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Una storia che merita di essere raccontata.Tra pochi...
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L'Amore per il Creato

Il commento che cofni13 (che si professa sacerdote e si firma Don Tiziano) ha scritto nel post n 798 di ilike06 potrebbe aprire un ampio dibattito.Un dibattito che, laddove ci fosse,  auspicherei potesse essere pacato.
Quando si parla di Dio, a mio sommesso parere, bisogna farlo tenendo conto di varie condizioni e stati d’animo.
Li elenco senza essermi proposto alcuna intenzione ordinale d’importanza:
avere fede;

essere scettici alla ricerca della fede;

essere scettici rassegnati all’idea di non trovarla;
essere atei.

All’elenco precedente, che non ambisce di essere completo ed esaustivo, aggiungerei la condizione che, sempre a mio sommesso parere, dovrebbe costituire il denominatore comune delle azioni deell’umanità: il sapere di non sapere.

Possedere la fede ritengo sia uno stato di grazia. Uno stato di grazia che tocca pochi, poiché molti sono quelli che ostentano, ma poco o nulla fanno che sia in coerenza con quello stato.

Sullo scetticismo di chi cerca e (ancora) non trova “quaesivi et non inveni” mi viene da dire che sia una condizione di onestà intellettuale (la invoca anche Don Tiziano). Taluni mi hanno detto che bisogna avere fede. Ebbene io ho fede di riuscire ad avere fede, ma non riesco a compiere un atto di intellettualità acritica che, più che sconfinare, si porrebbe appieno nell’ipocrisia.

La condizione di chi sia scettico e rassegnato la vedo pencolante: lo scettico rassegnato può sempre divenire o tornare ad essere, se lo sia stato, un attivo ricercatore.

L’ateismo non posso condividerlo. L’ateismo è non avere fede neppure nella speranza. Pensare che non ci sia una prima causa causante significa anche escludere i principi fisici e materialistici che, pure, nella catena degli eventi a ritroso, sempre più a ritroso, portano all’origine e alla causa prima.

Qui il mio discorso potrebbe concludersi, ma rimane l’ultima condizione che io ho posto:il sapere di non sapere.Non a caso nel mio precedente intervento ho citato il poverello di Assisi: frate Francesco che parlava agli altri nostri fratelli del Creato (mi si permetta il maiuscolo).
Le mie ripetute letture dei Vangeli e delle varie  Vite di Gesù (Franz Alt, Francois Mauriac, Giuseppe Ricciotti) non mi hanno consentito di sapere, e quindi decidere, con certezza che gli altri esseri del Creato non costituiscano il prossimo nostro. Ma forse, le mie letture, sebbene ripetute negli anni, possono essere state distratte.
Tuttavia noi, a mio sommesso parere, abbiamo il dovere di amare.
Amare tutto il Creato.
Senza se e senza ma.
Credenti o non credenti che possiamo essere, non dovremmo commettere il peccato, sia in senso laico, sia religioso, di non amare, coltivando la speranza di essere amati.
Iddio nella sua infinità sa e comprende l’anelito di amore che avvolge  e permea l’universo (parola di presuntuoso scettico che cerca e spera di trovare), che sia l'amore di una coppia; l’amore materno; l’amore paterno; l’amore filiale; l’amore fraterno; in una parola l’amore per il prossimo nostro dal quale non mi sento di escludere nessuno e alcuno.

La Chiesa è la Chiesa. Sarebbe follia “vomitare” veleno sulla Chiesa e sulle Chiese (che tutte, nessuna esclusa, anelano a Qui creat et non creatur, anelito che solo la follia dell'umanità non capisce).
Additare i falsi servi della Chiesa è altra cosa.
Pertanto si dovrebbe sempre fare un rigoroso distinguo, per non incorrere nel grave  rischio che, per salvare la Chiesa, si salvino i pessimi, sedicenti ministri che sono i primi a insozzarla.
Invero, quelli che perseguitano la Chiesa sono imbecilli a tutto tondo. E l’imbecillità si accompagna alla cattiveria.
La critica, tuttavia, non è, e non si deve confondere con la persecuzione.
La critica spesso nasce dalla delusione, dal dolore, dalla mortificazione, originati dalla violazione di principi, fino a un certo momento ritenuti incrollabili, compiuta da figure credute degne di fiducia oltre la certezza della stessa fede.

Le opere assistenziali le misconoscono solo gli imbecilli di cui sopra, e alla Caritas (che bene conosco e con la quale ho interagito) se ne devono aggiungere altre, altrettanto meritevoli.

Ricordo sempre un mio amico sacerdote, morto da diversi anni. Un amico col quale ho condiviso anni di assidua frequentazione anche giornaliera. Un dotto sacerdote che ha pubblicato testi sui Vangeli, pubblicati dalle Edizioni Paoline e dalle Edizioni San Paolo.
Ebbene, un giorno gli raccontai una mia tesi sugli angeli e sui diavoli.
Mi ascoltò senza mai intervenire e con la straordinaria attenzione di cui era capace. Quando comprese che avevo terminato mi disse che nulla poteva dirmi che confermasse o confutasse la mia tesi. Non mi suggerì di avere fede. Chissà, forse lui aveva capito molto più di quanto io pensassi in quel momento. A lui avrei voluto parlare dell’amore per gli animali e della speranza che  essi lo concepiscano e ci amino, nonostante la nostra cattiveria nei loro confronti.
Forse mi avrebbe dato risposte diverse da quelle che avrei voluto fossero, ma questo non mi è dato di confermarlo.
Lui non c'è più e io, in attesa di sapere, resto uno che sa di non sapere.

 
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