Hiram

a giulia... a bruno a saverio a maria a nicola a caterina a giuseppe... Angeli e eroi del nostro tempo


“ Ti mando un’amica, una collega, ha bisogno di cure, ma il suo stato di salute e’ compromesso..trattala bene”.
La telefonata di Marco precede di poco il trillo del campanello, il lento salire le scale di una donna, un angelo dal volto cereo, la parrucca rossiccia, appoggiata in modo distratto sulla testa quasi calva, quasi fosse un cappello, che un soffio di vento ha spostato.E’ appesantita, gonfia dei veleni che hanno sparato nel suo corpo, ma tutto in lei denota uno sforzo spontaneo a mantenere una normalita’ nel suo essere, a conservare la sua femminilita’ calda e dolcissima. Sorride Giulia, mentre mi stringe la mano e conficca due occhi profondi nei miei, mi trafigge il cuore, ancor prima di pronunciare una parola, racconta con lo sguardo, cattura con lo sguardo, mi fa barcollare con lo sguardo.Mentre la faccio accomodare cerco di pensare alle parole da pronunciare per sapere quello che il mio lavoro richiede, per poter affrontare una terapia, cerco un modo che mi permetta di guardare dentro questo pozzo profondo, senza increspare la sua acqua e toglierne la limpidezza.“ Ho il cancro”, non e’ un urlo, un sussurro, una voce incrinata, quella che mi raggiunge, “ ho il cancro”, me lo dice come se mi parlasse dell’afa, che oggi soffoca la citta’ o dell’ultimo libro, che ha letto. Mi parla non spostando mai gli occhi dai miei, senza perdere la luce in quegli occhi, senza cancellare il sorriso dalle labbra.“ Ho il cancro, sto facendo la chemioterapia. E’ la terza volta, che mi colpisce. La prima al seno, quando avevo ventidue anni. Poi e’tornato all’altro seno, ma non ho potuto curarmi bene, ero incinta, ho dovuto attendere…forse troppo. Rieccolo ora e’ arrivato al cervello e suppongono che abbia colpito anche le ossa. Mi sto curando, per questo mi vedi con la parrucca, i dolori alla testa mi fanno impazzire, ma sono fiduciosa. Voglio vivere, ho un figlio di cinque anni, devo vivere.So che con tutto quello, che assumo, curarmi per te e’ rischioso, fai quello che puoi, almeno le cure piu’ urgenti, poi, quando saro’ guarita mi sistemerai a dovere”.Mi hai gelato Giulia, d’improvviso in questa stanza fa un freddo pazzesco, un vento gelido m’investe, stracciando il residuo di sorriso di circostanza, che ancora avevo dipinto sul viso.Fa freddo e buio, solo una luce, quella dei tuoi occhi sereni.Ti vedo e ti rivedo nelle settimane successive, ma, piu’ che appuntamenti medici, i nostri sono incontri tra amiche, che hanno in comune il fatto di essere madri. Ci sediamo in sala d’attesa e parliamo, ci diamo appuntamento per un caffe’ e per un pomeriggio al parco giochi con i pargoli…quando tutto sara’ finito.Io so e tu sai che questo non finira’, che andro’ da sola al parco, ma recitiamo da grandi attrici il nostro ruolo, lo facciamo per cercare di convincere l’altra, che tutto questo e’ solo un brutto sogno, che al risveglio ci riempiremo di un’alba stupenda.Quando te ne vai, ogni volta che chiudi la porta, mi assale un paura folle di perderti, ricaccio indietro le lacrime, che ora mi premono da dentro, ma spesso esondano, indiscrete, sfrenate, smodate, unica arma, che possiedo contro questo dolore.Chiudi quella porta, ma il pensiero di te non mi abbandona mai.Ti rivedo quando già l’autunno s’e’ portato via  i raggi del sole ed i ricordi lieti di un’estate passata tra le onde salmastre, ultima tua estate, ultima mia estate con te, la prima e l’ ultima.Hai il pallore di un lenzuolo candido, adagiata inerte nel tuo letto d’ospedale, il corpo trafitto da mille tubicini, come una martire dei dipinti famosi, ti leggo negli occhi che hai dato tutto, guerriera di luce, per tenerti stretta questa vita, ma ora hai deposto le armi.Calde scendono le lacrime dai miei occhi, cerco di asciugarle con le mani, ma il petto e’ scosso da un terremoto inarrestabile, piango sul tuo lenzuolo bianco, sul tuo pigiama bianco, sul tuo viso bianco, che mi sorride e per paradosso mi consola, come fa una madre, che culla il suo bimbo.Non ti ho piu’ rivisto, Giulia, non sono riuscita ad entrare nella camera ardente e neppure in chiesa al tuo funerale, me ne stavo fuori ristretta nel mio dolore, nascosta dagli occhiali neri, sorreggendomi a Marco, cercando nel cielo blu di quel pomeriggio d’autunno la tua luce, dolce cometa, che sei passata nel cielo della mia vita troppo in fretta.T’imploro spesso di darmi il tuo coraggio, una piccola parte del tuo coraggio e conservo il numero del tuo telefonino nella mia rubrica. A volte mi prende il bisogno impellente di comporlo, di mandarti un messaggio, poi desisto, ma e’ li’ numeri in seguito, che comporro’ prima di rivederti: “ Sto arrivando Giulia, andiamo a prenderci un caffe’ insieme”.tratto da una pagina di diario ......."Baraka"a giulia... a bruno a saverio a maria a nicola a caterina a giuseppe... e ai milioni di Angeli e eroi del nostro tempo.