Australia e dintorni

MALESIA -terza e ultima parte- Tra citta` , giungle e isole da sogno


- terza parte -Lunedì mattina, l’ennesimo spostamento con i soliti minivan, dalla giungla a Cameron Highlands, altopiano al centro della Malesia che raggiungiamo dopo 6 lunghe ore di sorpassi azzardati, tornanti su tornanti, tra campi di fragole e piantagioni di tè. La temperatura si è abbassata e l’aria è più pulita, la prima impressione nel vedere le case della zona è quella di essere in Trentino Alto Adige, hanno più o meno lo stesso stile e non sembra assolutamente di essere in Asia. Dopo essermi registrata in un ostello scelto sul momento, esco subito a fare un giro del paese che si sviluppa lungo la via principale con negozietti e ristoranti. Per  10 ringgit (quasi 3 euro) mangio quello che è il pasto più buono che abbia preso finora: Banana Leaf Chicken, nient’altro che tante piccole porzioni di verdure e salsine da aggiungere a piacimento su una porzione di riso accompagnata a delle specie di patatine, il tutto, servito su una foglia di banana. Ma è quando vedo annegare nella salsa un misterioso insetto che mi verrebbe voglia di vomitare tutto ma cerco di non pensarci. Con una breve visita dei negozietti scopro, altra piccola curiosità, che l’olio di oliva Bertolli viene messo nel reparto cura per il corpo…
il tempo cambia ed è in arrivo un temporale, anche il giorno seguente, martedì, il cielo è coperto e si alternano leggere pioggerelline a forti rovesci. Giornata ideale per raggiungere le isole eh! Di prima mattina un minivan mi porta al nord, a Kuala Besut Jetty da dove prenderò la barca per raggiungere Perhentian Island. Il viaggio dura 5 noiose ore, saliamo ancora per altri tornanti e il paesaggio dal finestrino sembra un’immagine fissa di quelle verdi colline di tè e fragole. Anche questo autista è un pazzo scatenato azzardando sorpassi da paura rischiando frontali con enormi tir che trasportano altrettanto enormi tronchi di legno, o ancora prendendo a tutta velocità dune di asfalto che fanno saltare dal sedile me e un altro backpacker inglese che trovo a bordo. Io e lui non sappiamo ancora che diventeremo involontariamente “compagni di avventura” sulle Perhentians.Alle 13 arriviamo al molo dal quale partirà un’ora dopo la barca per Perhentian Kecil, la più piccola delle due isole che formano questo arcipelago. Nell’attesa io e John, quel giovane backpacker, mangiamo qualcosa assieme in un piccolissimo ristorante dove veniamo invitati da una coppia di altri giovani viaggiatori a sederci al loro tavolo e tra un racconto di viaggio e l’altro aspettiamo le nostre ordinazioni che arrivano dopo “solo” 40 minuti e dobbiamo pure mangiare in fretta altrimenti perdiamo la barca. Al molo mi aspetto di trovarmi un traghetto o qualcosa del genere invece ad aspettare noi c’è un comunissimo motoscafo, sul quale salgono oltre a noi altre due coppie. Le borse e borsoni vengono messi nella parte anteriore dell’imbarcazione, noi invece al centro, seduti lungo i bordi. Inizia a piovere a dirotto e in più il motoscafo corre alla velocità della luce, ci arrivano addosso secchiate d’acqua in continuazione dal mare e dal cielo ed è il caso, forse, di tirare fuori gli spolverini. Non c’è speranza invece per borse e borsoni là a poppa, guardo il mio zaino tutto fradicio e spero solo che resista a tutta quell’acqua e che non salti in mare con tutti quegli sbalzi sulle onde. Ogni tanto con gli altri sventurati passeggeri ci guardiamo, guardiamo le valigie e non ci resta che ridere e augurarci che quella mezz’ora di viaggio adrenalinico finisca presto. Arriviamo all’isola, a una trentina di metri dalla riva e viene a prenderci un’altra barchetta ancora più piccola per portarci sulla spiaggia sempre sotto un’incessante pioggia torrenziale che non toglie comunque il fascino di quelle azzurrissime acque dell’oceano. Ci ripariamo nel bar più vicino alla riva dove chiediamo ad altri giovani backpackers consigli su quale alloggio scegliere tra i 15 che si trovano uno dopo l’altro sulla spiaggia. I giovani ci danno la “bella” notizia che il monsone ha  deciso di arrivare prima del previsto e tante strutture e negozi stanno già chiudendo e nel giro di qualche giorno tutta l’isola chiuderà. Io e John decidiamo di cominciare insieme a fare il giro degli ostelli per sentire i prezzi dei dormitori fino a raggiungere la più conveniente conclusione di dividere un mini chalet per 20ringgit a testa (5 euro) con bagno e ventilatore… e letto matrimoniale. Cosa non si fa per risparmiare! Prenotiamo solo una notte, decideremo l’indomani mattina cosa fare, se tornare sulla terra ferma o restare un’altra giornata, per me comunque non più di una perché ho in programma di spostarmi a est, sperando di trovare tempo migliore. Scopro che lo zaino purtroppo non ha resistito a tutta quella pioggia, i vestiti si sono completamente bagnati e non c’è neanche caldissimo perché possano asciugarsi in fretta.
Come se non bastasse, mi si rompe il cellulare perché lasciato proprio dove gocciolava lo spolverino che John aveva appeso ad asciugare. Bene, bloccata su un’isoletta nell’oceano colpita da monsoni, senza contatti con l’esterno e senza la possibilità di girare l’isola per la forte pioggia: questa sì  che è avventura! Quando il tempo si calma esco per vedere la spiaggia e per un bell’hamburger di carne e patatine fritte; dopo dieci giorni di dieta a base di riso e noodles in tutte le salse mi serviva un breve ritorno alla cucina occidentale. Mercoledì mattina il cielo è coperto ma c’è qualche sprazzo di sole all’orizzonte, combattuta sul da farsi affronto i miei dubbi con un pancake alla banana e arrivo alla conclusione di restare un’altra notte sull’isola. Decisione appropriata perché il tempo migliora decisamente e vado con John sull’altra costa, Coral Bay, dove noleggiamo maschera e pinne per immergerci e guardare il meraviglioso fondale ricoperto di coralli. Con noi c’è Will, conosciuto sul motoscafo, un logorroico canadese che dopo aver tossito deve sempre sputare per terra. In uno dei ristorantini sulla spiaggia per 15 ringgit (3euro circa) ci facciamo la cena più buona che abbia mai mangiato in Malesia che supera per fino il pasto sulla banana leaf che ho preso in quel “trentino asiatico”: un pasto completo con porzione di riso, mini patata al cartoccio, tra i pesci alla griglia a scelta ho provato il polipo, fetta di torta alla banana e fetta di anguria. Torniamo poi allo chalet dove passo la notte insonne per il fastidioso ronzio delle zanzare nelle orecchie e per il concerto che un gruppo di rane e rospi stanno tenendo proprio là fuori provando tutte le tonalità possibili.
Venerdi mattina riorganizzo lo zaino nel caso di un eventuale bagno di pioggia come all’andata, raggruppando i vestiti in vari sacchetti nella speranza che diminuiscano l’effetto bagnato. Lasciamo la stanza e fuori dalla porta dobbiamo scavalcare senza mosse brusche una lucertola di un metro e mezzo. In spiaggia c’è una transumanza di backpackers che spuntano da tutti gli chalet per prendere i motoscafi in partenza alle otto per tornare sulla terraferma. È quasi commovente vedere l’isola svuotarsi, pian piano partono i turisti e partono anche i proprietari delle strutture che chiudono per la stagione dei monsoni. Giornata soleggiata e mare tranquillo, non mi resta che godermi quella mezz’ora di motoscafo guidato da un pazzo che corre a tutta velocità e fa qualche curva improvvisa giusto per schizzarci un po’ d’acqua.
Saluto John, tipo molto pacato dall’abbigliamento un po’ hippy e per pigiama una strana tunica, le nostre strade si dividono e alle 10.30 parto, sempre in pullmino, per raggiungere in 6 ore Georgetown, cittadina principale dell’isola di Penang, collegata alla terraferma da un ponte. Per tutta la durata del viaggio il sole splende ma avvicinandoci Georgetown si vedono sulla città nuvoloni neri e non voglio quasi crederci, comincia a diluviare e sono costretta ad aspettare sotto un portico che il tempo si calmi  prima di fare il giro degli ostelli alla ricerca di un dormitorio economico. Il primo mi propone una stanza singola per quasi 5euro e quando chiedo di vederla scopro che è un buco 2 metri per 2 senza finestra, solo un letto e un ventilatore. Ringrazio l’offerta e vado avanti per altri due ostelli fino a trovare una stanza in comune con altre 7 persone per soli 3euro, inclusi internet (un tot al giorno) colazione basilare e super gentilezza dei proprietari.Le due giornate successive che passo a Georgetown sono praticamente identiche: mattina qualche ora alla spiaggia di Batu Ferringhi ad abbrustolirmi cogliendo quelle poche ore in cui il sole si mostra in pubblico e dove tanti malesi, giovani e meno giovani si avvicinano per chiedere di fare una foto con me o per offrirmi alloggio a casa loro… I pomeriggi invece sono per la città e a fare shopping: andare in luoghi dove tutto costa pochissimo a volte è pericoloso perché si vorrebbe comprare di tutto e di più invece di porsi un freno. La cosa importante è che ho finalmente preso un cellulare nuovo!
Mi chiedevo perche la via dove sta il mio ostello si chiamasse Love Lane e perché la guida Lonely Planet sconsigliasse di passare da li durante la sera. Un po’ dal nome ci posso arrivare e lo confermo quando passando di sera vedo tante signorine in tacchi e minigonna ferme sui marciapiedi in attesa di qualcosa, o meglio, qualcuno…Domenica mattina lascio pure Georgetown, con le sue strette vie dove a malapena ci passano 2 macchine e dove nell’aria si sentono misteriose urla di tutti quei gatti randagi. Sono pronta a lasciare anche tutti questi malesi sempre sorridenti con qualche dente mancante che fumano una sigaretta dietro l’altra, ruttano o si mettono le dita nel naso senza problemi mentre gli sto chiedendo un’informazione. Da Penang volo a Kuala Lumpur e qui ecco l’agitazione, una fame improvvisa, mi abbuffo di brioches, crackers, dolcetti e patatine, non riesco a stare seduta cammino avanti e indietro per la sala d’attesa.In attesa di quello che desideravo ardentemente da tanti mesi : il volo delle 23.50 diretto a Perth.
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THE END
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