Avasinis -UD- 2.5.45

Avasinis, serve ancora ricerca.


Testo dell'intervento di Pieri Stefanutti pubblicato sul "Messaggero Veneto" del 16 maggio 2024. Serve ancora ricerca sulla strage di Avasinis.“Da tempo la memoria è stata riunita”, hanno scritto i giornali a proposito di Civitella Val di Chiana, il paese toscano - cui ha reso omaggio il 25 aprile il Presidente Mattarella - oggetto, nel 1944, di una feroce strage nazista che aveva visto, nel dopoguerra, dividersi le opinioni a favore o contro la Resistenza, ritenuta da taluni elemento fondamentale del riscatto italiano e da altri, invece, responsabile dello scatenarsi della dura rappresaglia.È successo lo stesso anche ad Avasinis, dove – a guerra praticamente finita – i nazifascisti uccisero, il 2 maggio 1945, 51 persone, tra le quali molti anziani, parecchie donne, diversi bambini?Dal 1945 ad oggi ogni anno le vittime sono state commemorate e anche quest’anno, dopo la celebrazione di una messa, sono intervenuti a ricordare il fatto ed il sacrificio del paese il sindaco di Trasaghis Stefania Pisu, il presidente provinciale dell’Associazione Vittime Civili di Guerra Adriana Geretto, l’Assessore regionale Barbara Zilli ed il presidente dell’Anpi di Udine Antonella Lestani. A ricordare e ad analizzare il fatto, concordemente, anche se magari da angolature diverse, sono stati dunque Amministratori, custodi della memoria delle vittime civili, eredi del movimento della Resistenza.Ma non è sempre stato così. Don Zossi, il parroco di Avasinis dell’epoca, rimasto egli stesso ferito nella strage, aveva propugnato la realizzazione di un monumento a ricordo delle vittime capace di diventare “un Sacrario vicino al Signore” così da fare in modo che “il sacrificio di tante anime fosse lì ad implorare Pace ed Amore ai posteri tutti”. Per parecchio tempo, però, Avasinis è stato un esempio di “memoria divisa”: ai partigiani che elencavano le azioni contro gli occupanti tedeschi e cosacchi veniva ribattuto che la popolazione civile aveva pagato un ben duro prezzo.Negli anni vi fu talvolta cesura tra il momento della cerimonia religiosa e quello della cerimonia civile; poi, negli anni, le posizioni si sono avvicinate. Accanto alla commemorazione, sono state avviate diverse iniziative finalizzate alla comprensione di quel che realmente successe in quel drammatico scampolo di guerra: così, da un lato, attraverso la raccolta di testimonianze dirette (per esempio attraverso i video “Tatort Avasinis” e “Avasinis luogo della memoria” oppure col libro “Voci dal 2 maggio”), dall’altro col reperimento di documentazione archivistica (come la pubblicazione integrale del diario del parroco dell’epoca, don Zossi).Avendo partecipato alla realizzazione di diverse delle iniziative citate, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni per fare il punto sulla situazione.Innanzitutto mi sentirei di dire che quella di Avasinis non fu una rappresaglia: è difficile trovare una azione partigiana che abbia potuto provocare una reazione di una tale portata. Oltretutto cercheremmo invano di trovare proporzioni numeriche: le uccisioni furono casuali, seguendo qua e là il “capriccio” dei soldati impiegati nell’azione, sicuramente senza che venisse rispettato un ipotetico numero di esecuzioni preventivate.Le modalità operative che precedettero la strage fanno inoltre pensare a una pianificazione (il giorno precedente le truppe nazifasciste piazzarono dei mortai rivolti contro il paese, avviarono una azione di accerchiamento…).Fu dunque, nei fatti, un'azione preordinata, non una risposta istintiva a un attacco partigiano. Con ogni probabilità, all'interno delle operazioni di copertura delle truppe in ritirata, era stato deciso di punire le azioni partigiane in atto (che avevano appena ottenuto la resa dei cosacchi ed anche di diversi militari e civili tedeschi impiegati in zona nella Organizzazione Todt) e, parallelamente, della popolazione che sembrava sostenere il movimento resistenziale.Ovviamente, una definizione chiara dei fatti e delle circostanze risulta essere sempre più ardua, con la scomparsa progressiva dei testimoni diretti e dopo che anche due inchieste giudiziarie (una italiana e una tedesca) non sono riuscite a individuare responsabilità precise. Ciò non toglie che si debba continuare a ragionare su quelle ormai lontane vicende, si debba fare una ricerca seria su cause, dinamiche e conseguenze dell’eccidio, anche cercando documentazione integrativa (come stanno facendo, per esempio, gli studiosi Carlo Gentile e Stefano Di Giusto, andando a scandagliare gli archivi tedeschi). È, se vogliamo, un dovere civico: nel rispetto della memoria delle vittime ma anche nella necessità di inquadrare correttamente quelle vicende, evitando di dare spazio a ricostruzioni fantasiose e pressapochiste.Pieri Stefanutti, Trasaghis