Da zer0 a me

L'Isola senza tempo


 La destinazione del nuovo giorno è un isola prossima al nostro ancoraggio di Preslin nota come La Digue; traversato un piccolo tratto di mare tranquillo si approda al porto di La Passe dove la barca resterà a riposo tutto il giorno: oggi avventure a terra.
La Digue è un posto caratteristico, incarna perfettamente lo spirito delle Seychelles, pur essendo la quarta isola dell’arcipelago per estensione, è abitata da sole 2000 anime, ancora più tipico è il fatto che, con rare eccezioni, il traffico a motore non esiste, nelle strade in cemento che attraversano l’isola si circola con carretti trainati da buoi oppure in bici, che si può eventualmente affittare: una MBX con cambio Shimano V21 costa circa 5€ al giorno.
Zaino in spalla o nel comodo cestone posteriore iniziamo così a scoprire un ritmo della vita diverso davvero importante da recuperare. Qui la parola fretta, per le persone del luogo, anche per il personale impiegato nei molti resort che si affacciano su spiagge di madreperla e palme, semplicemente non esiste: comprare in un negozio vuole dire essere disposti a qualche importante momento di conversazione con scambio di convenevoli e sempre ci si lascia con un sorriso.
Niente è troppo vistoso o esagerato, le case sono monopiano, immerse nel verde lussureggiante tra palme da cocco o piante del thé; le strade, dove allo stesso modo transitano persone galline e granchietti o geki, trovano spazio per ciascuno e per ciascuno con il passo che gli compete.
Sugli alberi sonnecchiano, appesi come enormi frutti, pipistrelli in attesa delle ore più congeniali alla loro caccia, mentre i colleghi alati di piume cantano a distesa.
L’isola possiede un interessante parco protetto presso l’anse Source d’Argent, una spiaggia di corallo da cartolina; dagli zaini spuntano maschere pinne e boccaglio per una immersione in acque palpitanti di vita: sembra di nuotare dentro un acquario selezionato per la varietà di pesci e di colori che catturano lo sguardo in ogni dove.
Prima di riprendere le due ruote mi concedo pochi minuti, ma quanti davvero non so perché qui il tempo scorre diversamente, che lasciano una carezza di piacere e di ricordi impossibili da cancellare: a pancia all’aria resto a guardare pesci che mi passano accanto e più sopra nuvole altrettanto indolenti tinteggiare anche loro le acque. Mi sfiora ancora una volta, di certo non sarà l’ultima, la parola Paradiso, è una sensazione di estasi che anche se provata pochi istanti pervade l’anima e resta, più bella di un suono di arpe e di cori angelici, con una eco che il cuore non lascia spegnere.
Di nuovo in sella per visitare altre spiagge, dopo questa insenatura riparata ci accoglie la Grand Anse, scossa dai monsoni ha onde alte e frangenti pericolosi per i nuotatori inesperti, i cuccioli ovviamente desiderano sfidare i divieti e occorre fare buona guardia e raccomandare spesso di non superare il punto di stacco delle onde. Astuti imprenditori locali offrono spremute di frutta tropicali belli freschi lungo le vie tortuose, per i ciclisti accaldati è una goduria concedersi qualche tappa di ristoro, tanto pianificare una tabella di marcia sarebbe semplicemente follia.
Arrivati all’ora di pranzo pedaliamo fino ad un ristorante che si affaccia dall’alto sul mare, non può che chiamarsi L’Ocean: splendido il panorama, l’arredamento con tavoli di vetro e sottostante creazione di sabbia e conchiglie, superbo il pollo alla creola con contorno di chutney di melanzane e riso; proteine e carboidrati necessari a raccogliere la sfida del gran premio della montagna che vede rinunce immediate di alcuni elementi della comitiva ed un paio anche lungo i primi strappi, necessari a raggiungere il punto più alto dell’Isola dal nome prevedibile di Belle Vue (Bella Vista): altezza 340 sul livello del mare e salite con pendenze superiori al 15%.
Qui sarebbero da spendere parole sul fatto che, anche con il dovuto ritmo blando caratteristico del posto, le salite impervie restano sempre salite e che gli anni alla fine della giostra si fanno comunque sentire, ma cosa non si fa per l’orgoglio di dimostrare ai propri figli di possedere una seconda giovinezza; fatto sta che raggiungo la cima sui pedali e con un pensiero devoto allo scalatore del cuore, Marco Pantani, dedico a lui i miei ultimi rantoli una volta marcato il picco agognato e la sosta riparatrice, il ritorno ovviamente richiederà freni che tengano bene, ma ripaga della fatica spesa.
All’improvviso nell’intrico della foresta si apre una radura piena di sole, qui c’è il cimitero del villaggio, che non ha niente di fosco o di lugubre, perché illuminato dalla luce più viva e brillante, decorato da fili serici tessuti da ragni colorati e allietato dal canto di numerosi uccelli, anche questo contribuisce ad una visione armoniosamente serena di questa isola incantata, dove qualunque posto ha connotati morbidi e pieni di equilibrio, qui il ritmo del respiro assume lo stesso incedere della risacca.
Ci sono ancora spiagge da visitare alcune sono di sabbia finissima e si perdono dentro all’Oceano che invita a pensieri asintotici all’infinito, così c’è anche modo di rilassare i muscoli compressi con un ottimo idromassaggio naturale di onde e di schiuma e poi di godersi il tramonto subito prima di restituire le bici, perché su La Digue come in molte altre isole delle Seychelles non esiste illuminazione pubblica, in modo da non inquinare di luce la notte stellata.
La sera non è ancora conclusa, al villaggio di La Passe c’è festa con canti e danze tipiche che si accordano con i toni musicale della Segà, ritmo suadente al quale le donne con i tipici fiori di frangipane nei capelli, dispiegano le enormi falde delle gonne colorate e volano leggere come farfalle variopinte.
Necessario anche l’assaggio del Rhum che viene prodotto localmente e che non invidia per niente nomi più prestigiosi di provenienza caraibica, l’ultima fatica è guadagnare il letto della barca con dignità, armonizzando perfettamente lo stato di leggera ebbrezza con il dondolio della barca alla fonda. E domani ancora…Patrick Victor - Lerwa Sega