Da zer0 a me

Melanzane in Potacchio, Guccini e Vino cotto


L'empatia di un'animane può aiutare un'altraa viverea proseguirenonostantedoloree sconfitte.Roberta_Dgl8
Ci sono cose che la vita insegna ad apprezzare, a volte si prende tempo per questo, magari anche parecchio ma, come dicevo, ci sono cose per le quali proviamo avversioni giovanili che poi gli anni smorzano o addirittura invertono, passando dalla repulsione al desiderio. Ci pensavo durante lo scorso fine settimana in visita nelle Marche, al termine di una giornata dove ho potuto offrire solo le mie mani inutili e poco sale in zucca, consapevole di essere troppo piccolo per avere soluzioni a problemi enormemente più grandi di me; situazioni in cui i consigli tecnici e le prescrizioni sul buon costruire contano meno di un sorriso di speranza e di un augurio sincero verso un futuro migliore. Consideravo al termine della giornata, seduto sulla panca di un bar / osteria su come da piccolo detestavo le melanzane, vuoi per il loro colore malinconico, il sapore facilmente tendente all’amaro quando sono trattate male e soprattutto per la consistenza che assumono una volta cotte. A questo pensavo mentre gustavo la meravigliosa semplicità delle Melanzane in Potacchio, dai sapori elementari eppure perfettamente armoniosi, ringraziando la natura di quel dono prezioso che sono queste solanacee una volta tanto detestate. A fronte del mio niente, seppure offerto col cuore, ecco che in cambio ho ricevuto questa delizia ed ancora, durante la sua degustazione, l’ascolto a voce e chitarra rigorosamente unplugged (oggi si dice così) di qualche ballata firmata dal Maestrone Francesco Guccini reinterpretata con animo e a mio parere anche con notevole tecnica d’arpeggio, da un quasi coetaneo che ancora, grazie a Dio, frequenta luoghi di aggregazione per il piacere di regalare musica. Insomma esistono ancora le osterie. Ecco… anche Guccini una volta mi piaceva poco, non ne faccio mistero, troppo carico di pensieri mesti per essere nelle mie corde o forse soltanto per una visione stereotipata di un autore ben poco approfondito. In questo caso sono debitore al mio amico Ugo, collega di studi che giornalmente frequentava la mia casa bolognese per imparare assieme cose ingegneresche e dividere la vita di quegli anni verdi. Quando si impossessava di una delle chitarre domestiche il suo preferito era appunto il Guccini, ed è grazie ad Ugo che ne ho fatto enciclopedica conoscenza, prima di incontrarlo poi tante volte dal vero in uno qualunque di quegli ipogei fumosi di Bologna dove a quel tempo (e per questo erano gran bei tempi) suonavano i cantautori più titolati in mezzo agli sconosciuti: per il gusto della canzone e del vino condiviso. Vino appunto: conclude questo diario sconclusionato il bicchiere di vino cotto al termine del pasto, altro omaggio di quella terra ubertosa delle Marche così vicina a casa e per questo affatto straniera, come vuole l’attitudine medievale mai scomparsa del paese in cui viviamo. Sul vino cotto non ho mai avuto preclusioni è buono e convince al primo bicchiere, ma anche lui va meditato e chiede tempo per essere capito e apprezzato fino in fondo, come le piccole cose buone della vita che incontri pensando di portare sollievo ed invece sono loro che ti sollevano l’anima. Nonostante il freddo Inverno che passa, lasciano un senso di calore ed una impalpabile speranza di Primavera a venire.Canzone delle Osterie di Fuori Porta - F. Guccini