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« Infame vile attentato a ...Francesco presente »

confronto Adinolfi-Morucci

Post n°3 pubblicato il 07 Giugno 2009 da bonzotibetano

Venerdì 5 giugno 2009 Giovani e Politica: A chi appartiene il domani? (Adinolfi-Morucci)L’AVGVSTOoggi vuole offrire un arricchimento culturale a tutti i giovani, diqualsiasi colore politico, che fanno o si interessano di politica.Attraverso la testimonianza di due personaggi “scomodi”, che ad essahanno dedicato la vita. Con l’ambizione di contribuire all’abbattimentodegli steccati ideologici e degli inutili odi di parte, che non fannoaltro che rafforzare il consenso della “casta” che ci governa. Chiunqueabbia idee e coraggio raccolga la sfida!


Giovani e Politica: A chi appartiene il domani?


Come definirebbe a larghi tratti il mondo che ci circonda?


Morucci: Sull’orlo dell’abisso. Un punto ottimo per cercare nuove strade. Se l’abisso è il Nullada cui siamo sempre fuggiti inventandoci mille storie, ora quellestorie sono finite. Tanto vale buttarsi. Anche se abbiamo tutti pauracome il Sundance Kid meglio affrontarla una volta per tutte. Senzainventarci una qualche nuova ri-velazione. Il velo va tolto. Qualsiasi cosa ci sia dietro.

Adinolfi: La società europea vive un periodo di profonda trasformazione, processo che i Greci chiamavano crisis.Ne uscirà sicuramente in qualche modo, ma al momento c’è unaconvergenza di fattori che attestano una chiara predominanza dipatologie. Ne elenco alcuni tra i principali: eccesso di ricchezza e dinutrimento; cultura viziata, individualistica, consumatrice, infarcitadal reclamo indefesso di pretesi diritti che ci sarebbero dovuti;ipnosi permanente di quella che venne definita “società dellospettacolo” ma che si è intanto trasformata in “spettacolo della società”;disgregazione delle relazioni comunicazionali tra la gente;divaricazione accentuata tra fasce sociali; invecchiamento biologico;sterilità demografica; nevrosi ideologica che si rispecchia tanto neiriferimenti culturali quanto nel modo di vivere la religione, al tempostesso sempre più biblico e americano; disperazione intesa nel senso dimancanza di sogno e di speranza.
Non ha radici né assi portanti: è la schiuma di un’onda che attende il riflusso.
Esistono però fattori promettenti; la modifica chiara e netta dei rapporti di forza internazionali – dovuta al declino della Superpotenza americanache da sempre incarna la decadenza e l’incoltura – sta aprendoprospettive geopolitiche e culturali nuove. Queste prospettive possonorisultare foriere di rinascenze per l’afflusso di sangue barbaro e perla realizzazione di nuovi equilibri di potenza (in ambo i casi pensoall’est del Continente).
L’imbarbarimento culturale, poi, sta ancheproducendo sani anticorpi di diffidenza verso le ideologie, verso iprofessorini della morale e del politicamente corretto.
L’unione di queste componenti, se accompagnata da una rinata fierezza identitaria e imperiale (che è l’opposto d’imperialistica) può lasciar bene sperare.

Di chi e di cosa è figlio? Quali sono le sue radici e i suoi assi portanti?

Morucci:Dall’inizio o da un po’ più in là? Provo a dire in breve come la vedo.Viene dal fuoco di Prometeo, incautamente dato agli uomini, che nonsarebbero stati in grado di dominarlo. Dicevano gli Dèi. Poi però ilDio della Bibbia degli ebrei ha assegnato a quegli stessi uomini ildominio sulla Terra, pesci uccelli e tutto il creato. Tagliamo un po’ earriviamo al punto in cui il fuoco ha finalmente partorito. Vapore,pressione, movimento meccanico. È la Rivoluzione industriale.Ora c’erano gli strumenti per realizzare al meglio quel dominio. Mavengono da un capitale, cioè denaro investito per trarne profittoattraverso la creazione di merci. Se non c’è profitto non è capitale, esenza capitale non c’è produzione. È un meccanismo che, in quanto tale,non può avere un’etica. Devetravolgere ogni ostacolo, piegare ogni forza contraria. Umana o anchedivina. Quel vapore ha sprigionato una violenza inaudita. Non umana.

Dice il mio maestro Mario Tronti:«La grandezza del capitalismo è che su questi eventi terribili perl’uomo ha costruito il progresso della società umana. La miseria del capitalismo è che su questo progresso sociale ha impiantato la forma più perfetta di dominio totale sull’essere umano, il potere liberamente accettato».

Adinolfi: Di chi è figlia la società che attraversa questa crisis? Potremmo dire che lo è della piovra multinazionale,quella che i vincitori della Seconda Guerra Mondiale hanno messo allagestione economica, finanziaria, criminale e culturale del mondo“decolonizzato”, ma sarebbe insufficiente. Essa è nipote delle ideologie teologiche,oligarchiche e razzistiche fondate su concetti come “Terra Promessa” o“Popolo eletto” alimentate da titanismi uniformanti che sono eredidiretti del loro genitore guelfo. Ma soprattutto direi di cosa èorfana: è orfana del padre perché si è voluto uccidere questa figura, e non solo questa società è orfana ma è una transgender castrata perché da tempo immemore vive di un incantesimo svirilizzante. Ma gli incantesimi hanno sempre una fine.

Come si è avvicinato alla politica? Più per una fascinazione o dopo una meditata analisi?

Adinolfi: Sono stato attratto sin da piccolo dalla politica, intesa come avventura rivoluzionaria; seguivo da piccolissimo Castro, Lumumba, Ciombé, Benbella, L’Oas, De Gaulle, i mercenari in Africa, l’epopea tragica dei Watussi. Inoltre ero in sintonia con la generazione del rock e del beat, ero fanatico dei Beatles e affascinato dall’On the Road. Passai alla politica attiva a quattordici anni, per il Sessantotto.

Morucci:Non erano quelli anni in cui si faceva alcunché per analisi. Eravamotroppo compressi, troppo inesistenti, inconsiderati. E avevamo ormai ilrock e il rhythm and Bluesnel sangue. Ma comunque, francamente, mi deprimerei a pensare chequalcuno si butti nella mischia dopo ‘meditata analisi’. Il problemasarebbe perché ci si butta. Il fascino, dici. Sì anche il fascino.Dell’esserci, dell’esistere ma anche dell’uscire dal branco,del non accettare supinamente un destino già segnato. Dell’esserediverso, speciale, insomma. E non è ancora politica, viene prima. È carattere, è forse l’essere uomini:impossibilitati a restare fermi perché non hanno una nicchia ecologica:fare vedere cercare. C’è sempre qualcosa di meglio da scoprire. Quindisi è insofferenti verso chi vuole tenere fermi, chi dice che quello incui sei è il migliore dei mondi possibili. Poi vengono le paroledell’azione, la Politica. E la Politica è, da più o meno un paio disecoli, impedire che il destino annunciato dalla infinita, quantoferoce, potenza sprigionata da quel vapore si realizzasse a pieno.Dirottarla, mitigarla, umanizzarla, accelerarla o rallentarla. Suquesto ci si è sempre scontrati.

L’ideache si ha comunemente oggi della gioventù degli Anni di Piombo è quelladi una generazione che ha fallito, rovinatasi in una triste spirale diviolenza. Per Lei quella gioventù ha fallito? Se sì, perché?

Morucci: Se è per questo i benpensanti ritengono che sia stata una iattura anche il ‘68.
Pochihanno capito che è stata l’ultima possibilità offerta a questa societàdi ripensare se stessa. Confondono ciò che è stato poi, o ciò verso cuiè stato dirottato, con ciò che rappresentava. Non era un movimentopolitico. Come movimento politico è stato una tragedia. Unariproposizione modernizzata, nei migliori dei casi, delle anticagliedel movimento comunista: l’economia politica, i ‘bisogni delle masse’,il salario, l’avanguardia e tutti questi ferri vecchi. Gli operai dellaFIAT scuotevano la fabbrica in corteo brandendo cartelli con su scritto‘W la Fica’. Erano più avanti di noi, lì con il Capitalenon ci si arrivava. Ma prima, prima della Politica anche noi eravamolì. La vita, la gioia, la ricchezza di sé, non del frigorifero Zoppas. Antimaterialista, antieconomicista,antiautoritario. Per la libertà dal dominio degli oggetti, per lajeffersoniana ricerca delle felicità ora che era possibile il benesserenella ‘società opulenta’. Noi da lì venivamo, poi la Politica comeideologia ci ha persi. E chi di noi è arrivato alla lotta armata ha fallitoperché è andato fino al fondo di una strada che andava indietro anzichéavanti. Gli altri, quelli delle seconda ondata scaturita dal movimentodel ‘77, hanno seguito un’altra strada. Ma di questo, che è la parteche più dovrebbe interessarvi, andrebbe fatto un discorso a parte. Eraquella una ripresa del ‘68, Libertà non Potere, per dirla in dueparole, ma agita da un diverso soggetto. Direttamente coinvolto. Piùconcreto/creativo e molto più incazzato.

Adinolfi:Ci è stata consegnata un’immagine falsata di allora e lo si è fattoperché in troppi hanno voluto nascondere anche a se stessi le proprieresponsabilità. Tra giornalisti, scrittori, uomini di spettacolo,centinaia e centinaia di uomini e di donne illustri spinserochiaramente ed esplicitamente la gioventù a impugnare le armi; e poiquei miserabili apprendisti stregoni rigettarono la paternità di quelloche avevano messo al mondo.
La lotta armata non fu, come si vorrebbefar credere oggi, il frutto di una minoranza paranoica e delirante;tutta una propaganda letteraria, cinematografica e televisivaincentrata sul “tirannicidio”, sul dovere di rivolta e sul modellopartigiano dell’azione nell’ombra e del colpo alle spalle costruì l’humusper la lotta armata; la stessa lotta armata in favore della qualeattori e uomini di cultura pubblicarono addirittura un manifesto.Purtroppo allora i partigiani erano ancora attivi e nel fiore deglianni e il loro modello fu così ripreso con i risultati che tutti noiconosciamo. Che si poteva pretendere, del resto, da un’Italia il cuiPresidente della Repubblica, Sandro Pertini, decorava di medaglia d’oroquel Bentivegna autore della strage di via Rasella che causò le FosseArdeatine? Il terrorismo è stato istigato e “nobilitato” da decenni di partigianeria istituzionalizzata.
Cisi scorda poi sempre di dire che la lotta armata fu sì l’effetto di unaparanoia e di un’influenza culturale criminale ma anche quello di una disperazione.
Ladisperazione si spiega nel grande equivoco del ‘68. Si ritiene spesso,sbagliando, e lo si ritenne sbagliando anche allora, che il ‘68 sia stato l’inizio di un processo rivoluzionario quando in realtà segnò la fine di una solare, ridente, positiva, rivolta generazionale iniziata dieci anni prima nel filone del rock: una rivolta composita e piena di ogni genere di componenti. Quando cercò di politicizzarsi essa fallì. Lo ha spiegato bene Cohn Béndit,il leader del Sessantotto francese; vent’anni dopo affermò: «Sapevamoperfettamente contro cosa ci battevamo ma non sapevamo perché, ericorremmo ai modelli già pronti che ci sembravano alternativi, ma che erano inefficaci e perdenti».
Laforza organizzativa, quasi militare, delle opposizioni di sinistra finìcosì coll’irrigimentare la rivolta e con il lottizzarla; la spinse inchiesette in cui si esaurì e si abbrutì. La speranza divenne cinismoper alcuni (che oggi hanno fatto carriera soprattutto nei media) e disperazione per altri che passarono chi all’eroina chi alla lotta armata.
Manon fu quella generazione a fallire, essa fu, semmai, la testimoneattiva e tragica di un fallimento che affonda nella nostra storia adalmeno tre decenni prima della lotta armata.
In Italia, unico tra ipaesi sviluppati, abbiamo patito dal 1945 in poi una classe dirigenteche non ha mai amato il suo popolo e la sua terra e che ha sempre datoesempi pessimi e giocato allo sfascio. Quella classe dirigente, così come faceva Saturno con i suoi figli, fagocitò anche quella gioventù ma, benché vittoriosa, fallita e fallimentare fu proprio essa.
Dobbiamopoi tener conto di una cosa; si parla sempre del terrorismo e dellalotta armata perché la tragedia, il dramma e il sangue fannospettacolo. Ma quella generazione, sotto ogni bandiera, produsse anchetante cose diverse come il sostegno reale a fasce disadattate quali isenza tetto o la gente di borgata ed espresse laboratori politici eculturali anche importanti e interessanti, oltre a produrre una serieinfinita di scelte esistenziali notevoli e fuori dal gregge. Ma nello“spettacolo della politica” queste cose contano poco, il sangue fa piùcassetta.

Perun giovane che senso ha avvicinarsi alla politica oggi? Come e qualesarebbe un’azione politica in grado di cambiare realmente le cose?

Morucci:Qui mi state chiedendo un po’ troppo. E poi io sono fuori dall’azionediretta. Lavoro e penso sui retroscena, sull’origine delle cose. Presada qui posso dire che oggi potrebbe avere più sensodi allora. Perché oggi quei percorsi che si mangiavano la coda sonostati bruciati dalla nostra esperienza. Oggi sarebbe forse possibilepensare alla politica non come progetto palingenetico, ma come attività concretadi cittadinanza. Solo partendo dalla concretezza, dallo scambio direttoall’interno di una sovranità popolare determinata localmente, puòessere possibile fissare e rinsaldare un ordine di priorità in grado didare un altro senso alla nostra presenza sulla terra. Finora il senso èstato dato dall’Economia comerisposta al bisogno. Tutti gli scontri, tutte le apparenti palingenesiin contrasto tra loro, si sono mosse entro questi confini. Cioè suimodi e tempi di quella risposta. Oggi che l’Economia sta regredendo conferocia, tenendo a freno la capacità produttiva e la diffusione dellatecnologia per mantenere il profitto, siamo al punto in cui la si può superare.Anzi dobbiamo. Non ci è più utile. Se prima ci spingeva oggi ci frena.È il momento in cui è possibile darsi nuove priorità. Ma è ovviamenteun trauma. Dobbiamo uscire dal conosciuto, dalla sicurezzache dà un sistema di vita – di riferimenti identità valore di sé –comunque consolidato per affrontare l’ignoto. L’abisso di cui allaprima risposta.

Adinolfi:Il discorso sarebbe lungo e complesso. Per farla breve diciamo che oggiè improponibile (ma forse lo era anche quarant’anni fa) una soluzioneimmediata e diretta.
Si possono fare cose molto significative però,sia sul piano culturale che su quello artistico che su quellosimbolico; andando a formare nuove élites e al contempo a rivitalizzare il sociale.
Seai tempi della “contestazione” esistevano uno stato d’animocoinvolgente e un fascino d’avventura, oggi tra i giovani prevale laricerca d’identità, di appartenenza e di significanza.
Pertanto la soluzione più in linea con i tempi ritengo che debba unire il senso comunitario e la pratica del volontariato (vero, non retribuito...). Il tutto legato a una volontà di potenza e a un gusto di sfida; ambo gli ingredienti sono indispensabili per opporsi alla castrazione di cui parlavo prima.

Qualisono stati i testi che l’hanno formata ed ispirata politicamente? Equali e perché, invece, quelli che ritiene imprescindibili per unmilitante di oggi?

Adinolfi:Non amo mai proporre la “biblioteca del militante”; la lettura a mioavviso deve accompagnarsi alla vita e non precederla; ma neppureseguirla. Deve andare di pari passo e, pertanto, muta a seconda deipercorsi e delle esigenze del momento che in ciascuno di noi varianocontinuamente. L’unico libro universale – ma non è politico – per meresta Così parlò Zarathustra.

Morucci:Quelli del passato sono i ‘classici’ del romanzo. Più americani cheeuropei. Più vitali. Quelli imprescindibili oggi? Tanti. A caso: Jünger, Trattato del ribelle; Marcuse, L’uomo a una dimensione; F. Saba Sardi, Dominio: Potere, Religione, Guerra; come summa di divulgazione filosofica, per non passare dagli originali, U. Garimberti, Psiche e Techne. L’uomo nell’età della tecnica (Heidegger, Jaspers, etc); M. Tronti, Tramonto della politica; Ortega y Gasset, La ribellione delle masse; Z. Bauman, Il disagio della postmodernità.Ma ce ne sono troppi altri. Quello che ho scoperto però è che se si vaal senso delle cose, mettendo da parte gli ingannevoli aspettifenomenologici, si trovano più facilmente sintonie, e illuminazioni,tra libri apparentemente distanti. Comunque sia l’importante è metterecome ultimo libro Elogio dell’errore di Pino Aprile, tanto per riabbassare un po’ le penne.

Quali sono i luoghi comuni e gli steccati ideologici che vanno superati e come?

Adinolfi: Tutti. Ridendo.

Morucci: Uno dei luoghi comuni potrebbe essere che i fascisti sono reazionari e i comunisti progressisti. Nei fatti il Fascismo è stato progressista, cioè ha sviluppato industria e agricoltura, non certo meno che il Comunismo in URSS, per dire. Mentre i nostri comunisti sono stati perlopiù reazionari, politicamente e culturalmente.Politicamente hanno difeso una classe operaia, e il suo corrispondentesistema industriale, tipo la siderurgia, anche quando questo è statoostacolo allo sviluppo. Culturalmente erano più bigotti dei preti. Moralisti, bacchettoni. Sul divorzio sono stati tirati per i capelli dai radicali. Etc etc.

Esiste oggi un partito o movimento che rispecchia il suo ideale di azione politica?

Morucci: Temo proprio di no.

Adinolfi:Nella trasformazione che stiamo vivendo è cambiato il ruolo dellapolitica e stanno mutando i ruoli e le componenti dei partiti. Questiultimi sono orami divenuti dei luoghi di congiunzione tra masse eoligarchie, tra gruppi di potere e consumatori. Sono degli strumenti dimarketing e di sottopotere.Non ha alcun senso provare a riconoscersi in un partito politico e menche meno volercisi riconoscere; ma neppure ha senso rigettarli consdegno come “traditori”: sono un’espressione dello scenario attuale ecome tali vanno riconosciuti.
Chi voglia fare politica, o anche solo cultura o interventismo sociale, deve comprendere che i luoghi della politica sono ovunquee che i partiti si limitano a provare a rappresentarne e a lottizzarneuna parte. Ragion per cui, a meno di perseguire una carriera inquell’ambito, si deve superare lo schema partitico senza lasciarsi abbindolare però da tentazioni “antagonistiche” del tutto eteree e risibili o da extraparlamentarismi datati e patetici.
Un movimentismo aperto e costruttivo,partecipativo, aperto e trans-partitico è quello che l’epoca richiede,e mi pare che s’inizi a comprendere, di sicuro lo ha capito CasaPound.Questo modello decolla e trova sinergia se insieme ad altri soggettis’ispira e si orienta ad un Centro Studi serio e moderno, che producenon tesi intellettuali e ideologiche ma analisti e professionisti diprimo livello, parlo di quello che la politica oggi definisce –rigorosamente in inglese – think tank.
Si tratta di un sistema di forze, autonomo e autocentratoche può benissimo avere rapporti preferenziali con un partito come conpiù partiti, ma potrebbe anche essere del tutto estraneo a questogenere di realtà. Perché il partito oggi ha assunto un ruolo tattico;non solo non è più l’espressione di un’identità o di un’idea-forza manon ha più neppure un ruolo strategico.
Aggiungo che chiunque,perché deluso dalla mancanza di rappresentatività ad opera dei partitiprincipali, cerchi di tenere in vita una miniatura di partitoidentitario inseguendo proustianamente un modello tramontato da tempofa una caricatura di seduta spiritica.
La soluzione per chi non siriconosce nei partiti dominanti non è quella di auspicare la crescitadi un partito inattuale ma di fare altre cose; che abbiano un senso eun’anima.

A chi appartiene il domani?

Morucci:A chi non agisce pensando a ieri. A chi non cerca soluzioni entro ilquadro dato dal ‘900. A chi non ha paura di abbandonare unarassicurante sopravvivenza da suddito per affrontare una travagliataesistenza da cittadino.

Adinolfi: Lo sapremo solo vivendo. In ogni caso a chi recupererà gioia, ingenuità e volontà di potenza.
 

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