Da zer0 a me

Kangeiko che Kangeiko non è


Languore d'Inverno nel mondo di un solo colore il suono del vento (Basho) Kangeiko: parola di evidente derivazione giapponese che contiene il lemma Kan, questo rappresenta i trenta giorni più freddi dell’Inverno, solitamente tra Gennaio e Febbraio, quelli che dalle mie parti si chiamano i giorni della Merla; Geiko è l’allenamento, si tratta quindi di un allenamento al freddo, che si conclude per tradizione con il Kangori: la doccia altrettanto ghiacciata.Questa tradizione deriva dalla pratica mistica delle preghiere di Inverno, il Kanmairi: dove anticamente per un periodo variabile tra un mese e dieci giorni consecutivi si pregavano gli dei Shinto o il Buddha, purificandosi con abluzioni d’acqua fredda (Kangori appunto) per ottenere che queste preghiere di così forte devozione venissero esaudite, la tradizione afferma che questo si avverava immancabilmente. Da questa tradizione mistica le arti marziali mutuano un allenamento speciale d’Inverno immerso nella natura a contatto con gli elementi più essenziali, che insegna ad affrontare le difficoltà della vita e a superarle, ricordando le prime percezioni natali, quando la sensazione primitiva di venire al mondo è il freddo; abbandonato il calore benefico del ventre materno inizia la vita da fronteggiare.Sabato ho raggiunto la volta di Modena per sperimentare il mio primo Kangeiko di Kendo, non il primo in assoluto della mia vita che, nella verde giovinezza prima dei vent’anni, mi aveva permesso di conoscere quelli della disciplina con il quale sono nato alle arti marziali: il Karate.Due sensazioni diverse, completamente, per lo spirito e per l’applicazione. A fronte dei ricordi mi ero trattenuto molto prima di dire sì; un conto è avere appena superata la maggiore età, un altro essere pronto a spegnere (metaforicamente) 50 candeline. Il timore di non reggere alla fatica, ai disagi, condito con il ricordo dei trascorsi è stato forte fino all’ultimo.Del periodo giovane ricordo il primo allenamento, coi piedi sulla neve immacolata delle colline toscane, vestiti del panno sottile di cotone del karateji, un poetico effetto bianco su bianco, con altrettanto chiare ed eteree volute di vapore che si levavano dai corpi temprati dalla pratica intensa. Il Kangeiko di allora era veramente una prova di misura, soprattutto contro la fatica, perché il freddo passa in fretta se trovi un ritmo buono: di blu ricordo solo la pelle sotto alla doccia, la fatica infinita, enorme, quasi a stordire, e la rivelazione magica, forse vicina al delirio, del gesto essenziale, perché altra energia non ne restava, quel gesto che ti avvicina alla perfezione, in maniera sorprendente, quel gesto che era già dentro di te, rivelato nel bianco dell’Inverno. Poi, la doccia deve essere fredda, non è un’ultima sadica tortura così terribilmente orientale, è un banco di prova invece, anzi un trofeo, per avere imparato un controllo del proprio corpo e una determinazione che vincono con facilità anche gli ostacoli più disagevoli.Il secondo ricordo invece, fresco (è il caso di dirlo) del primo Dan appena conseguito è tra le onde del mio mare di Febbraio, un Kangeiko di ringraziamento, un grazie alla vita con tutti gli amici del Dojo.
2010 invece: c’è la presenza di grandi maestri venuti dall’estremo oriente, responsabili della nazionale nipponica di Kendo ai campionati del mondo brasiliani, personaggi dalla marzialità naturale e dalla gestualità affascinante. Molto più di un centinaio di partecipanti che riempiono la grande palestra del CUS di Modena dopo il turno dello Iaido, la disciplina del taglio con la spada, e trasformano gli attimi precedenti di silenzio e di lame sibilanti in quelli più familiari, dove esplodono urla e fragore di canne di bambù. Un universo color indaco, al contrario dei primi ricordi è ora il bianco ad essere piccola presenza.La paventata guerra contro la fatica e la voglia di mollare qui non arriva, c’è un allenamento vibrante, la possibilità di confrontarsi con molti praticanti di ogni dove e di incrociare le spade con i grandi maestri, momenti indimenticabili, questo certamente si; ci sono anche file per attendere il proprio turno di combattimento, così che anche un attempato praticante come me trova il tempo per il recupero e per essere reattivo al momento di fare il saluto e iniziare di nuovo, i pensieri  restano limpidi, e la fatica è poca cosa rispetto al ritmo intenso col mio maestro in palestra.Finisce fin troppo in fretta, le foto di rito, i saluti agli amici, anche quelli ieri sconosciuti, un “Hasta la vista” ad un simpaticissimo kendoka venuto da Valencia e compagno di un pasto frugale per me trattenuto dal timore di non avere modo di digerire, mentre lui, evidentemente più esperto, si è concesso “el paraiso” di un bis di fette di torta elogiando la pasticceria italiana. Il Kengeiko è finito e nello spogliatoio non credo possibile che la doccia sia calda, anni differenti ed altra disciplina evidentemente.Poi di nuovo il nastro della strada fino a casa, dove non manca il fiato per cantare e pensare che, come sempre, “ai miei tempi” era tutta un’altra cosa, come se questi non fossero i tempi miei.Lascio questa cartolina prima di tornare a prossimi post più interattivi, la lascio soprattutto per il prossimo anno dove non avrò timore di pensare impossibile la sfida di affrontare un Kangeiko di Kendo… che non assomiglia al Kangeiko dei miei ricordi, ma è un punto futuro guardando all’orizzonte.Gambatté!