Truncare sas cadenas

Raimondo Manelli


  Università della Terza Età di Quartu:lezione su Raimondo Manelli,
Il cantore dell'Isola "conchiglia" e del   riscatto sociale dei poveri e dei "vassallos". (1916-2006)a cura di Francesco CasulaNasce a Gavoi (Nu) l'8 settembre 1916. Si laurea in materie letterarie a Cagliari nel 1940. Nel 1943, torna a Gavoi come sfollato antifascista sotto il governo Badoglio Nel dopoguerra svolge un'attività politica prima a Gavoi e poi a Cagliari, al fianco di Sebastiano Dessanay: di queste battaglie epiche, dalla parte dei contadini e dei pastori, c'è un riflesso immediato nelle sue poesie, che per la maggior parte hanno per tema la Sardegna, ma soprattutto Gavoi, il suo paese natale, raffigurato in tutti i suoi aspetti: le dure condizioni di vita, i personaggi caratteristici, l'impatto con la modernità. In una delle sue poesie più felici dal titolo Gavoi 1958, si legge: Ora le ultime bettole si chiamano bar;/ i maestri del ferro sono meccanici;/ l'ultimo fabbricante di speroni/ è morto bruciato dall'alcool;/ e la domenica non si odono più/ gli accordi vocali del "bomborobò"./ È giunta la televisione/ coi ministri e le prime pietre,/ con le annunciatrici che sorridono sempre.Dedicherà tutta la sua vita all'insegnamento e alla scuola (sarà maestro elementare prima di diventare professore e poi preside) e alla sua passione per la poesia. Scriverà ininterrottamente dall'adolescenza fino alla tarda età.La sua prima raccolta Filo d'acqua esce nel 1939. Seguono La strada dei poveri (1947); E il mondo muta (1956); Il cuore a spicchi (1960); L'isola delle mandorle amare (1966); La terra e gli uomini (1968); La Giubilazione e altri messaggi (1985); Agrifogli (1992); La voce e il grembo (1993).Ha inoltre curato, sulla poesia in Sardegna, le antologie Trent'anni di poesia in Sardegna (1981), Poeti di Sardegna ((1985), Frontespizi della poesia sarda in lingua italiana (2001) e Empatie di varie stagioni (2002).Dal 1951 al 1959 insegnerà in un Istituto tecnico di Terni. Il soggiorno umbro gli sarà particolarmente propizio come studioso e come poeta ma anche come ricercatore della poesia dialettale e popolare, della storia, delle tradizioni e del folclore della Conca ternana  (si veda in particolare Il cantamaggio a Terni, storia e antologia da lui curata nel 1982 per la Provincia di Terni). Alla città di Terni dedicherà ben cinque libri.Nel 1991 il Comune di Gavoi gli dedica un'antologia dal titolo L'Isola è una conchiglia pubblicata dalle Edizioni della Torre e curata da Pasquale Maoddi e Pier Gavino Sedda,  che raccoglie, oltre che alcune fra le sue poesie più significative, otto liriche inedite nonché  Poesias gavoesas , sei poesie in sardo-gavoese: Sa hotta -letteralmente cotta, ma qui significa preparare il pane; Badu 'e Lodine- Guado di Lodine; Zente 'e Gavoi, Prehadoria a Santu Juvanne, Unu muttu pro mene, Duos muttos), a dimostrazione del fatto che Manelli, pur poetando prevalentemente in italiano non disdegna la lingua sarda, che conosce e padroneggia, verseggiando con abilità, intensità ed eleganza. Tanto da raggiungere - scrive Natalino Piras  -  risultati di acuti lirici universali.  La poesia di Manelli - a dimostrazione della sua validità - ha sempre attirato l'interesse di valenti critici e di agguerriti studiosi della poesia medionovecentesca, in particolare di Sergio Turconi (in La poesia neorealista italiana, Mursia editore, 1977) e di Walter Siti (in Il neorealismo della poesia italiana, 1941-1956, Ed. Einaudi,1980). Muore a Cagliari il 5 Maggio del 2006.Presentazione del testo [poesia tratta La strada dei poveri, Tipografia industriale Granero, Cagliari, 1947, pagine 24-26].La poesia Mia madre popolana è contenuta nella silloge La strada dei poveri del 1947, la seconda raccolta di poesie di Manelli, dopo Filo d'acqua del 1939. In essa l'Autore, cristiano e comunista, canta e sta dalla parte di un'umanità povera e dolente, che attende da tempo immemorabile, nella terra dei pastori e dei braccianti, un riscatto e una liberazione dalle prepotenze dei prinzipales e dei sennores. Non solo.                                                         I poeta estraneo alla giungla imperante/di faccendieri e commedianti, confessa d'aver diffuso tra la buona gente/dottrine incendiarie/che mettevano in forse l'antica virtù dei notabili,/l'onestà dei mercanti//che lungo le strade maestre/ostentano le case a molti piani.Nel contempo sono presenti figure amicali, parentali e familiari: soprattutto la madre, che in Mia madre popolana ricorda con smisurato affetto e forte commozione pensando anche alla umanissima vicenda che essa ha vissuto.La madre incerta nel leggere e nello scrivere che ha appreso nella scuola serale. La madre religiosissima, che recita a gran voce il Miserere a fronte di un improvviso temporale. La madre che, pur fatta curva dagli stenti/ e dalle notti insonni, continua a lavorare  stoiando seggiole, ovvero confezionando sedie con le stuoie, in quel tempo largamente usate, della povera gente di Gavoi e della Barbagia, ma non solo.La madre che ormai ridotta a una lampada presso alla fine dell'olio, leggeva negli anni futuri. E il figlio-poeta che si avvide che Dio si rivela ai più buoni. Ovvero a quelli come la madre. Ai poveri e  - evangelicamente - agli ultimi.L'amore immenso del poeta per i genitori ma in particolare per la mamma non è presente solo in questa lirica, ne attraversa molte altre e comunque ricorre spessissimo nei suoi versi.MIA MADRE POPOLANAMia madre popolanaleggeva un poco a stento,scriveva con mano maldestraumili frasi sottratte alla scuola serale.E quando un improvviso temporalesaettava di lampi la povera casa montana,intonava a gran voce il «Miserere» Al suon della campana, si segnavasi segnava all'inizio di un viaggio.Sotto il sole di lugliobrandì la falce per la messe altruimia madre contadina.Forse a lei parve volontà divinala tirannia dei nobili del borgo.E dopo ogni suo magro desinare,diceva: Così s'abbia ristoroal mondo ogni bennata creaturae ogni anima che soffre in Purgatorio.Diceva: O figlio.che Dio ti guardi dalle male lingueche sono come l'incendio!Maledetto il peccato mortale!Alfine, fatta curva dagli stentie dalle notti insonni, trascorsestoiando le seggiole a tutto il contado,del sembiante operosonon restò che la luce degli occhi. E la voce.E al figlio predilettoChe importa - diceva  se la mia vitaè una lampada presso alla fine dell'olio?Ho dato due lumi al villaggio;e d'altro non m'importa.E credeva nei sognimia madre popolana:e tanto di me si nutriva,se mi era lontana,che tutto sognava di me taciturnoper lunghe inclementi stagioni.Leggeva negli anni futuri,tanto che io ne tremavoe pensavo alle divinazioni.E mi avvidiche Dio si rivela ai più buoni.Giudizio criticoScrive Alberto Frattini: "[...]Nella strada dei poveri Manelli ha trovato in fondo la sua tematica (ma non mancano preannunci anche in precedenti liriche, si veda Momento primitivo) scavando nel sentimento e nell'amore della sua terra e della sua gente; dal cuore e dal sangue nascono i moti più fervidi, frenati da un pudore quasi istintivo di confessione. Il discorso si fa più disteso, lievita di umori più complessi, si colora di una realtà più ricca e di una umanità più dolente (con impasti espressivi familiari, disadorni fino a suonare scabri), tende a farsi testimonianza accorata e nuda, una voce per la madre popolana, per il padre bracciante, per i poveri delle  sue contrade umiliati dal vivere gramo. Il linguaggio si libera via via da qualche residuo aulicismo e recupera il lessico usuale, più risentito e fresco[...]".[Albero Frattini, prefazione a E il mondo muta, Edizioni Accademia di Studi «Cielo d'Alcamo» , Alcamo (Tp), 1956, pagina 10, Alcamo (Tp), 1956.Mentre Elio Vittorini in  una brevissima lettera  del 4 Maggio 1947, scrive a Manelli "Ho incontrato una bella qualità poetica e una generosa presenza d'uomo".