ANIMA APERTA

21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr 10


Fra' Anselmo lasciò in fretta e furia il magister con i due chierici e si diresse verso l'entrata del ghetto ebraico. Non gli interessava  delle voci che sarebbero nate appena si sarebbe saputo della sua visita, lui voleva trovare il bandolo della matassa e fare, finalmente, luce su questo omicidio, anzi duplice perchè era sempre più convinto che le due vittime fossero collegate tra loro. Si diresse verso Via Sabbioni dove  abitava la persona che senza ombra di dubbio lo poteva aiutare . La persona, anzi la vedova di un ricco commerciante( imprestava pure denaro a chi ne aveva bisogno, senza fare differenza fra ebrei e cristiani) abitava in una casa talmente maestosa che poteva ospitare tranquillamente una sinagoga all'interno del cortile. Sviluppata in un palazzo maestoso e quasi facendo confine tra il ghetto e la città cristiana, si apriva su un lussuoso ingresso dove ad attenderlo vi era colei che lo poteva aiutare. Non erano sconosciuti Fra' Anselmo e la vedova perchè la loro conoscenza era nata a Roma, e si scambiarono un affettuoso abbraccio appena furono vicini. La vedova fece strada attraversando un cortile che era circondato da vari accessi. In uno di questi, l'inquisitore, vide una stanza con un camino scoppiettante e con degli affreschi che coprivano senza ombra di dubbio tutte le pareti, dando un senso di calore a chi aveva la fortuna di entrare in quella stanza. La vedova ( Rachele Dafermo, questo era il suo nome)si indirizzò verso una stanza e dopo aver fatto accomodare l'inquisitore gli chiese qual buon vento lo portava a Ferrara che non era tanto vicina alla città eterna. Il nostro inquisitore  le rispose che era stato mandato a Ferrara per i lutti che vi erano stati. L'inquisitore , guardandosi intorno, disse che un'idea già si era fatta nella sua mente ed era li proprio per chiedere conferma alle sue supposizioni. La vedova con finta aria stupita gli chiese a che supposizioni intendeva dire. Le disse che la sua casa era ai limiti  estremi del ghetto e dalla finestra si potevano vedere i cancelli che separavano il ghetto dal resto della città. La vedova confermò quello appena detto e aggiunse che era una esigenza del suo povero marito per i suoi affari. Disse inoltre che tutta la città sapeva che in quella casa si concludevano affari sia con cristiani e ebrei; bastava solamente chiedere udienza e si concludevano affari con un profitto equo per le due parti. La vedova Rachele, guardandolo gli chiese seriamente se la voleva denunciare alle guardie papali dato che era un reato molto grave e a volte si veniva condannati e requisite tutte le proprietà. Fra' Anselmo la rassicurò, dicendole che era ben lungi da lui l'idea di denunciarla, ma gli servivano alcune informazioni proprio inerenti all'attività del marito e che sicuramente non era stata abbandonata dopo la sua morte. Sicuramente vi erano famiglie più o meno nobili che si rivolgevano a lei per avere un prestito di scudi in attesa di tempi migliori . Ecco, lui voleva sapere quali erano chi si trovava in difficoltà. Rachele disse che non era una cosa fattibile e anzi molto pericolosa per la sua incolumità. Quale famiglia si sarebbe rivolta ancora a lei sapendo che poi tutta la città o il tribunale dell'Inquisizione sarebbero stati informati?. Disse che era una cosa troppo pesante da chiedere, anche nel nome della loro vecchia amicizia e caso mai l'avrebbe aiutato o cercato di aiutarlo in altri modi. Fra' Anselmo non disse nulla per farle cambiare idea anche perchè sapeva che ciò che aveva appena sentito era la nuda e cruda verità. La vedova  gli disse solamente una frase sibillina: Si farebbe prima a menzionare chi non è mai entrato in questa casa a chiedere denari......