Da zer0 a me

Torninporto


Ho raccontato spesso del piacere assoluto che provo quando ritorno, che sia un viaggio di lunga durata distante nello spazio, o che sia una piccola trasferta: sono evidentemente un tipo casereccio.
Non credo di avere mai raccontato però l’emozione del tornare in porto, non dico quella di avvistare da lontano il profilo familiare del porto domestico, con i tre vertici aguzzi del monte Titano e il dito teso verso il cielo del grattacielo, ma proprio il momento in cui si avvicinano ed oltrepassano i primi scogli a riparo dell’ingresso, quando il sole è ancora alto a sufficienza per credere che la notte tardi ancora molto a venire.
Da poco tempo è stata realizzata una diga foranea e il vecchio fanale di sinistra, ora tinteggiato di giallo in attesa di essere eventualmente smantellato, ha lasciato il posto ad un più giovane elemento proprio sulla punta degli scogli nuovi. È la vecchia ruota della vita anche per i segnali di mare, dove i giovani più prestanti sorpassano gli anziani che non smettono però di essere punto di riferimento per chi li ha apprezzati a lungo.
Abbandonato il fremere del mare, il canto del vento e il movimento vigoroso delle onde, si ritrova lo spazio protetto dell’antiporto, dove acqua ed aria si acquietano ormai del tutto; privi di beccheggio e rollio è il momento per riassettare la barca mentre questa ancora procede verso casa: si piegano le vele, si mettono in chiaro le manovre per poi appendere i parabordi alla battagliola, gesti consueti che sanciscono il confine tra mare e riparo. 
In fondo per chi naviga ritrovare l’ormeggio è una cosa naturale come parcheggiare l’auto pensando già a cercare le chiavi di casa, eppure per me ha sempre l’emozione, piccola o grande che sia, del ritorno, ancora una volta lo riscopro con il medesimo piacere. Il volume del parlato si abbassa all’unisono con quello del motore, che riporta ai tre nodi prescritti la velocità di navigazione, mentre la prua guarda in faccia il Rock Island che è il manufatto più estremo in cima alla palata. L’incedere indolente segna il percorre del sentiero liquido tra le barche ormeggiate, con uno sguardo ai pescatori che rammendano le reti da una parte, vicino ai cantieri navali dove riposano gli scafi in rimessa per l’Inverno.  
Dall’altra immancabilmente si incontra qualche volto noto che passeggia, c’è tutto il tempo per una battuta scherzosa, o un saluto alla mano ad un bambino che guarda con la meraviglia più bella del mondo questo piccolo guscio che, accesi i fanali di via, si introduce sornione verso terra.Si passa il vecchio faro e solo allora il tempo del mare torna quello della terra, quello dove si guarda l’orologio per sapere che ora sia, con la precisione dei minuti. 
La sera scende, eppure c’è tutto il tempo per finire l’attracco, legare convenientemente gli ormeggi, sempre con un commento alla previsione del tempo, al possibile groppo da grecale nella notte che il tramonto rosso non promette poi tanto imminente.Quando tutto è posto e con un balzo i piedi tornano a terra si è consumato il crepuscolo, il porto si è tirato addosso la sua coperta fatta delle tante luci che si riflettono sull’acqua cheta. Solo il faro ha preso a pulsare, ma è come il russare basso che scandisce le ore della notte.
Un ultimo saluto, che il pensiero è ormai a casa, ed un arrivederci con lo sguardo verso il mare che pare tanto lontano, gustando il sapore morbido di essere ancora una volta tornato in porto.The Platters - Harbour Lights