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« gas contro i palestinesirilassiamoci »

in libano? ma il 1983?

Post n°27 pubblicato il 30 Luglio 2006 da il.dubbioso
 

D’Alema e Dini continuano a parlare dell’invio di una forza di interposizione in Libano, tra l’esercito israeliano e gli Hezbollah.
Vale la pena di ricordare che ciò è già accaduto nel 1982-84.
Con questi risultati: 258 marines americani morti in due attentati, e 56 soldati francesi uccisi in un terzo.
Anche nel 1982 Israele invase il Libano, dove Arafat aveva spostato il quartier generale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) e centinaia di migliaia di profughi palestinesi, in campi di raccolta, organizzavano la «resistenza» anti-sionista.
L’aggressione di Israele cominciò il 6 giugno 1982 con la distruzione preliminare dell’intera forza aerea della Siria.
Poi, distrutto con bombardamenti il sistema ferroviario e aeroportuale del Libano, le truppe israeliane entrarono nel Paese.
Allora l’operazione costò la vita di 30 mila civili libanesi.
Le truppe di Sharon circondarono Beirut, ed anche allora si profilò una tragedia umanitaria: mezzo milione di cittadini di Beirut scapparono sulle colline, diventati profughi a casa loro.
A quel punto, interviene la comunità internazionale e impone una tregua.
Il presidente americano Ronald Reagan convince Arafat ad abbandonare il Libano per Tunisi con tutti i 14 mila membri dell’OLP; in cambio, promette di inviare 800 marines per proteggere l’evacuazione e le famiglie palestinesi che resteranno nei campi-profughi.
A settembre arriva la forza multinazionale, composta da americani, francesi e italiani.
I marines, quasi duemila, si sistemano in caserme provvisorie all’aeroporto di Beirut; la presenza delle truppe internazionali blocca le operazioni israeliane: Sharon è furioso.

  
   


Il 18 aprile 1983 esplode un’auto-bomba davanti all’ambasciata USA a Beirut: 17 marines muoiono: il 23 ottobre 1983, un terrorista suicida su camion carico di esplosivo si avventa contro le caserme dell’aeroporto: è una strage di 241 marines.
Nello stesso istante, un attacco identico investe gli alloggi dei francesi: ne muoiono 56.
Secondo la versione ufficiale, il primo degli attentati viene attribuito ad Hamas, e gli altri agli sciiti libanesi, i futuri Hezbollah.
Ma Victor Ostrovsky, un ex agente e transfuga del Mossad, ha raccontato un’altra versione dei fatti nel suo libro «By way of deception», pubblicato a New York nel 1990.
«Nell’estate del 1983», scrive l’ex agente, «un nostro informatore ci rivelò che gli sciiti stavano preparando un grosso camion Mercedes ricavandone spazi per contenervi una grande quantità di esplosivo, destinato evidentemente a un bersaglio grosso… uno dei bersagli non poteva che essere l’alloggiamento dei marines».
Avvisare o no gli americani?
Il capo supremo del Mossad, che si chiamava Nahum Admony, disse: «No, non siamo qui per proteggere gli americani. Sono un grande Paese. Mandategli solo l’informazione usuale».
Fu fornita un’allerta generica, del tipo: «C’è ragione di credere che qualcuno prepari un attentato contro di voi».
Nei sei mesi precedenti, informative generiche di questo tipo ce n’erano state oltre cento, scrive Ostrovsky.
Ovviamente, «le installazioni israeliane ricevettero i dettagli particolareggiati, con la descrizione del camion Mercedes in questione e l’avviso tenerlo d’occhio».
Il camion comparve alle 6.20 del mattino davanti alle caserme americane degli USA.

  
  


Accelerò ed esplose: morirono 241 marines, molti ancora nel sonno, la più alta perdita per il corpo, in un solo giorno, dai tempi dell’offensiva del Tet in Vietnam (13 gennaio 1962).
Il Mossad, dopo, fornì alla CIA una lista di sospetti dell’attentato alquanto inutile: tredici nomi, fra cui inserirono uomini dello spionaggio siriano, di alcuni agenti dell’Iran  a Damasco, e il capo sciita Mohammed Hussein Fadlallah.
Già allora Israele voleva sostenere che gli sciiti libanesi erano manovrati da Teheran.
Scrive Ostrovky: nel quartiere generale del Mossad, «l’atteggiamento verso gli americani vittime dell’attentato era: beh, hanno voluto ficcare il naso in Libano, che ne paghino il prezzo».
Gli americani scoprirono che gli israeliani non erano alleati fidati.
Nel marzo 1984, un gruppo chiamato «Jihad Islamica» rapì William Buckley, «capostazione» della CIA in Libano.
La cattura di un uomo di quel livello era un colpo gravissimo: se forzato a dire tutto quel che sapeva, avrebbe rivelato una quantità di operazioni in corso nel mondo, mettendo a rischio la vita di centinaia di agenti.
Il capo della CIA, Bill Casey, chiese l’assistenza del Mossad per recuperare il suo uomo.
Admony gli rispose: «Tutte le informazioni che volete, a patto che non mettano in pericolo i nostri uomini. Ma se volete qualcosa in particolare, dovete chiederlo attraverso il nostro primo ministro». Gli americani andarono dal premier, che era allora Shimon Peres, il quale ordinò di dare tutto l’aiuto possibile.
Tutto ciò che gli uomini della CIA ottennero fu un colloquio con il capo del dipartimento «Saifanim» del Mossad, specializzato nello spiare l’OLP: presto si accorsero che il solo interesse del Mossad era di convincerli che era stato l’OLP di Arafat a rapire l’agente Buckley.
La CIA chiese di parlare con qualche informatore del Mossad sul terreno: ricevette un rifiuto.
Buckley fu tenuto dai suoi carcerieri diciotto mesi, torturato, e infine ucciso.


Amaramente, le «forze di pace» americane scoprirono di non avere alleati in Libano.
Un fatto che un analista del Pentagono, tale Beter, aveva già sottolineato nel suo rapporto datato 3 novembre 1982, poco dopo l’invio della forza d’interposizione.
«Faccio presente», scriveva Beter, «che i marines mandati là possono diventare il bersaglio di una grossa provocazione. Il Mossad è perfettamente capace di fare in modo che dei marines vengano uccisi in qualche attentato, e addossarlo agli arabi. Ciò allo scopo di infiammare di sdegno l’opinione pubblica americana e trascinarci in guerra».
Seguiva un elenco delle numerose operazioni «false flag» di cui il Mossad era sospettato da anni: nel gergo delle spie, si chiamano così gli attentati che commette una parte, seminando prove false per addossarli alla parte avversa.
Il «false flag» è una specialità israeliana.
Anche nei giorni scorsi, dopo aver bombardato la stazione dell’ONU uccidendo quattro caschi blu, Israele ha cercato di addossarne la responsabilità agli Hezbollah: solo la franca reazione di Kofi Annan ha sventato il tentativo.
Ronald Reagan, saggiamente, ritirò i marines il 26 febbraio 1984.
Subito dopo, per ordine di Sharon si compì il massacro di Sabra e Chatila, sterminando i profughi dell’OLP che i marines avevano promesso di proteggere.
Questa è la storia della «interposizione» in Libano da parte delle «forze multinazionali».
E’ meglio che D’Alema, Parisi e Prodi la imparino a memoria, prima di mandare i nostri soldati in quel pericoloso  carnaio.

http://www.effedieffe.com

 
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