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Economisti "de noantri"


 
"L'ECONOMISTA ATIPICO" Se avessi voluto parlare di ristrutturazione del debito ne avrei parlato, bastava solo cercare il parere di qualche esperto economista. Dalle conclusioni di tali economisti, indifferentemente dalle proprie posizioni ideologiche, ne sarebbe uscita una sola parola: "default" o "fuori dalla zona euro". Purtroppo, le imbelli mucche hanno colto la misera occasione di accusarmi di cose che non ho mai scritto. Non ho approfondito nulla di tutto ciò ma mi hanno per così dire frainteso perché forse non avevano una mazza da dire. Per ristrutturazione del debito pubblico non ho inteso il default della moneta unica o la svalutazione dei titoli di stato ma semmai discutere di una diversa tipologia del debito. Non più solo tasse per mantenere il minimo necessario ma tasse per investire. Se ho sbagliato il termine, basta leggere il seguito del mio commento per capire che non ho discusso nulla di tutto ciò.Se escludi ogni tipo di investimento, fai fare i sacrifici ai cittadini solo per pagare i debiti dei debiti... Si calcola che ogni paese che produce debito pubblico è un paese che investe, il guaio resta le proporzioni del debito pubblico. Se il debito pubblico si attesta al 40/60 per cento, abbiamo un buon debito pubblico. Noi in Italia abbiamo un debito pubblico pari al 120 per cento...Bene, tralasciate le guerre degli scemi in tempo di pace, vorrei ribadire quanto sia importante investire nella spesa pubblica al fine di ridurre il nostro debito allo Stato e lo faccio con del materiale dove i soliti imbelli saranno "onorati" di valutare o criticare. Forse per i più infermi di idee avrei dovuto usare il termine "orientare" invece di "ristrutturare" ma se le mucche volanti avessero estrapolato per intero il mio commento, a quest'ora non sarei quì a fare errata corrige per questi scemi di guerra. Un buon esempio di "orientamento" della spesa pubblica per investire nel nostro paese lo riporto quì sotto. Investire si può ma non lo puoi spiegare alle mucche volanti. Da una prima lettura si evince in effetti che il dato riferito alla spesa pubblica connessa allo sviluppo del Mezzogiorno è passata dal 40.9% nel 2001 al 33.5% del 2009. Guardando pero in modo più attento i dati, e scorporandoli per le quattro macroaree del Paese, si vede che il peso della spesa pubblica nel Mezzogiorno (33.5%) rimane superiore a quella di altre aree omogenee e più “forti” economicamente come il Centro dove risulta il 21.9%, il Nord-est il 21.9% ed il Nord ovest il 22.7%. A parte le statistiche, comunque, credo che quando si parla della spesa pubblica non ci si possa più concentrare solo sul dato relativo alla quantità della spesa ma soprattutto sulla qualità. Andrebbe verificato in modo puntuale cosa si è fatto con le risorse e se ciò che si è fatto ha prodotto realmente crescita ed occupazione; su questo va articolato il dibattito.Andrei però ad osservare nel Sud in quali settori si sta investendo di più, forse è questo il dato in cui si può osservare meglio il “comportamento” del territorio in termini strategici; se guardiamo il dato riferito agli investimenti in un settore chiave come l’energia ad esempio nel Mezzogiorno, nel quinquennio 2005-2009 sono stati investiti 13,7 miliardi di euro, nel Centro 10,8, nel Nord ovest 11,3 e nel Nord est 8,4. Occorre quindi a nostro avviso andare a guardare nei singoli comparti quali sono i settori dove si è insistito e quelli dove la spesa è carente per orientare meglio le risorse. Il Sud ha avuto un grande boom nel settore delle energie rinnovabili, che le ricerche di SRM hanno evidenziato essere un comparto che genera crescita, investimenti e innovazione.I tagli alla spesa sociale sono i piu' dolorosi perche' toccano direttamente, e in varie forme, il capitale umano (istruzione, formazione, ricerca e sviluppo, lavoro). Il dato del Mezzogiorno esprime una spesa di quasi 3 miliardi di euro nel 2009; maggiore rispetto ad altre macroaree del Paese. Ma il vero problema prima ancora che la distribuzione territoriale e' che questo capitolo rappresenta per il nostro Paese una voce che racchiude solo il 12,2% della spesa totale per investimenti. Se addirittura consideriamo solo la ricerca ne rappresenta il 2,1%. Mentre invece Scuola, Università, Ricerca e Politiche per l’occupazione dovrebbero essere al centro degli investimenti su cui fondare il rilancio del Paese.Guardi credo che le ricerche svolte da SRM possano contribuire a fornire un buon vademecum per individuare quali sono i comparti che hanno potenzialità e quali sono quelli che già sono “forti” ma che occorre consolidare. Il Mezzogiorno non deve rinunciare all'industria manifatturiera e ai comparti ad alta intensità tecnologica come aerospazio e automotive. Poi il triangolo turismo, cultura, agroalimentare, tre settori che se uniti in una vera filiera possono generare un importante impatto di pil. E ancora energie rinnovabili, shipping e infrastrutture per la logistica e portualita'.  Non e' solo una questione di quantità di investimenti pubblici, ma soprattutto una questione di scelte chiare, tempestive, di qualita' degli investimenti e di riduzione della burocrazia. E poi di politiche che orientino tutti i settori verso l'Internazionalizzazione, l'innovazione e le aggregazioni. Le imprese possono rappresentare la chiave di volta dello sviluppo economico; sono loro che creano sviluppo ed occupazione e “moltiplicano” gli investimenti pubblici. Da "Il Sole 24 Ore Sud", 12 ottobre 2011