Avasinis -UD- 2.5.45

Oggi, 65 anni fa: 2 maggio


Mercoledì, 2 maggio 1945E' la giornata dell'eccidio di Avasinis, un episodio assai complesso, dalle molte sfaccettature. Se ne offre una sintetica ricostruzione attraverso le pagine redatte da Giulio Aldo Colonnello:UN'ORA DI CARNEFICINA AD AVASINISLa mattina del 2 maggio 1945 suonavano ormai le campane a festa dei campanili di Gemona, di Osoppo e degli altri paesi sulla sinistra del Tagliamento. Le popolazioni erano insorte nel tripudio della liberazione che poneva fine all'incubo e alle miserie della guerra. Ma lungo la strada pedemontana da Pinzano, a Cavazzo, a Tolmezzo transitavano ancora le truppe tedesche che avevano scelto, per la loro ritirata, quel percorso ritenuto più al sicuro dai mitragliamenti aerei, e dalle molestie dei partigiani. I piccoli paesi attraverso i quali passavano le colonne ordinate e in pieno assetto di guerra erano o sembravano deserti. Solo dai costoni delle montagne di Avasinis nel punto in cui la pedemontana muta versante, tra questo paese e Trasaghis, un gruppo di partigiani con una mitragliatrice pesante tentava di ostacolare e di molestare il passaggio delle truppe germaniche.Non si conosce l'effetto dell'azione partigiana. La reazione del nemico, però, è stata immediata e violenta. Fatta tacere la mitragliatrice con alcuni colpi di mortaio, un reparto in ordine sparso prese d'assalto il paese. La popolazione era ormai abituata a questi episodi e, come le altre volte, gli uomini s'erano messi al sicuro in montagna e le donne, i vecchi e i bambini avevano continuato nelle loro faccende od erano usciti a curiosare sulle strade. S'erano sempre comportati così ogni volta che il paese era stato occupato dai tedeschi, dai cosacchi e dalle brigate nere e mai nulla di grave era accaduto. Gli uomini in montagna, le donne, i bambini e i vecchi a casa.molestia da parte dei partigiani. Il paese piombò allora in quello strano silenzio che segue sempre questi fatti di sangue. Pare che la natura stessa ne abbia orrore. Poi cominciarono i lamenti dei feriti, alcuni dei quali erano riusciti a trascinarsi fino nei loro letti ove morirono dissanguati. Ci fu chi tutta la notte agonizzò invocando aiuto, senza che nessuno potesse soccorrerlo ed accogliere le sue invocazioni e bagnare le sue labbra riarse.Ma questa volta i soldati tedeschi parevano invasati da una bestiale follia omicida. Ogni casa venne rastrellata con le armi in pugno e tutte le persone buttate fuori, affiancate nei cortili e falciate a bruciapelo con le armi automatiche.I vecchi che non potevano muoversi furono uccisi nelle cucine, vicino ai focolari; si disseminavano cadaveri nelle strade, sui ballatoi, nelle camere, nei granai, si ammucchiavano nei cortili, si accasciavano accanto alle fontane.Quanti episodi strazianti. Una stessa pallottola uccise una madre, Lina Rodaro, e la figlia di due anni, Giuliana, che portava in braccio. Sullo stesso mucchio caddero Antonio, Margherita ed Eleonora Ridolfo: padre, madre e figlia. Non ebbero pietà i carnefici di ragazzi come Luigi Orlando e Maria Venturini di 12 anni, Giovanna Orlando di 7, Pia Peressini di 11, nè rispetto di fronte a vecchi cadenti come Giacomo Di Gianantonio di 79 anni, Venturino Venturini di 83, Domenica Ridolfo di 81, Giovanni Cucchiaro di 76 e Caterina Rabassi di 75.La carneficina durò oltre un'ora. Poi l'ordine di un ufficiale trattenne quelle belve scatenate. Metà paese era stato rastrellato; oltre sessanta vittime erano cadute. L'azione di rastrellamento continuò fino all'ultima casa. Quando la voce dell'orrenda strage si diffuse, molti riuscirono a fuggire, altri si nascosero nei luoghi più impensati. Ma circa una quarantina di donne furono prese come ostaggi e rinchiuse nelle stalle e tenute sotto la minaccia di essere anch'esse uccise qualora si verificasse qualche azione.  Fra i feriti c'era anche don Francesco Zossi, il parroco. Anch'egli era stato allineato nel cortile della canonica assieme alle donne e ai vecchi di alcune famiglie che aveva ospitato. Il tedesco prima di sparargli addosso gli fece sbottonare la talare e lo colpì da un passo appena di distanza. Don Zossi con un gesto istintivo si portò le mani davanti al volto e cadde. La pallottola gli colpì la sinistra e venne deviata. Ebbe l'accortezza d'imbrattarsi di sangue la testa e il volto e fingersi morto. Con lui caddero altre cinque o sei persone.Dopo un po' di tempo il tedesco, sospettoso, ritornò sui suoi passi per accertarsi che tutti fossero morti. Con la scarpa ferrata percosse la testa di don Zossi poi se ne andò persuaso che tutto fosse finito. Ma don Zossi quando fu sicuro si alzò, si medicò la ferita, si lavò la faccia insanguinata. Il povero parroco, però, la ferita più profonda l'aveva nell'anima perché si sentiva impotente in quella tragica circostanza a soccorrere la sua gente che soffriva e moriva. Proprio lui, che a rischio della vita non aveva mai abbandonato il suo posto; che era riuscito a salvare il paese dai tedeschi e dai cosacchi; che, quando un ordine del nemico lo faceva responsabile dello sfratto di tutta la popolazione entro quattro ore, aveva invece consigliato la gente a non muoversi assumendosi una responsabilità terribile.  Durante tutta la notte si sentirono nel silenzio le grida disperate dei feriti assieme a quelle di due giovani, Anna Rodaro e Anna Di Gianantonio, rispettivamente di 19 e 26 anni, prese anch'esse come ostaggi e seviziate e tormentate fino all'alba quando furono freddate con un colpo di pistola alla nuca. (G.A. Colonnello, Guerra di Liberazione in Friuli, 1965, pp. 276-279)