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STUDENTI MASCHI CHE SI PROSTITUISCONO: UN RAPPORTO GAY COSTA MENO DI UNO ETERO

Post n°6 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da alcor12
 
Tag: Gossip

Come tutti quelli che passano di qui, anch'io vedo il sito di libero.it almeno sei- sette volte al giorno. Oggi la notizia mi ha colpito: dopo le sexy studentesse, che si prostituivano per pagarsi gli studi, adesso è venuto a galla anche il fenomeno uguale e contrario, cioè anche gli studenti fanno la stessa cosa.

Nulla di strano, a dire la verità: siamo in un mondo in cui la parità anche se non c'è ancora del tutto ha fatto molti passi in avanti nel suo cammino e quindi è abbastanza normale che ragazzi e ragazze ragionino un po' nello stesso modo e vedano nel loro corpo uno strumento utile ad ottenere del profitto.

Non che io condivida questa scelta, ma se lo fa una ragazza ci sta che lo faccia anche un ragazzo.

la cosa che mi ha colpito di più di questo post, però, è un'altra: un rapporto gay con un gigolò costa meno di un rapporto etero. A prima vista è una cosa che non ha troppo senso. In teoria un ragazzo etero che si prostituisce dovrebbe avere meno difficoltà ad andare con una donna che con un uomo. Però, visto che il mercato ha sempre una sua logica, se i prezzi sono questi vuol dire che le cose non stanno così.

Allora mi sono detto che forse questo fatto è il risultato di due cose diverse.

La prima è che, probabilmente, la stragrande maggioranza dei clienti del mondo della prostituzione è formata da uomini. Ci sono quelli che vanno solo con le donne, quelli che vanno con i trans e quelli che, magari, hanno voglia di togliersi un capriccio con un ventenne. Quindi se ci sono tanti potenziali clienti è chiaro che è a quella 'fetta di mercato' che ci si deve rivolgere e per questo gli studenti (ammesso che la cosa sia vera naturalmente) abbassano i prezzi.

La seconda è che evidentemente per un uomo è impossibile fingere l'eccitazione ed è molto difficile crearsela se il partner non lo stimola. quindi uno dice: se vado con un uomo ho un rapporto passivo, sto lì e lascio che faccia tutto lui o comunque non devo per forza essere eccitato.

ma se vado con una donna, magari che non mi piace, e quel giorno la cosa non funziona... che faccio?

certo è che sono fenomeni che fanno pensare e personalmente faccio molta fatica a pensare che ci siano così tanti giovani che non riescono a mantenersi l'università in altro modo. è chiaro che prenderla in quel posto (e stavolta non in senso metaforico) per 10-15 minuti e guadagnare 50-100 euro è meno faticoso che fare il cameriere a 5-6 euro l'ora.

Però, cavolo... Io penso ancora che fare l'amore con una persona sia un momento bellissimo. magari il frutto di un'eccitazione, di una reazione chimica ma non di un contratto.

Bah

 
 
 

GABRIELE VISCO, FIGLIO DEL VICE MINISTRO DELL'ECONOMIA, ASSUNTO IN UNA SOCIETA' CONTROLLATA AL 100% DAL MINISTERO DELL'ECONOMIA.

Post n°5 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da alcor12
 

Da 'Italia oggi'

Alla fine ce l'ha fatta. Domenico Arcuri, il dinamico amministratore delegato di Sviluppo Italia (da qualche mese ribattezzata Agenzia), è riuscito a portare a lavorare con sé come dirigente il giovane e bravo Gabriele Visco. Per alcuni mesi nell'estate scorsa l'aveva chiamato come consulente (per 46 mila euro da luglio a settembre), poi il rapporto si era interrotto, rischiando di reinserire il manager in quell'esercito di bamboccioni mal sopportati dal ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un rischio per fortuna scongiurato: ci sarà un bamboccione in meno. Anche se non troppo lontano da casa: Gabriele è il figlio di Vincenzo Visco. Sviluppo Italia è controllata al 100% dal ministero dell'economia.

Formalmente non scatta il conflitto di interessi, perché se l'azionista unico di Sviluppo Italia è lo stesso ministero di cui papà Visco è viceministro, la delega sugli indirizzi di gestione spetta al ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che a sua volta ha affidato l'incarico al suo viceministro, Sergio D'Antoni. Sicuramente Gabriele Visco avrà le caratteristiche professionali necessarie all'incarico, e già dopo le prime polemiche sulla consulenza affidata Arcuri aveva spiegato di conoscere personalmente il giovane manager e di averne potuto apprezzare le qualità in passato quando si erano incontrati ognuno dei due lavorando per un'azienda privata. Ma certo non ci sono stati megafoni ad amplificare una notizia che qualche rilievo politico o per lo meno di costume, sembra avere. L'avrebbe in qualsiasi paese del mondo.

Per noi è stato difficile se non quasi impossibile verificarla nell'ultima settimana, anche se l'avevamo appresa casualmente da fonte assai qualificata. Stefano Sansonetti, il nostro giornalista che da settimane conduceva un'inchiesta sulle consulenze dello Stato e delle società controllate e sulla scarsa trasparenza che ancora le circonda, ha provato a percorrere la strada maestra, telefonando direttamente alla società. L'ufficio stampa ha sostenuto di non potere essere utile, non avendo possibilità di verificare questo tipo di informazioni. E si è dovuto aggirare in una selva di no comment, di mezze ammissioni, di affermazioni “non ufficiali”, perfino invitato a rivolgersi ai sindacati “che di solito queste cose le sanno”.

Non male per chi è tenuto dalla legge alla più assoluta trasparenza. Ma d'altra parte anche sulle consulenze Sviluppo Italia comunica un po' quel che vuole. Qualcosa ha messo sul proprio sito Internet - come dice la legge - la capogruppo, molte società controllate e quasi tutte le società regionali invece rimandano a un chiarimento interpretativo sulle norme stabilite dalla finanziaria del 2007 su cui evidentemente non è riuscito in più di un anno a fornire lumi il ministero dell'Economia.

Alla fine sono stati assai più utili e trasparenti in questi giorni i vari centralinisti di Sviluppo Italia, che non solo hanno provato inutilmente a passare Gabriele Visco al telefono (non c'era come la maggiore parte dei dirigenti del gruppo), ma alla bisogna hanno fornito l'interno e perfino la qualifica in azienda come riportata sul loro elenco telefonico aziendale.

Se si basa sulla predisposizione dei centralinisti la trasparenza tanto vantata dal governo e dalla pubblica amministrazione, temo che le polemiche sulla casta e le successive promesse di cambiamento abbiano prodotto risultati assai scarsi. Basta leggersi le tre pagine di inchiesta che oggi pubblichiamo su cosa avviene negli Stati Uniti nel cuore della campagna elettorale per le presidenziali che stanotte ha avuto il suo primo significativo test nello Iowa. Mentre qui bisogna arrangiarsi alla meglio per strappare qualche notizia, negli Usa ogni minimo particolare del presidente in carica, del suo staff, dei suoi familiari, dei candidati alla successione con relativo staff e famiglia e in pari modo di ogni membro del congresso è esposto al pubblico non volontariamente, ma in base a una legge federale.

Non solo: tutto è verificato da una apposita commissione indipendente (la Fec) che rende immediatamente pubblici i risultati dell'esame. George W. Bush è stato costretto a dichiarare di avere ricevuto dal cantante Bono in regalo un banale Ipod così come ogni movimento finanziario (acquisto o vendita di azioni) compiuto da lui e da membri della sua famiglia. La senatrice Hillary Clinton è tenuta a pubblicare i nomi di tutti gli esponenti del suo staff che, recandosi in un qualunque posto dell'America per tenere una conferenza hanno ricevuto gratuitamente un passaggio aereo.

Ogni tre mesi viene aggiornata anche questa lista, con l'indicazione di chi ha usufruito del piccolo benefit, del valore economico dello stesso, con tanto di nome del benefattore. Qualsiasi membro del congresso americano, oltre a tutti i movimenti finanziari che direttamente o indirettamente lo riguardano, è obbligato a rendere pubbliche tutte le linee di credito concesse. Perfino se si tratta di una carta di credito rateale. Prima, durante e dopo le elezioni...

 
 
 

MEGLIO LE DONNE GIOVANI O QUELLE MATURE ?

Post n°4 pubblicato il 31 Dicembre 2007 da alcor12
 
Tag: Gossip
Foto di alcor12

E' una domanda vecchia, a cui di solito si dà una risposta diversa in base all'età e, soprattutto, alle esperienze di cui si dispone. Per la teoria secondo la quale gli opposti si attraggono di solito i ragazzi, quelli giovani di età tra i 20-24 anni, subiscono molto il fascino delle donne mature.

A quell'età un ragazzo non sa nemmeno lontanamente di cosa ha bisogno una donna durante il rapporto sessuale. Lo immagina, ha visto qualcosa nei film ma da qui ad essere davvero in grado di soddisfare una donna ce ne corre. Allora un ragazzo è attratto da una donna che conosce il suo corpo, che lo sa usare e valorizzare e, attingendo alla sua esperienza, può far migliorare il giovanotto. Non dico che sia una 'nave scuola' ma sicuramente ciascun ragazzo sa bene che una donna di 30 anni (o anche di più) ne sa sicuramente di più di lui, e questo lo attrae.

Col passare degli anni, cambiano anche le prospettive. Quando un uomo inizia ad avere 35-40 anni, sa di essere in possesso di conoscenze ed esperienze tali d arenderlo molto superiore ad un qualsiasi sbarbato ventenne. Ma spesso, sempre per la teoria degli opposti, quello che lo attrae è il corpo giovane e fresco di una ventenne. Non mi fraitendete: ci sono donne di 30-40 anni con corpi splendidi e molto curati, ma tutti sappiamo che la freschezza fisica di una ragazza di 20-25 anni poi scompare per sempre per non tornare più (specie se la giovane in questione fa anche sport a un certo livello, non solo palestra).

In più, un uomo di 35-40 anni ha anche la (giustificata) presunzione di potersi imporre abbastanza su una ragazza giovane che non può non essere attratta da un mondo completamente diverso da quello in cui vive e in cui l'adulto si muove a suo agio.

Ognuno fa come vuole, le sole cose da non fare, per gli uomini, sono quelle di non fingere di dimenticarsi la propria età. Mi fanno ridere i ragazzi di 23-24 anni che per far colpo su una donna matura si vestono in giacca e cravatta quando di solito portano i jeans (per inciso: se una donna matura va con un giovane è perchè lo decide lei e non certo perchè viene colpita da un completo o da un abbinamento azzeccato di camicia e cravatta).

Ma mi fanno ancor più tenerezza gli uomini di 40 (e più) anni che cercano di atteggiarsi a giovani per compiacere le partner che hanno 10-15 anni meno di loro. Gente che va in discoteca o in feste di gente più giovane, uomini che si mettono in jeans o che sfoggiano improbabili auto cabrio per cercare di mostrarsi più simili alla giovane...

nb: nella foto dj Ringo e Francesca Piccinini ai tempi della loro storia. Quello che dicevamo: uomo esperto, ragazza giovane e fisicamente al top.

poi, però, è finita...

 
 
 

ECCO COSA DICE BRUNO CONTRADA....

Post n°3 pubblicato il 31 Dicembre 2007 da alcor12
 
Foto di alcor12

Giusto per completare quello che nel dialogo Travaglio- Ferarra si è potuto solo intuire, pubblico l'intervista a Bruno Contrada pubblicata oggi sul Giornale.

Purtroppo, come sempre accade in questa Italia spezzata a metà, ogni cosa diviene occasione di scontro frontale tra i due schieramenti, con relativi tifosi e ultrà schierati sulle tribune a sostenere la verità assoluta. (vedi Travaglio- Ferrara).

La cosa che più mi dà fastidio di tutta questa vicenda è che come al solito c'è chi ha la presunzione di avere la verità in tasca...

Solo per ricordare quello di cui si parla, bisognerebbe dire che Bruno Contrada è un ex funzionario dello stato che è stato CONDANNATO per CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA. Cioè secondo la condanna lui avrebbe passato delle informazioni ai mafiosi per sventare azioni di Polizia.

Contro di lui non prove ma dichiarazioni rese da PENTITI. Contrada è stato condannato nonostante moltissime testimonianze di poliziotti, prefetti, questori, che ne affermavano l'assoluta lealtà.

Vi prego di leggere l'intervista resa da questo detenuto: vedete se secondo voi a lui interessa di più uscire di galera o qualcos'altro.

DA IL GIORNALE.IT

Vederlo camminare così, biascicare parole, umiliarsi nel procedere a tentoni nelle corsie dell’ospedale Cardarelli, fa rabbia. Rabbia vera. Perché lo sbirro che ancor oggi vanta più benemerenze antimafia di qualsiasi altro poliziotto, almeno ora meriterebbe ben altro trattamento. Almeno da questo Stato che Bruno Contrada ha servito lealmente e che in assenza di prove, l’ha condannato basandosi sulle parole di quegli stessi pentiti che Contrada ha braccato, perseguito, arrestato. Ecco perché il faccia a faccia nella corsia del «reparto Palermo» tra l’ex 007 del Sisde e il suo battagliero avvocato, Giuseppe Lipera, si colora di toni forti e tinte fosche.
Allora dottor Contrada, perché questa mossa a sorpresa? Perché ha deciso di non ricoverarsi?
«Se in questa drammatica situazione non vi fosse da piangere, mi verrebbe anche da ridere. Tutto ciò che sta accadendo intorno a questa storia comincia ad avere risvolti surreali, patetici, incredibili. In parole povere: in questa nuova struttura sanitaria, con la scusa dei controlli medici, mi hanno sepolto vivo. Qui, non altrove, rischio di morire».
Prego?
«A differenza dell’ospedale militare di Santa Maria Capua Vetere dove sono stato trasferito alla luce del verdetto della Cassazione, qui la cella è ininterrottamente chiusa, come si dice in gergo, è serrata “H-24”. Mattina, sera, notte inclusa. Non ho diritto nemmeno a un’ora d’aria, non posso leggere i giornali, fare una passeggiata, giocare a carte. Prima, almeno, per buona parte della detenzione, la cella rimaneva aperta e avevo modo di socializzare con i detenuti, a cominciare da quella splendida persona che è il collega Ignazio D’Antone, altra vittima delle conclamate calunnie di delinquenti mafiosi convertitisi per interesse. Di fatto chi sta trattando la mia situazione sta equiparando la mia posizione a quella di un capomafia in regime di 41bis. Contrada come Riina o Provenzano. Carcere durissimo per chi, come me – stando ai medici – ha serissimi problemi di salute. Niente male come trattamento umanitario, no? Ma c’è dell’altro».

Dica, dottor Contrada, dica pure.
«Come tutti sanno, gli appartenenti alle forze di polizia, per ovvii motivi, non possono coabitare nel medesimo reparto con detenuti comuni, criminali incalliti, mafiosi. Per me si è fatta un’eccezione: io convivo con costoro. Ma soprattutto per il sottoscritto non si è tenuto conto del fatto che avendo avuto un enfisema polmonare e un’ischemia, essendomi state diagnosticate malattie gravi con problemi respiratori, la scelta di ficcarmi in una cella stretta e angusta non può essere definita delle più intelligenti. Qui i problemi si ingigantiscono, compresi quelli circolatori che mi hanno quasi paralizzato gli arti inferiori. Ma c’è una cosa (dice Contrada rivolgendosi all’avvocato Lipera, ndr) che mi lascia senza parole: nell’ultimo provvedimento il giudice, ragionando forse sul mio pedigree criminale, ha chiesto ai carabinieri di non mollarmi mai di vista e di piantonarmi giorno e notte, dimenticandosi però che il reparto era già presidiato dalla polizia penitenziaria!».
Cosa chiede, dottore?
«Voglio una sistemazione umana, nient’altro. Che tenga conto del mio grado di generale della polizia di Stato e del mio grave stato di salute. A Kappler fu concesso di restare all’ospedale militare del Celio, per me, 76enne acciaccato e semiparalizzato, esistono problemi più grandi. Quando anni fa finii in galera riaprirono a Palermo un carcere tutto per me (sì, ero il solo detenuto). E quando poi si trattò di decidere se mettermi fuori, su mandato del Tribunale, una commissione medica stilò una perizia allucinante nella quale si diceva che non solo non c’era incompatibilità tra le mie condizioni psicofisiche e il carcere ma che (testuale) qualora fossi stato rimesso in libertà “avrei subito uno choc di ordine psicologico notevole perché la mia psiche si era abituata alla carcerazione”. Quindi era sconsigliabile un mio ritorno a casa. Ecco, mi sembra di essere tornato a quegli anni...».
Ci scusi Contrada, ma rispetto alla grazia lei come si pone. La chiede o non la chiede?
«Non la chiedo e mai la chiederò al capo dello Stato. Se non erro è stato il presidente Giorgio Napolitano a parlare della possibilità di questa cosa, e lo ringrazio. Come ringrazio il ministro Mastella e tutti coloro, e sono tantissimi, che stanno finalmente prendendo a cuore il mio caso interessandosi ad un processo che come dice mia moglie, grida vendetta. Non voglio grazie ma un “grazie” per tutto quello che ho fatto per questo Stato. Rivoglio l’onore che mi è stato tolto».

Chiede una revisione del processo?
«Sì, la chiedo perché occorre fare definitivamente luce su una delle più vergognose vicende giudiziarie di questo secolo. Supplico il Signore di darmi la forza per seguirla da vicino questa revisione, di aiutare i miei splendidi avvocati a smascherare un’operazione chirurgica compiuta, nel tempo, da loschi personaggi con la fattiva collaborazione di delinquenti mafiosi che non sono mai stati perseguiti, e dico mai, quando hanno mentito spudoratamente. Vorrei tranquillizzare tutti, a cominciare da mia moglie e mia sorella (per finire ai miei detrattori implacabili) che non mi lascio andare, non mollo. La testa c’è e ci sarà sempre. È il fisico che mi sta lasciando».
Rassicura anche i familiari delle vittime di mafia che hanno criticato la richiesta di grazia?
«Rispetto le opinioni di tutti, anche di chi crede che Contrada sia stato colluso con Cosa Nostra. Dico solo che per parlare bisogna sapere, non basta dire c’è una sentenza, bisogna rispettarla. Non è così. Leggetele queste sentenze, studiateli bene gli atti del processo, guardate quante incessanti e reiterate bugie hanno detto i pentiti che a tavolino si sono vendicati di me, aggiustando le dichiarazioni ogni qualvolta queste venivano smentite dai riscontri. Il processo Contrada, e ve lo dirà chiunque l’ha seguito da vicino, è tutto così. Tutto. Purtroppo ci sono, e ci saranno sempre, sciacalli e iene».
Antonio Di Pietro sostiene che la sua è una scorciatoia per sfuggire a una condanna per associazione mafiosa.
«Non mi faccia commentare. Di Antonio ricordo un pranzo nella caserma dei carabinieri di Roma, presente il colonnello Vitagliano, quando scese per recapitare un’informazione di garanzia a Bettino Craxi. Era su di giri, con me fu molto affettuoso. Quel pranzo (con un uomo della mafia) forse oggi gli andrebbe di traverso».
Favorevole o contrario a una commissione d’inchiesta sui pentiti?
«Favorevolissimo. È assolutamente necessaria. Non per Contrada ma per ristabilire la verità su tantissimi fatti di mafia. Ma non verrà mai fatta, hanno il terrore di scoperchiare la pentola».
Da dove cominciare per riaprire il caso Contrada?

«La prima cosa da fare è la lettura contestuale dell’ordinanza d’arresto del Gip del 23 dicembre 1992 e la richiesta a firma di quattro pubblici ministeri fatta appena due giorni prima: sono una la fotocopia dell’altra. Secondo voi, in meno di due giorni, il Gip ha esercitato un vaglio serio e approfondito delle accuse?».
Che cosa la disturba di più, oggi?
«Che possa apparire come un uomo vecchio, decrepito e piagnone. Sono malato, è vero, ma non voglio elemosinare nulla né pietire commozione. Chiedo solo il rispetto dei miei diritti. Mi chiamo Bruno Contrada, non sono Totò Riina».

 
 
 

FERRARA - TRAVAGLIO, BOTTE SUL CASO CONTRADA

Post n°2 pubblicato il 31 Dicembre 2007 da alcor12
 

Proprio alla fine dell'anno c'è uno scambio di opinioni interessante tra Giuliano Ferrara e Marco Travaglio sul tema 'Contrada'.

Ve lo propongo in modo che poi ciascuno possa dare la sua opinione.

Giuliano Ferrara su Il Foglio

Bruno Contrada, vecchio e malato, chiede secondo legge alla magistratura di sorveglianza il differimento della pena per potersi curare o per morire dignitosamente. In termini morali il prigioniero chiede alla coscienza civile dell’Italia, che si batte per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo, di pronunciarsi su una pratica carceraria disumana quando si accanisce su senilità e malattia, una pratica talvolta equivalente all’irrogazione di una pena di morte graduale, lunga, particolarmente dolorosa.

A questa domanda rivolta da un uomo che teme di perdere, assieme alla vita, la possibilità di rivendicare il proprio onore e la propria innocenza, si può rispondere in modi diversi. Uno è certamente ripugnante: l’irrisione rivolta con sufficienza e protervia a un uomo in quelle condizioni.

Marco Travaglio ha scritto proprio in questo modo, sostenendo che chi si ammala prima del termine della pena muore in carcere, e tanto peggio per lui, chissenefrega. Ha scritto questo me-ne-frego, degno di un pubblico di lettori che sarebbe anch’esso immondo se non lo coprisse di lettere censorie, su un giornale, “l’Unità”, che è stato fondato da Antonio Gramsci.

Il fondatore di quel giornale, quando le condizioni carcerarie ebbero aggravato in modo irreversibile la sua malattia, venne scarcerato, per ordine di Benito Mussolini, il dittatore che un tempo aveva decretato di non lasciar funzionare più il suo cervello luminoso, in modo che adesso potesse appassire e morire in una clinica privata, da uomo libero. Sul suo giornale trovano ora spazio le immondizie di Travaglio.

Contrada non è Gramsci, e la sua vicenda divide l’opinione pubblica, ma il sadico sbeffeggiatore dei detenuti ammalati è quel che dimostra di essere. Il direttore liberal Antonio Padellaro, o quel delicato grafomane di Furio Colombo, o i nuovi proprietari della famiglia Angelucci, o i parlamentari del gruppo ex Ds che sostengono finanziariamente la testata, leggano quel che è stampato sul loro giornale e ne traggano l’unica conseguenza possibile.

Quel che scrive Travaglio rende il giornale di Gramsci una tribuna peggiore dei peggiori fogli del regime fascista e ne oltraggia l’onore. Leggano e decidano se debbano porre fine a questa vergogna o diventarne complici.


Marco Travaglio per “l’Unità”
Non che sia una novità. Ma, nonostante la dieta anti-aborto, Giuliano Ferrara tende ad allargarsi vieppiù. Non contento di dirigere il Foglio, di scrivere su Panorama, di imperversare ogni sera su La7 e di dare la linea al Ppl e al Pd, ora si propone per la direzione del “manifesto” e dell’“Unità”. E, in attesa di risposte, dà il benservito al sottoscritto, reo di non partecipare alla pantomima della grazia a Contrada. Secondo il Platinette Barbuto, Contrada subirebbe «una pratica carceraria disumana», addirittura «una pena di morte» che gl’impedirebbe di «rivendicare la propria innocenza».

Per la verità Contrada è stato giudicato colpevole dalla Cassazione. Ma Ferrara, occupando da solo una superficie lievemente più ampia della Cassazione, si sente superiore. E ha deciso che Contrada è innocente. E chi non è d’accordo è «ripugnante», «immondo», «protervo», visto che Contrada è «in quelle condizioni». In pratica, per il Molto Intelligente, un colpevole malato diventa innocente: per essere colpevoli bisogna scoppiare di salute. E siccome la sua intelligenza non si ferma qui, ecco Ferrara inerpicarsi in un ardito paragone tra Contrada e Gramsci.

Per la legge degli opposti, è naturale che il direttore di un quotidiano fondato da Pera e Boato coi soldi di Berlusconi e dei contribuenti subisca il fascino di un giornale fondato da Gramsci. Ma qui forse esagera, ricordando che «quando le condizioni carcerarie di Gramsci ebbero aggravato in modo irreversibile la sua malattia, venne scarcerato per ordine di Mussolini, in modo che potesse morire in una clinica privata, da uomo libero», mentre «sul suo giornale trovano ora spazio le immondizie di Travaglio, sadico sbeffeggiatore di detenuti malati» che «rende il giornale di Gramsci una tribuna peggiore dei peggiori fogli del regime fascista e ne oltraggia l’onore».

Segue accorato appello a Padellaro, Colombo, ex Ds e famiglia Angelucci tutta affinchè «decidano se porre fine a questa vergogna o diventarne complici». La pietà umana che si deve a un uomo, Ferrara, molto provato da ben sette giorni di astinenza da supplì mi impedisce di rispondere come vorrei. Mi limito a ricordare che Gramsci era detenuto per delitti politici, cioè per non-delitti, mentre Contrada è detenuto per mafia, cioè per collusioni con l’organizzazione che ha insanguinato la Sicilia e l’Italia con migliaia di morti innocenti.

Segnalo poi che non ho mai irriso a Contrada, bensì a certi suoi tragicomici fans, tipo Mastella e Ferrara, e alle loro scombicchierate argomentazioni pro grazia, scambiata ora per una terapia anti-diabete, ora per un elisir di lunga vita. Lo Stato di diritto è chiamato a garantire la certezza della pena, non l’immortalità dei condannati. Se questi, un brutto giorno, speriamo il più tardi possibile, muoiono, è un evento naturale: dispiace, ma non ci si può fare nulla.

Sventuratamente, muoiono anche gli incensurati. E non è colpa dello Stato, ma della natura. Se poi il Molto Intelligente si sente offeso da queste lapalissiane osservazioni, pensi agli ospiti di Guantanamo: diversamente da Contrada, rischiano di morire in gabbia senza uno straccio non dico di condanna, ma di processo; non sanno nemmeno di che sono accusati, eppure marciscono lì da 5-6 anni perché potrebbero essere dei terroristi. Ma naturalmente Ferrara e il Foglio hanno sempre difeso Guantanamo. Come hanno irriso ai torturati di Abu Ghraib e del G8 alla Diaz e a Bolzaneto (quanno ce vo’, ce vo’). Hanno inneggiato alla proposta di Panebianco di autorizzare una dose minima giornaliera di tortura per difendere l’Occidente dal terrorismo islamista (una modica quantità per uso personale). Hanno persino esaltato il sequestro di Abu Omar - deportato in Egitto e lì torturato per sette mesi ¬ che vede coimputati Farina-Betulla, difeso a spada tratta da Ferrara, e Pio Pompa, neo-editorialista del “Foglio”.

Appellarsi a Berlusconi, Pera e Boato perché «decidano se porre fine a questa vergogna o diventarne complici» sarebbe ¬ temiamo - superfluo. Non resta che affidarsi all’unica persona seria vista finora dalle parti di Contrada: e cioè Contrada medesimo, che rifiuta sia il ricovero in ospedale (il Cardarelli non è di suo gradimento), sia la grazia. Sarebbe davvero singolare se, dopo avergli concesso la grazia, lo Stato dovesse pure pregarlo di accettarla.

 
 
 
 
 

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