Da zer0 a me

Barcolana 2012: la spada


 
   一、誠の道を守ることHitotsu, makoto no michi wo mamoru kotoPrima di tutto, percorri la via della sincerità  
Il secondo principio del Dojo Kun, il cui codice originario è stato creato dal Maesto Sukagawa di Okinawa, insegna che la pratica delle arti marziali ha tra gli scopi fondamentali anche quello di costruire buone relazioni umane a partire dai compagni di pratica.Il mio Maestro mi ha sempre esortato a non esaurire la fatica tra le mura abituali, ma ad uscire e conoscere, non solo la tecnica e l’esperienza diverse, ma attraverso questo le persone che una comune scelta di vita ed una condivisione di principi rende di fatto amici.Esortato così da una voce che mi vuole bene, quest’anno mi sono riproposto di approfittare della trasferta triestina per visitare il Dojo giuliano, che non poteva non ispirarsi al mare ed infatti si chiama Nami: in giapponese significa onda. Viaggio poco, approfittare di un nuovo orizzonte per ampliare anche l’esperienza della spada è stata una scelta felicissima della quale lascio queste poche righe di ricordo.
Il Nami Kendo Dojo è ospitato dalle gloriose pareti della Società Ginnastica Triestina: un sodalizio di assoluto prestigio fondato nel 1863, che ha sfornato campioni nazionali ed olimpici ed ancora ospita un ampio ventaglio di attività sportive al suo interno.Oltre al piacere e all’onore di visitare questo piccolo tempio dello sport, c’è stato soprattutto il senso di calore e di amicizia spontanea che ho ricevuto, con una accoglienza immediata ed un senso di appartenenza che l’interpretazione corretta delle discipline marziali insegna nel suo nucleo più profondo.A vederlo da fuori il Kendo appare un combattimento aggressivo, perfino brutale nelle sue esternazioni di urla, nello schiocco delle canne di bambù contro le armature. Viceversa la pratica della spada educa in primo luogo alla serenità dell’anima, attraverso questa è possibile percepire le emozioni di chi si ha di fronte, le sue intenzioni, la sua energia, le qualità migliori che altrimenti la vita potrebbe tenere nascoste.Nel Kendo si indossa una maschera protettiva che non impedisce la visione degli occhi, sono soprattutto questi a creare un ponte emotivo, assieme al contatto solo in apparenza distante offerto dallo strofinio degli Shinai. Sono occhi che gli spettatori non possono vedere da lontano, ma che solo chi si confronta mostra al proprio compagno: uno sguardo quasi sempre sereno e profondissimo. Non deve stupire quindi se al termine della lezione, che costa sempre molta concentrazione mentale e tanto sudore, si rivela in modo luminoso un senso di ringraziamento reciproco che va oltre il dovere del saluto e dell’etichetta, si esprime in un applauso spontaneo per diventare sorriso, quello del quale mi chiedono spesso coloro che vengono a vedere per la prima volta un allenamento.Nel Kendo, che richiede la presenza di un compagno per poter trovare la propria misura, ci si mostra l’anima, risulterebbe impossibile tanta intimità senza creare contemporaneamente un senso di vicinanza e di amicizia, lo stesso che a Trieste, persone fino ad un attimo prima perfettamente sconosciute, mi hanno regalato, dopo una piacevolissima estensione di allenamento al Pub, donandomi alla fine un abbraccio forte e una parola di assoluta sincerità che suona come una promessa, fedele al principio del secondo Dojo Kun: Arrivederci.