora spero che con la riapertura delle indagini si sappia la verità, perché quel qualcuno che ha convinto mio figlio di andare a Marsiglia deve avere un nome e un cognome. Questo è un delitto di mafia che è stato mascherato da morte per overdose e su cui per più di quattro anni era calato il silenzio».

Tratto da:
La sicilia     

 
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PIERO CALAMANDREI L'AVEVA PROFETIZZATO 60 ANNI FA.

Post n°70 pubblicato il 18 Luglio 2008 da ziggystardust10

Come istituire una dittatura indebolendo la scuola pubblica

Leggete cosa pensava Pietro Calamandrei dei tagli ai finanziamenti alla scuola pubblica. http://precariliguria.blog.kataweb.it/2008/07/16/ieri-come-oggi/

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi:
1. ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
2. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
3. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!
Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.
Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.
Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito […].

Piero Calamandrei
discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale
Roma 11 febbraio 1950

 
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Post N° 69

Post n°69 pubblicato il 12 Giugno 2008 da ziggystardust10

 
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IL SERVILISMO DI ANTONIO RICCI

Post n°68 pubblicato il 24 Maggio 2008 da ziggystardust10
 

IL fustigatore di comodo, ma solo delle cose che NON ledono gli itneressi di chi lo paga e profumatamente. Mai una parola contro Previti, mai un tapiro a Dell'utri.

Ha fatto bene a smascherare Wanna marchi, ma il suuo padrone NON si tocca.

Mi dispiace che Dario Fo e Grillo lo abiano difeso qualche volta.

Piero Ricca lo smaschera sul suo sito e sul video di YOU TUBE

www.pierorcca.it

 
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Post N° 66

Post n°66 pubblicato il 27 Aprile 2008 da ziggystardust10

UNA TALPA SPIA CHI INDAGA SU DUISBURG

 DE GREGORIO E

DELL'UTRI

 
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Post N° 65

Post n°65 pubblicato il 27 Aprile 2008 da ziggystardust10
 

da repubblica on line

26 aprile 2008
Reggio Calabria.
Trovata microspia in un ufficio
Un prodotto non molto raffinato con un raggio d'intercettazione di 20 metri
La spia, dunque, non stava lontana dal locale. Potrebbe essere un magistrato


Alla procura della Repubblica di Reggio Calabria c'è una "talpa" - forse, è addirittura un magistrato. Il 22 aprile scorso è stato ritrovata una microspia in un ufficio. E' un locale dove per precauzione - non ritenendo "sicura" la sua stanza - il pubblico ministero Nicola Gratteri, titolare dell'inchiesta sulla strage di Duisburg, incontra la polizia giudiziaria, concorda e dispone le indagini, prende in esame le fonti di prova raccolte.

La microspia, per quel che se ne sa, non è un prodotto molto raffinato. Funziona a batteria, e quindi necessita di ricariche periodiche. Ha un'antenna che diffonde le intercettazioni in un raggio non superiore ai venti metri.

Le due circostanze lasciano pensare agli investigatori che la "talpa" sia a pochi passi da quella stanza e possa essere addirittura un magistrato. Negli ultimi mesi, le inchieste della Procura di Reggio Calabria sono state danneggiate sensibilmente dalle fughe di notizie, secondo alcuni pubblici ministeri, "pilotate" ad arte per sabotarle.

E' accaduto così per le indagini sulle relazioni pericolose del senatore Sergio De Gregorio e i rapporti tra Marcello Dell'Utri e il "faccendiere" Aldo Micciché che prometteva di poter manipolare i voti degli italiani del Sud America.

ancora lui

 BACIAMO LE MANI DON MARCELLO

 
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ORA DON MARCELLO PUO' STARE TRANQUILLO

Post n°64 pubblicato il 18 Aprile 2008 da ziggystardust10
 

(come se si fosse mai preoccupato)

Caro Don marcello, sono veramente felice per te. Da  ora in poi basta con queste aule di giustizia, con questi giudici comunisti, basta con l'ipotetico, molto ipotetico, straipotetico rischio di una condanna per associazione mafiosa.
Ora potrai  impedire per esempio l'uso delle intercettationi, oppure potresti fare una belle legge re-interpretativa del reato di associaizone mafiosa. E' vero quei rompiscatole di Falcone e Borsellino formularono il "concorso esterno", ma sono sicuro che Ghedini, Pecorella, ecc ecc , con oltre 500 deputati e senatori scodinzolanti, saprete riformularlo in modo che simili bestemmie non si ripetano più, e tu e queli come te possano vivere felicemente. E poi non ti preoccupare pm e giudici a palermo mi sembrano dei bravi picciotti. Vuoi mettere con quel rompico. di Ingroia? E poi c'è sempre la fidata cassazione, che non delude, vero?

Sono felice perchè ti è andata bene anche per la condanna per tentata estorsione. DAI CONFESSA....... UN REGALO SIMILE DA DAVIGO E DA UN GIUDICIE DEI DS NON TE LO ASPETTAVI, vero?
anche i tuoi avvocati sono rimasti piacevolmente sorpresi.

DAVIGO SI E' COMPORTATO VERAMENTE BENE, ha subito capito cosa vuol dire essere in cassazione. Pazienza se gli atti del processo di Milano perderano anche valore per quello di aplermo, vuoi mettere le garanzie per gli imputati?

 certo anche per gli imputati potenti come te.

Per imputati che hanno uomini e mezzi per far cambiare idea

BACIAMO LE MANI DON MARCELLO

 SEMPRE A DISPOSIZIONE.

P.S. dopo questo me lo trovi un posto in publitalia? A leccare sono ancora più bravo.

 
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Post N° 63

Post n°63 pubblicato il 06 Aprile 2008 da ziggystardust10
 

SE TORNA SILVIO

PIU' INGIUSTIZIA PER TUTTI

ANNULLATI TUTTI I REATI DEGLI AMICI

(?) SOPRATTUTTO DON MARCELLO (?)

da www.19luglio1992  e da l'unità leggi sotto

 
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