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Post N° 781

Post n°781 pubblicato il 22 Luglio 2007 da cgil3palermo
 

Cassazione: “Mai spiare il dipendente lavativo”
La vigilanza non deve violare la privacy

L’impresa aveva utilizzato le telecamere del garage per dimostrare le inadempienze del lavoratore. Il caso è relativo a quello di un dipendente dell’Eni che era stato licenziato dopo la sentenza in appello a marzo 2005. Ora l’azienda dovrà reintegrarlo e pagargli gli stipendi arretrati. Tutti i pareri del Garante sui controlli negli uffici

C’è una soglia che non deve essere mai valicata. Pure se il lavoratore è uno di quelli che di lavorare non ne vuole proprio sentire parlare. A dirlo è una sentenza della Cassazione che ha stabilito che "la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva" va "mantenuta in una dimensione 'umana' e cioé non esasperata dall'uso di tecnologie" che violano la privacy del dipendente stesso”. Insomma il Grande Fratello nelle imprese non può andare in onda.

La sentenza 15892 della Cassazione, redatta da Paolo Stile, ha annullato su queste basi il licenziamento che era stato inflitto il 3 luglio del 2002 ad un dipendente dell'Eni Spa. Sergio P., a dire del datore di lavoro, aveva mostrato un "comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente, o comunque idoneo ad ingenerare sfiducia". In particolare la sentenza fa riferimento all’uso che il datore di lavoro ha fatto delle telecamere all’interno del garage dove potevano parcheggiare i dipendenti per dimostrare le sue ingiustificate assenze e ritardi. Nella sentenza del giudizio d'appello emessa a marzo 2005, con il quale il dipendente era stato licenziato, si affermava che l’uomo "eludendo i controlli varcava altri accessi ed entrava nel garage o ne usciva con la sua auto privata".

La sentenza sembra muoversi in una direzione diversa rispetto alle precedenti pronunce e stabilisce che le imprese pure se si trovano di fronte all’esigenza di “evitare condotte illecite da parte dei dipendenti" non possono spiare la condotta del dipendente facendo un ricorso "esasperato a mezzi tecnologici" così da fare venire meno "ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore".

Per la Cassazione quindi, pure in presenza di un comportamento grave “svoltosi in maniera sistematica tale da avere spezzato il vincolo fiduciario", il dipendente va immediatamente "reintegrato nel suo posto di lavoro". Allo stesso tempo l’impresa dovrà un risarcimento al lavoratore per i danni pari alla retribuzione di circa 1.500 euro per quattrodici mensilità, ovvero dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.

La Suprema Corte ricorda che sussiste il "divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi sul presupposto che la vigilanza sul lavoro va mantenuta in una dimensione umana" stabilito dallo Statuto dei lavoratori. La richiesta dell’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, può essere solo condizionata a “esigenze di sicurezza del lavoro". In ogni caso la installazione è "condizionata all'accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, o in difetto, all'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro".

D'altronde il diritto alla privacy del dipendente si estende anche durante le attività di lavoro in ufficio. Il Garante nella sua ultima relazione annuale ha ribadito, in occasione di un caso relativo a un lavoratore licenziato per avere consultato siti a contenuto religioso, politico e pornografico, che il datore non può copiare direttamente dalla directory intestata al lavoratore le pagine web senza informare preventivamente il lavoratore. Tale trattamento può essere effettuato senza il consenso solo “se necessario per difendere in giudizio un diritto di pari rango pari a quello dell’interessato della personalità o un altro diritto fondamentale.”

Sempre in merito al controllo da parte dell’azienda dei movimenti dei dipendenti il Garante ha dato ad agosto un “sì condizionato” al progetto di una società che prevede l'uso delle impronte digitali per far accedere i dipendenti in determinate aree del magazzino merci dove sono depositati beni di particolare valore. “Le impronte digitali potranno essere usate solo per identificare in maniera certa i dipendenti della società abilitati all'accesso alle aree riservate e non per la rilevazione delle loro presenze. Scopo dell'installazione del sistema biometrico è quello di garantire una maggiore sicurezza delle merci ed evitare il ripetersi di furti di beni preziosi".

Quanto alle email la pratica del controllo sembra essere molto diffusa. Per Mauro Paissan, componente del Garante per la Privacy, “è giusto partire dal quadro normativo vigente (per quanto non specifico) che al momento punisce con una sanzione penale (art. 616 c.p.) chiunque violi una corrispondenza a lui non diretta, specificando che per corrispondenza si intende anche quella informatica o telematica. E’ necessario trovare una soluzione che contemperi il diritto del datore di lavoro di mantenere il controllo dei beni aziendali con l’insopprimibile diritto, costituzionalmente tutelato, alla segretezza della corrispondenza e alla protezione dei propri dati personali. In ogni modo, su questo delicatissimo punto non c’è ancora una normativa specifica né una giurisprudenza consolidata.”

 
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