VERDI DI TIVOLI

C’era rimasto solo il mare. È diventato la tomba dei veleni


CALABRIA Il ritrovamento al largo di Cetraro del relitto di quello che sembra essere il mercantile Cunsky toglie ogni dubbio: le acque del Tirreno sono state utilizzate come enorme pattumiera, dove affaristi e criminalità si arricchivano.L’apoteosi delle catastrofi ambientali nella regione più disamministrata d’Italia. Dove spadroneggiano le mafie e la politica, di tutti gli schieramenti, finora si è mostrata concordemente inetta non solo a governare e salvaguardare i territori e le risorse ambientali per il bene comune, ma anche più lontana dal dare segni di speranza alla gente perbene, incapace com’è di compiere quello scatto di discontinuità democratica e di reazione civile necessario a cambiare davvero il sistema.  Dopo l’olocausto degli incendi estivi, le frane e le disastrose alluvioni dell’inverno, le discariche di rifiuti tossici interrati ovunque senza il minimo controllo, ora è la volta del mare. Si sapeva già dalle inchieste dei magistrati che in Calabria i carichi di rifiuti tossici, una volta finiti nelle mani alle mafie sulla terraferma, diventavano cemento per l’edilizia, materiali per costruire case e asfaltare strade, come è già accaduto per le ferriti di zinco e le altre scorie contaminate smaltite liberamente nell’ambiente dopo la chiusura delle fabbriche del polo chimico della Pertusola di Crotone, ex Stalingrado del Sud. Dopo la scoperta delle discariche di rifiuti contaminati interrati in provincia di Cosenza, ora è la volta del mare.  Il bellissimo mare dalla Calabria trasformato in una tomba di veleni e sostanze tossiche seppellite con le navi colate a picco dalle mafie. Il mare della Calabria, più di 750 km di sviluppo costiero, secondo per estensione soltanto alla Puglia, una risorsa naturale, paesaggistica e storica di eccezionale bellezza e varietà che avrebbe potuto fare la fortuna di questa regione sempre pronta a piangere miseria. C’era rimasto solo il mare. L’unica vera risorsa ambientale che si pensava ancora non del tutto compromessa dall’inquinamento e dagli abusi, perpetrati oramai da decenni su tutto il resto del martoriato territorio regionale. Ma anche questa era un’illusione, o peggio una menzogna ipocrita. Quella sepolta in mare con le navi dei veleni era una bomba a orologeria, destinata ad esplodere prima o poi.  Adesso si sa che anche il mare in Calabria, senza soluzione di continuità dal Tirreno allo Ionio, è stato utilizzato per decenni come un’enorme pattumiera, come una superficie a perdere in cui inabissare ogni sorta di sudiciume. Forse sono più di trenta le carrette del mare cariche di rifiuti chimici e di sostanze micidiali finite sott’acqua davanti alle coste della Calabria negli ultimi trent’anni. E questo accadeva e accade mentre la Regione, come ogni anno, spendeva e spandeva denaro pubblico per operazioni di facciata. Campagne pubblicitarie patinate messe in piedi con lo scopo di promuovere il mare della Calabria come risorsa fondamentale per lo sviluppo e il suo rilancio turistico. L’immagine al posto dei fatti, delle politiche ambientali serie, della salvaguardia, dei controlli e delle soluzioni responsabili.  Nel frattempo nessuno ha mai fermato il sacco edilizio che ha sfigurato le coste, lasciando crescere l’abusivismo e l’incuria degli amministratori per il patrimonio pubblico, con i depuratori che non funzionano e l’inquinamento che rende penosa e fittizia ogni estate turistica e le pretese di decollo. Le bellezze di una Calabria da cartolina rischiano piuttosto di diventare come le mele avvelenate nel cesto dalla strega delle favole. La verità è che anche il mare della Calabria è finito da tempo nelle mani di cosche senza scrupoli che controllano incontrastate il ciclo dei rifiuti. Un affare spaventosamente sporco che per decenni è andato avanti indisturbato e ha lucrato miliardi intascati da faccendieri torbidi e politici compiacenti, fortune immense incassate dalle cosche con effetti che potrebbero rivelarsi terrificanti per l’ambiente e per la salute delle popolazioni locali.  Adesso la Calabria, si dirà, è alle prese con una nuova emergenza ambientale, stavolta persino più terribile, più ampia e devastante delle precedenti. I sospetti e le illazioni ora sono realtà. Adesso è chiaro che neanche il mare si salva più dallo scempio. Naufragano i dubbi, e dai fondali del Tirreno cominciano a emergere sinistramente le prime conferme. Certezze da incubo. La nave affondata al largo di Cetraro di cui hanno parlato i pentiti di mafia, c’è. Giace adagiata su un fondale di 480 metri a 22 miglia marine dalla costa tirrenica.  È un cargo grande come una transatlantico o una bella nave da crociera. Uno scafo largo almeno 20 metri e lungo più di 120. La nave affondata vicino prora ha una fiancata squarciata da una grossa falla. Forse il segno di un’esplosione. Un’esplosione procurata, che è stata probabilmente la causa finale dell’affondamento del grosso mercantile, di cui ancora non si conosce il nome. Verosimilmente si tratta della motonave Cunski, una delle carrette del mare implicate nel traffico internazionale di rifiuti che dagli anni Ottanta ha contaminato le coste di tutto il Mediterraneo.  Dal fianco aperto dallo scafo affondato a Cetraro fuoriescono le sagome inconfondibili dei grossi contenitori cilindrici che la nave trasportava nelle stive, e si parla di non meno di 120 fusti. Questo per ora è quello che si sa delle prime ricognizioni effettuate dalla nave oceanografica Copernaut Franca, che su mandato della Procura della Repubblica di Paola che indaga sul caso, ha calato sui fondali davanti alla costa di Cetraro un robot sottomarino per gli accertamenti. L’operazione è ancora in corso. L’indagine è collegata strettamente al caso dello spiaggiamento della Jolly Rosso e alle discariche di rifiuti tossici e radioattivi interrate nel territorio di Amantea e Serra d’Aiello.  Ora si attendono altre analisi di laboratorio per accertare in modo probante e definitivo l’esistenza di fonti di inquinamento chimico e radioattivo presenti nelle acque del Tirreno meridionale, come peraltro si sospetta da tempo. Una vera bomba ambientale che rischia di compromettere definitivamente gli assetti naturali del basso Tirreno. Un colpo da ko, con il crollo di un’intera economia che si basa essenzialmente sul turismo. Ma l’allarme principale resta quello per i rischi a cui viene esposta la salute di centinaia di migliaia di calabresi che ignari vivono e lavorano sulle coste. Adesso la verità sulle navi dei veleni inabissate nei mari della regione deve venire a galla. Risalendo finalmente alle responsabilità.  E ancora una volta, la difesa del mare e dell’ambiente dagli interessi delle mafie, la lotta agli abusi e alle incurie del territorio da parte della cattiva politica si rivela, specie al Sud e in Calabria, un potente antidoto democratico. Forse l’ultimo baluardo per la salvaguardia e la rinascita civile dei territori. Il mare ha la forza di imporre la verità. Jean Grenier, che fu amico e maestro di Albert Camus, al cospetto di questo stesso mare che scopriamo violato dalle sozzure e dagli abusi, in Ispirazioni mediterranee, ha scritto che esso è fonte per l’uomo di ogni purificazione, rendendo «la verità inseparabile dalla felicità». Ci meritiamo un altro mare. Per la bellezza del mare, che è di tutti, e per l’ecologia di una politica finalmente pulita.