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POESIA SULLA MERDA

Post n°110 pubblicato il 18 Novembre 2013 da Larbo


Er viandante scanzonato camminava fischiettando
una palla rosso fuoco se stagliava su ner cielo e li grilli tutt'attorno se grattaveno la gola.
Sotto un albero de quercia n'dove l'erba e' piu' mansueta er viandante se sdraio' riposannose le ossa.
Tutto a un tratto mentre er sonno lo avvinghiava e la brezza lo cullava, senti' limpido e distinto un odore disgustoso, un olezzo tremebondo je sali' minaccioso dritto dritto fino ar naso.
Se guardo' tutt'attorno e vicino a n'arberello secco secco e malandato, dar ronzio de quarche mosca che faceva da spoletta vide dura e prepotente na cacata tondeggiante, coi tornanti circolari belli stretti e definiti, una merda d'elefante? na manciata asfissiante de rigurgito de culo.
Quella li', se ne stava bella ar sole cor suo sciame de moschini, de lombrichi apparecchiati co forchetta e cortellino...... se gustava la giornata sta merdaccia sderenata.
Er viandante poverello se sposto' dar suo giaciglio, disturbato dall'olezzo de quer mucchio tutto un pezzo, prese piano le sue cose decidenno de spostasse ma arrivanno a pochi metri dar quer fetido vicino, lui decise a naso chiuso de scambiacce du parole: "E sei brava cara mia a puzzà tutta na valle, na perfetta signorina, no sciroppo de latrina, m'hai svejato co le mosche che de te se so nutrite, ma te pare forse giusto de guastà sta meraviglia co st'intingolo de fogna.... co sto nero de budella?
La merdaccia un po' sorpresa co l'occhietti belli vispi prese fiato dentro ar marcio de quell'ugola marrone, se aggiusto' la sua criniera fino all'urtimo capello, e pe dasse meglio un tono je se mise dritta in piedi e guardannolo rispose: " Caro amico de passaggio, te disturbo e me dispiace ma lo sai a quanta gente esse merda nun dispiace? faccio schifo, puzzo e inquino, se non altro l'aria bona de sto giorno mattutino... ma so piagne.... so uno scarto de intestino, una merda sotto a un tacco, e de scenne da quer culo io de certo nun me stanco... perche' er fatto bello mio e' piu' semplice de un gioco... guarda bene tutt'attorno, quante merde che ce stanno senza manco assomijamme, ho vissuto mille ere in galassie de sfintere, ma la merda piu' gigante che s'affaccia ar tuo destino, nun e' tanto quella calla che tu vedi sotto a un pino, ne lo sforzo sopra un cesso che te fai a ogni mattino, ma po' esse.... pensa bene..... chi te siede piu' vicino

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C.P.T.

Lento scorre il tempo, in questo luogo contenuto da sbarre di ferro e viali di cemento. Bordi di grigio, racchiudono un quadro grigio. Timidi fili d’erba cercano di riprodurre una natura stretta in gusci di calce. Qualche tombino quà e la spezza la monotonia del piatto, creando fosse di piombo zigrinato ove si adagia la guazza di un’ennesima notte. Antenne come cipressi robotici si piegano al vento della sera e lampioni dagli steli affusolati, offrono i frutti di una luce fredda, racchiusa in boccioli di plastica e nettare di tungsteno. I cancelli che vedo di pesante imponenza claustrofobia, danzano ripetutamente, basculando negli stetti passi di un binario scollinato, pronti a ballare agli ingressi o alle uscite dei tanti girovaghi. Tetti e ombre, cartelli e tasti esausti di essere pigiati e una macchinetta automatica del caffé che sgorga ritmicamente miscele nere di noia per dissetare gole a volte incapaci di fare altro. Il libero andamento di questo micromondo si dissolve oltre il vetro che mi contiene; un uomo s’avvicina alle acustiche fessure dello scambio umano. Sua moglie lo attende qualche muro e sbarra più in la. Con una busta in mano, percorre i soliti passi nei soliti giorni, portando magari con se in quella busta vestita di bianco, piccole ampolle di aria lontana, da far respirare ingordamente alla sua amata. Siamo qui, come ieri, come domani a guadagnare un posto nell’olimpo dei vigilanti, dei trascrittori di nomi, dei bevitori di cappuccino, dei compositori di numeri, dei pigiatori di tasti, dei culi sprofondati nelle sedie, dei pensatori lontani che volano con la fantasia oltre le fessure equidistanti di un recinto; siamo qui a stretto contatto col nulla a condividere il niente e a sentire il senza. Si potrebbe dire basta a tutto questo, spogliarsi di un’assurda contestualità di sfere che rotolano sempre nello stesso verso e nel medesimo istante liberarsi di una cravatta nera che si slega dal suo calice di stoffa, e ritrovare finalmente il senso delle cose. Nessuna gabbia in fondo ha mai contenuto i pensieri di un sognatore.
 
 
 

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