Dirlo con un clic

Parte otto


L’acqua rappresenta sicuramente la maggiore fonte di vita di ogni uomo, plasmato e successivamente liofilizzato nel corso della propria esistenza. Ma di acqua noi galleggiamo e di sangue proviamo emozioni e sentimenti che, se troppo forti, restano talvolta per tutta la vita, fino a segnartela.E, come in questo caso, ad indurti a scrivere dei momenti infantili vissuti dalla parte di Davide come normale routinarietà fiabesca, e, dalla parte di Golia come imposizione paterna in una notte d’estate.Quando è caldo bisogna lentamente respirare, bisogna nutrirsi di acqua, e con queste parole sentite fino alla nausea da una mamma premurosa pochi minuti prima che il proprio figlio svanisse nei giochi di una giornata afosa, inseguendomi con il cappellino e le raccomandazioni di rito, mi apprestavo a vivere con l’acqua le mie giornate, non tanto per bisogni fisici personali, quanto per provare il gusto di scaraventarla sugli altri, sulla gente, per sentirsi grande e condividere goliardicamente il bisogno di divertimento estivo.Ed ecco che “quello li”, il batterista da balera, suona la sua mazurca, con lo sguardo spento, quasi fisso alle lancette di un vecchio Piaget con la speranza di smontare presto questa volta lo strumento, e altrettanto rapidamente caricare il tutto sul furgone e lasciarsi trasportare dall’onda di serate estive ricompensate da gelati, birre e due stecche di Nazionali.Ricordo come fosse ora l’odore del tendone di juta che avvolgeva la band, nascosta da una fortificazione provvisoria degna del peggior trucco di mimetismo cinematografico, dove la biglietteria era ricavata da due cassette di frutta, un paio di blocchetti gialli ed arancio, una ragazza pesantemente truccata, praticamente incorruttibile in quanto figlia del padrone del locale. Poi, per il fatto che dieci erano gli anni di differenza tra noi due (come i lettori, ricordo, del mio capolavoro), nulla poteva unirci se non un senso di disgusto verso il sottoscritto, ancora oscuro dal capitolo sesso, all’alba invece della nostra avvenente bigliettaia.“Dai Tiziana, fammi passare”, niet, niet, niet, e questa francamente me la sono portata dietro per tanti anni, anche perché era una di noi, della compagnia, rappresentava un guru, certo, ma pur sempre rientravo nella lista delle persone da lei conosciute..E intanto si sudava, e la musica si faceva sempre più assordante, con quei fischi improvvisi dagli amplificatori nati credo per svegliare qualcuno in piena fase rem o intento a raccontare l’ennesima palla venatoria.  Perché la caccia era sempre aperta, tranne che per il sottoscritto, non molto intenzionato nemmeno a prendere il libretto. Cosa resta da fare se non scaricare il tuo infantilismo sulle solite due dita, quelle che in un futuro mi accompagneranno nel suono delle mie Drums….? Pollice fermo e indice che torna al suo padrone, in un rapido gesto e in una eiaculazione fresca, di sorgente, sul collo o sui vestiti di una pistola ad acqua rossa, con il tappo nero, modello colt americana, e le risate sforzate di un gruppo di bambini che corrono sui viali, ed un adulto, il mio, che nero in viso come il tappo della pistola, mi fulmina, mi prende, sbraita, e mi porta via, a casa.Ancora ora sento le voci degli adulti, per loro è solo un gioco, “Ma dai, su, lasci stare…” Niet, niet, niet, ancora un niet e voltandomi anche Tiziana rimane di sale, si sente forse in colpa perché chissà, un suo Da, Da, Da avrebbe forse evitato paure e punizioni.Però forse se fosse andata così, non sarei qui a raccontarvelo. E dieci persone sulla terra, in questo momento, avrebbero altre cose da fare. Magari i bigliettai. Da Da Da!