180chiliDgrasso

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 Palermo, 21 Luglio 198201.QuarzoSono le diciassette e venticinque di un Luglio afoso lunghe code d’auto formano serpenti variopinti. Nella uno bianca una coppia di sposi si sbaciucchiano, la donna carezza il ventre rigonfio. L’uomo volge lo sguardo verso la moglie notando il pallore, suona nervosamente il clacson sperando di poter uscire dall’ingorgo. Si dice che il volto delle donne poco prima di dare alla luce un figlio sia meraviglioso, quasi divino, e che poi si trasfiguri durante il parto. La donna comincia a gemere, a respirare affannosamente, impaurita è in preda alle doglie. L’uomo, a fatica, si pone sulla corsia di emergenza iniziando la lunga corsa verso l’ospedale.Guida nel panico, incivile, rischiando di urtare altre auto e finire la sua corsa giù dal ponte. Guida come un folle, contando le contrazioni, consultando un orologio a quarzo. Giunge dinanzi al pronto soccorso che la donna già vede la testa del bambino sbucargli tra le gambe. Ormai emorragica. Entra in sala parto senza più lacrime né voce sente il suo bambino respirare appena, implora Dio che glielo salvi. Prega Dio mentre muore. Il giorno in cui nasci è il medesimo in cui muori. Morte tua vita mea. Il funerale ed il battesimo. Per Cristo nostro Signore.  Palermo, 02 Marzo 1983 02.CerchiQualcuno dice che la vita è un cerchio e che il tempo è lineare.Qualcuno dice che tutto è regolato da geometrie e segni.Quel qualcuno è mio padre. Lui è nato tra le macerie della città durante gli anni della seconda guerra, io sono nata nello squallore di una stanza nei quartieri popolari. Mia madre è la classica matrona d’altri tempi, forte e decisa, capace di partorire ben sei figli senza batter ciglio. Le sue ampie vesti che non ha mai abbandonato sono per me come una mongolfiera coloratissima con la quale sognare di girare il mondo. Le sue grandi mani sprigionano energia e producono qualsiasi cosa. Con l’abito della grande ci vestivamo in quattro, un abito per i giornalieri e un altro per la festa. Li adattava mia madre in base all’età ed erano inutili le lacrime. Qualche volta, andavo scalza e lei mi inseguiva per tutta la strada gridando a squarciagola :” Samy un si camina scausa!”Nel quartiere ci conosciamo tutti, si intuiscono perfettamente le dinamiche di ogni famiglia, i segretucci, i vizi, il motivo dei litigi.Quando la volante blu polizia, la notte, fa il giro per le strade sembra che ci sia un silenzio irreale squarciato soltanto dal richiamo della civetta.La civetta è Tonio, il garzone della bottega all’angolo, che col suo verso mette in guardia i picciotti e loro se ne stanno nelle viuzze nere con le cicche d’erba. Gli occhi stretti come fessure in attesa di ricominciare il traffico.Gli sbirri se ne vanno e il quartiere si ripopola, le nigeriane stanno agli angoli e le auto si accostano, i picciotti spacciano erba e coca, i carusi girano in motorini truccati ridendo sgangheratamente.Sono nata sul marciapiede senza bue né asinello. Il cielo , quella notte, era avvolto dalle tenebre e mia madre fumava in cortile una Diana blu, all’improvviso lo schianto, il dolore lacerante la fece crollare a terra e due spinte e fui fuori. Nuda e infreddolita, sul gelo della strada. Sono nata sulla strada. Qualcuno dice che la vita è un cerchio e che il tempo è lineare. Tutto torna tranne il tempo e lui solo contiene l’essenza del mutamento.03.Cornici Esistono cornici da adattare a più quadri. Per Tancredi ogni cornice è come un abito da indossare. Osserva il suo corpo cambiare e ne rimane stupito. È come un bocciolo che tarda ad aprirsi che quando schiude i suoi petali esala profumi e cattura gli sguardi.Esile ma con un carattere ben formato tradisce l’inclinazione al bel vivere, all’Arte in ogni sua forma, la cura del dettaglio, l’esteta che muove affinché la Bellezza possa coprire ogni superficie. La madre, docente all’Accademia delle Belle Arti, è una donna di rara bellezza che considera la vita come disarmonia. Il suo istinto l’ha indotta a scivolare tra lenzuola merlettate, a recidere vene inguantate, strangolare i sogni. Non riesce ad evitare di teatralizzare la propria esistenza, simulando tragedie, recitando a soggetto, personificandosi in mille eroine immaginarie. Non vivendo la propria vita mai.Straziando il proprio corpo con misture di farmaci, combattendo contro la depressione assassina. Tancredi la venera e disprezza.Spesso l’aiuta ad alzarsi quando la malattia la costringe a letto, cucina per lei e l’imbocca, la conforta quando le allucinazioni la tormentano.Tancredi non ha mai conosciuto suo padre. Non ne conosce l’identità né ha mai sentito l’esigenza di scoprire le ragioni dell’abbandono. Il suo unico obiettivo è rendere perfettibile l’imperfezione antropomorfica. Il suo unico obiettivo è salvare l’umanità dalla meschinità del già detto e già vissuto.04.Le oreMarco è cresciuto col terrore di veder scorrere il tempo.Da bambino, il nonno gli ha regalato una piccola clessidra comprata durante un viaggio in Tunisia, ma il ragazzo l’ha esiliata in soffitta. Marco non ha mai indossato un orologio né vuole conoscere il tempo. Non sa misurarlo e non se ne rammarica. Dal giorno della nascita il padre si è rifiutato di togliere il vecchio orologio a quarzo fracassato. Arrestare la realtà, cercando di renderla immutabile. La sua adolescenza, la peluria sul mento, il petto ampio e virile è l’unico segno di metamorfosi.Le ore tessono trame e nascondono trappole. Le ore influenzano destini tramortendo vite.Le ore durante l’alternarsi delle stagioni si fanno incerte, talvolta celano pertugi altre volte sentieri da percorrere senza fretta. Marco non conosce stagioni né cambia d’abito. Marco è il figlio della stasi che inevitabilmente deve cedere il passo al nuovo, accettando la rotazione della terra e con essa la rivoluzione. Volontaria o involontaria. Evolutiva o involutiva. Le ore sono semplici crepe sulle mura delle nostre case.Le ore sono le rughe sui volti dei nostri cari che turbano la nostra anima. 05.NodiIo e Francy giochiamo spesso sul viale fino a tarda sera.Intrecciamo i capelli delle bambole, facendole rasta, lanciamo le perline colorate, inventiamo fandonie e storielle degne di Pierino.  Siamo madri senza essere figlie. Siamo cresciute all’ombra delle fanciulle in fiore, tra polvere e cemento. Ci arrangiamo in ogni occasione, escogitando nuovi giochi per non annoiarci.Fingiamo di essere cuoche pasticciando con acqua e terra. Improvvisiamo il commercio di granite e limonate che condiamo con specialissimi ingredienti segreti. Ci industriamo come si può, rubacchiando mandarini, gelsi e tutto ciò che capita.Ci macchiamo le dita e gli abiti rotolandoci sui prati, ridendo a crepapelle. Quando va bene non pigliamo le botte ma spesso va male e sono guai. Mio padre ha la mano pesante e callosa del lavoratore instancabile, un po’ come quegli asini che nei paesi vengono caricati coi sacchi.Lui ha la schiena curva come i somari ma la furbizia della gente che conosce il mondo.A scuola ci si divide in bande ed ognuno di essa ha il suo capo. Questo anno siamo i più grandi e come in ogni sistema gerarchico essendo i più alti in grado comandiamo.Francy e io siamo le uniche ragazze insieme a Concetta a far parte della banda dei Iaddi, Luana e Simo invece stanno con i Salitani. La nostra banda è guidata da Salvo che è il più grande di fisico e di età,sostiene di sapere tutti i trucchetti per vincere ed è sempre lui che decide cosa fare e dove colpire. I Salitani prendono il nome da Ugo che è l’unico che ha il padre marinaio, in verità lavora al porto scaricando sacchi di sale ma lui farnetica che suo padre è ammiraglio.Ha dato i gradi militari a tutti i suoi compari e le ragazze vengono dette “spiuna”. La guerra tra noi è sia fuori che dentro la scuola e si riflette anche sui rapporti tra famiglie. Ci si fa sgarri e strurusarie a vicenda senza mai chiedere scusa.Quando le maestre ci beccano i piani di guerra scritti sui pizzini ce li sequestrano e ci mettono dietro la lavagna. Alla ricreazione ci si accusa tra noi, si tirano le gomme, si sporcano le sedie col gesso, si portano topi morti, lucertole, si danno i pizzicotti sulle braccia, calci e schiaffi. Spesso torno a casa con le ginocchia nere e i capelli arruffati. Le mamme ci strigliano per bene con acqua e sapone, poi ci pettinano i capelli ispezionando accuratamente in cerca di pidocchi o uova di pidocchio. Se qualcuno se li becca siamo fregati tutti, le maestre convocano i genitori e parte la disinfestazione da pidocchio che noi chiamiamo “a guerra a rasu”, cominciano le pennellature, ci spazzolano con pettini con i denti stretti e infine ci rasano come pecore.Quando al Borgo si è amici , lo si è per sempre.Vincolati tutti alla legge del quartiere. Come nodi.