Dirlo con un clic

Parte uno


Solo Dio riesce a capire quanto possa odiare il solfeggio. “Do-o-o-o Do-o-o-o Do-o Do-o-o”. Seduto sul morbido trespolo di una sala di incisione, con quelle impercettibili scuciture sulla finta pelle modello Taiwan, senza mai riuscire a trovare il giusto equilibrio di un perno mobile e così oleoso da sgusciare via tra le mie dita, con facilità tale  appunto da ricordarmi la voglia di rosicchiare e mordere le pellicine della mia mano fino a vedere la carne viva fuoriuscire e quasi godere nel succhiare la ferita per alcuni minuti, in attesa della sua definitiva consacrazione, fatta di agglomerati piastrinici ordinati bene o male alla rinfusa, penso e guardo la mia agenda facile da consultare. Facile appunto, come mordersi le pellicine di una mano.Era un mercoledì, se non ricordo male, e come un giorno alternato ad un venerdì successivo, avevo anticipato la mia lezione musicale, ben conscio che forse mai diverrò un vero batterista, ma nemmeno uno di quelli da balera. Anche se “quelli li”, chiamiamoli pure così, sono stati invidiati dal sottoscritto, nelle feste di paese, nel culmine di una mazurca sincopata o di un platonico tango, quando le luci della pista ricordano quelle di un circo, buie, spente, malinconiche, e i suoi ballerini solitari pagliacci alla ricerca degli ultimi applausi.Gli applausi.. li ricordo, quelli che mi facevo da solo aprendomi il file di un suono che rimembrava l’alitare dell’asinello sulla paglia di Gesù Bambino, ascoltando un portoghesizzato Lou Reed nel suo concerto di Verona, alla Arena, con le note di Sweet Jane e una batteria ruvida, per l’appunto sincopata, vissuta e goduta tra due penne e l’aria di una stanza, con il timore e la vergogna di essere scoperto da una madre premurosa nel dirmi “E’ pronto” o una sorella veloce come la mano sempre intenta a scrivere.Devo dire con sincerità che Lei ha veramente scritto, sempre, e tanto. Ora tocca a me.