Da zer0 a me

Lo Zen e il Cantiere


In questi giorni ho fatto pulizia nella memoria del mio cellulare, mettendo da parte o cancellando una serie numerosa di fotografie che non ricordavo nemmeno più di avere in macchina. La tecnologia mette a disposizione questi apparecchi che servono un po’ per tutto, non solo per telefonare dai posti più disparati, io lo uso anche per guardare film, ascoltare musica o leggere libri, orientarmi in macchina e in mare, consultare la mappa del cielo ed ancora, come fanno in tanti, per scattare foto.Nello spulciare le vecchie foto, quelle abbastanza decenti da conservare, mi sono capitate tra le mani alcune istantanee che ho scattato più per capriccio che per necessità di lavoro. Sono la storia della costruzione di un piccolo condominio che si affaccia sul parco, proprio di fronte al ponte a me tanto caro. Invece di indagare dettagli tecnici, particolari esecutivi o elementi utili alla contabilità, queste sono state fatte per mio desiderio: sono semplicemente la visione del panorama dal medesimo punto di vista al trascorrere delle stagioni. In realtà la mia intenzione era proprio questa: trovare un osservatorio che raccontasse il passare del tempo da un luogo che è stato mio per il tempo della sua realizzazione ed ora è la casa di qualcuno che, con ragione migliore, la sente propria, secondo una impermanenza dal sapore marcatamente buddista.Il caso vuole che tutto questo abbia avuto inizio con il più classico dei precetti Zen: la demolizione. In effetti il terreno era già occupato da una vecchia costruzione, possedeva quindi una sua anima ed una sua vocazione ad accogliere vita umana: si è semplicemente trasformato, adattandosi.Il racconto per immagini non vuole essere altro che questa visione del tempo che passa e di come, anche fra i tralicci e le quote che crescono in mezzo ai tempi contingentati dei crono programmi e del balletto delle previsioni si spesa, sia necessaria, a mio avviso, la costante percezione della natura che vive il suo corso raccontando il cerchio della vita, così da non perdere di vista il nostro procedere temporaneo in questo giardino che chiamiamo esistenza.Inevitabile per me affiancare a questi pensieri la visione della pellicola così cara diretta dal coreano Kim Ki Duk: Primavera, Estate, Autunno, Inverno ed ancora Primavera; un racconto che si snoda in 5 episodi temporali che, al pari del mutare dei fiori, raccontano del procedere della vita anch’essa riconoscibile nelle sue stagioni, un film che ho trovato in rete e volentieri propongo alla pazienza degli interessati. Molto spesso parlando del mio mestiere mi accorgo del preconcetto che aleggia sugli ingegneri, come se la tecnica e il mondo dei numeri ad essa collegata impedissero di fatto di assaporare la condizione umana e il senso di quella sabbia che trascorre nella clessidra, come se il potere acquisito di sapere sfidare il cielo costruendo torri fosse da ostacolo al senso della radice che beve la vita dal suolo. Conclude questa galleria una foto serale dell’edificio, ripresa sul ponte che la guarda da lontano confondersi nel parco con le sue luci accese. Ogni tanto quando passo di lì rivedo con piacere il manufatto, come quando si guarda una creatura (dovrei dire una creazione, ma forse anche le case hanno una loro vita) diventata adulta e matura e pronta ad offrire protezione, dopo essere stata sostenuta e curata perché diventasse stabile, qualche volta, osservando quelle finestre illuminate di vita, lo confesso senza vergogna, mi spunta un sorriso. 
Primavera: Tra le macerie / già una nuova vita a / forma di fiore 
Estate: Come quest’erba / ecco cresce veloce / la nuova casa 
Autunno: Più in alto / delle foglie nel vento / passa l’Autunno
Inverno: La fredda nebbia / sul noto vedere una / morbida coltre
Ancora Primavera: Città fiorita / sull’incanto del parco / lenti respiri
Oggi: Passi di notte / quelle luci nel nido / sono sorrisiGuccini - Canzone dei dodici mesi