6° di separazione

la nostra brava guerra


Noi non conosciamo la guerra. Abbiamo la tecnologia per vederla, ma non la conosciamo. Abbiamo i satelliti che mostrano le foto aeree ed i missili cadere dall’alto; abbiamo le immagini a infrarossi che mostrano i bombardamenti notturni, verdi su un cielo nero, da Baghdad o Kabul; abbiamo le statistiche dei caduti, dei feriti, i nomi impronunciabili di città e quartieri presi e perduti (Peshawar, Karachi), abbiamo una progressiva familiarità con parole arabe (pashtun, taliban, Mullah), e con i nomi delle armi (RPG, AK-47, IED). Ma non sappiamo cos’è la guerra.Ce lo racconta David Finkel, giornalista del Washington Post, Premio Pulitzer nel 2006, che è stato nello Yemen, Kosovo, Afghanistan, Iraq. È stato in tutti i posti in cui c’è quella guerra che non conosciamo.Forse nemmeno lui la conosce, ma riesce a raccontarcela. Com’è possibile?È possibile. Perché parte del suo lavoro, della sua abilità, è proprio di trasmetterci questa sensazione, di renderci consci della nostra ignoranza. I bravi soldati è una testimonianza (non è un saggio, e nemmeno un romanzo, credo) della guerra per il 2° battaglione del 16° reggimento di fanteria americano, di stanza in Iraq nel 2007-2008.Senza moralismo, senza melodrammi, senza la volontà di strappare una lacrima o solidarietà per una parte o per l’altra, senza giudizi di parte, ogni capitolo si apre con una definitiva e risoluta dichiarazione dell’allora Presidente Bush sull’andamento della guerra – che non conosce, come noi, e sulla descrizione di alcuni momenti, di questa guerra, per il battaglione 2-16 – che la conosce, al contrario suo e nostro.Cosa significa uscire ogni mattina sapendo che sul ciglio della strada potrebbe esserci un ordigno che forse esploderà all’andata, o forse al ritorno, o forse esploderà appena prima del passaggio dello humvee corazzato su cui viaggi, o forse appena dopo. Cosa significa domandarsi quale piede mettere davanti e quale dietro, sapendo che quello più esposto potresti perderlo, in tutto o in parte, insieme a tutta la gamba a una mano o a un braccio, a un occhio, a un orecchio e forse alla vita. Salire sul mezzo e sapere che forse ti salverai perché sei a destra, o che forse, perché sei a destra, morirai. O magari sarai ferito.Quando leggiamo, sui giornali, della guerra che non conosciamo, alla parola “ferito” proviamo una forma di sollievo incerto. Ma Finkel ce lo toglie, perché ce lo racconta, quello che accade dopo la corsa frenetica alla base, ed il primo soccorso, ed il volo verso un ospedale in Germania o anche negli Stati Uniti. Scoprendo che non conosciamo la guerra capiamo anche che proprio perché non la conosciamo, e non possiamo capirla, proprio per questo abbiamo una posizione a riguardo – a favore, contro – e proprio per questo la nostra posizione viene resa più incerta o più sicura da quello sgranare nomi e cifre, da quelle cartine che vediamo in tivù o su google, che sembrano confortare un pensiero preciso, una convinzione profonda. Che svanisca, così, già dopo una trentina di pagine. Daniel Finkel, i bravi soldati – Strade Blu, Mondadori, 17,50€