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Liberazione di Mastrogiacomo..... chi ha vinto?


Il problema è tutto lì; l’Italia ha vinto o perso la battaglia per la liberazione di Mastrogiacomo? Andiamo con ordine: l’Italia è in Afganistan con un corpo di spedizione militare che si trova innanzitutto inserito nell’ambito di una coalizione che comprende altri corpi di spedizione militari che operano (dovrebbero operare?) tutti con le stesse regole di ingaggio. Per carità. Nessuna persona di normale intelligenza, se in buona fede, dovrebbe pensare che siamo lì come portatori di caramelle. Si tratta di un territorio di operazioni complesso, caratterizzato da una geografia montuosa ed impervia, ideale per compiere operazioni di guerriglia. Se ne sono accorti nel passato eserciti ottimamente comandati e ben equipaggiati.L’arma aerea, il mezzo di distruzione moderno più capace, in grado di risolvere rapidamente problemi di neutralizzazione di eserciti avversari e di destrutturazione di obiettivi strategici e tattici, può assai poco contro una guerriglia che si avvale del presidio occulto del territorio e di una mimetizzazione sullo stesso che conta sul controllo e, talvolta, sulla complicità della gente.C’è di più. Una nazione povera, abituata da secoli a sopravvivere in un’economia di montagna che poco concede agli agi ed abitua all’essenziale, è poco colpita dalla interruzione di linee di produzione e trasmissione. Si può aggiungere a questo che l’Afganistan ha tra le sue risorse principali la produzione di stupefacenti, con tutto quello che ne consegue.Il problema per questi teatri operativi complessi comincia infatti proprio quando, atterrato l’ultimo bombardiere ed esplosa l’ultima bomba, si tratta di assumere il controllo del territorio mediante l’impiego della fanteria. Non è un problema di addestramento o di equipaggiamento.Non è un fenomeno presente solo in Afganistan. In alcune realtà, dove la popolazione è fortemente ideologizzata in senso politico o religioso, non basta a controllare il territorio neppure la migliore fanteria, la meglio addestrata ed equipaggiata.Il teatro di operazioni è un teatro di guerra, è inutile farsi illusioni pacifiste e buoniste. Gli eserciti che, nella storia, hanno fallito in Afganistan, erano assai ben equipaggiati ed organizzati e soprattutto, potevano contare su regole di ingaggio assai elastiche quando addirittura non veniva autorizzato ed utilizzato il terrore diffuso per il controllo territoriale.In questo panorama il rapimento del Giornalista italiano. Lo spirito umanitario ispirava ad una liberazione a tutti i costi dell’ostaggio, fuori da ogni dubbio. Una vita umana, anche quella del nemico che ti spara addosso e dal quale devi difenderti è comunque preziosa. Altrettanto sicuramente il sequestratore non è esercito regolare, si avvale di strumenti non convenzionali, gestisce le proprie azioni belliche sull’intreccio stretto del terrore con la comunicazione mediatica.L’Italia ha liberato Mastrogiacomo. Fatto positivo. Il giornalista italiano è tornato sano e salvo a casa sua. La liberazione ha avuto un costo, un costo pesante. Prima di tutto, secondo me questo è il fatto più grave, la logica dello scambio non è riuscita a garantire la vita di chi era con il nostro personaggio. Una persona che era con lui è stata uccisa nel modo più barbaro, non è tornata a casa sana e salva. Non è sicuro che la famiglia possa avere neppure il corpo senza vita da seppellire.La trattativa si è svolta in modo autonomo, non controllato, le decisioni non sono state prese nel contesto della coalizione che opera unita (dovrebbe operare unita!) in un settore strategico delicatissimo. Cosa più grave è che il rilascio del giornalista è stato pagato con il rilascio di un gruppo di terroristi che proprio dalle forze della coalizione erano stati catturati. Non abbiamo pagato con moneta nostra.Ho guardato con gioia Mastrogiacomo uscire a braccia levate dall’aereo che lo riportava in Italia; mi sono commosso per l’affettuosissimo abbraccio con la figlia e con la moglie. Sinceramente ne ho gioito.Eppure l’Italia ha perso un’importante battaglia; l’attendibilità internazionale del nostro Governo e delle nostre truppe esce incrinata dall’episodio. La stessa coalizione che opera in Afganistan ne esce con le ossa rotte. Non c’è che dire. Abbiamo consegnato la vittoria, e che vittoria, ai Talebani che non sono altro (per lo meno di facciata) che un pericolosissimo gruppo di fanatici religiosi che viaggia a stretto contatto con il gotha del terrorismo di matrice islamica.Non facciamo finta di meravigliarci se alcuni paesi della coalizione, che magari hanno pagato un prezzo di sangue in questa pericolosa spedizione, si dicano irritati e poco d’accordo con le nostre linee operative. Ma. C’è da chiedersi. Di queste linee è realmente autore D’Alema, l’ultima risorsa vera della politica estera italiana?Maurizio Navarra