Giuseppe Catanzaro

Lu pòpulu d'u marruggiu


Il poeta Roberto G. Trapani della Petina con i suoi racconti riesce ad evocarela vera anima siciliana.Vicolo Gargano La forbice di un grido di ghiaccio taglio il pittoresco tran trandi vicolo Gargano. Era I'imbrunire, le botteghechiuse e buie celavano le murascrostate ed unte da milioni di sensazioni. Il sottofondo di un ritmo di piatti estoviglie sottolineava la solennità gastronomica del luogo in quel momento,come per funesto ed esoterico istante, un sinistro silenzio seguì l'urlo.Le posate, precedentemente in preda a frenetici singulti, lasciarono, orfani di suono e d'attenzione i colmi piatti fumanti. Poi il caos... All'unisono mille finestre si spalancarono sul vicolo partorendo sulle mura, vergognate per l'incuria, tonnellate di luce artificiale. Cristo!Che brutta figura per i telefoni che in un attimo, consapevoli della loro inutilitàe scarlatti di vergogna, si piegarono alla perdita del controllo dei bisogni dellecomunicazioni di casta nel gran vociare del vicolo Gargano. ripetevano mille bocche poste sudi un collo vibrante e pronto al decollo sulla pista di un busto sporto in avanti suldavanzale della finestra, alla faccia di qualsiasi staticità ed equilibrio. poi ancoraun urlo. Sintetico, straziante ma principalmente acuto ed altissimo:< 'U picciridduuu! >.L'ultimo "u" non era stato ancora pronunciato che il popolo del vicolo, rispondendocon un sincronismo da manuale all'ordine telepatico dell'istinto, si ritrasse dallefinestre, siprecipitò in strada correndo verso l'abitazione di Nino Tumminu, uncalpestio ritmico e pesante contraddistingueva quell'esercito di cavallette vivaci evariopinte i cui visi lasciavano trasparire eccitazione convulsa e curiosità perl'inaspettato fuori programma locale. Solo un secondo, poi le tre stanze e serviziodella famiglia Tumminu furono farcite da centinaia di persone che non sapevanoneanche che erano lì. L'architetto, se avesse visto, avrebbe gongolato di gioiaper I'abilità avuta a progettare ottanta metri quadri a dimensione e capienza di vicolo.Finalmente le urla furono decodificate ed il messaggio forte e chiaro recitava:"Il bimbo sta male, bisogna trasportarlo d' urgenza al l' ospedale " .La moltitudine avvampò di nuovo, fu un susseguirsi di rnovimenti caotici e disordinati,le pareti delle stanze parevano allargarsi alla spinta della folla. Ognuno voleva epretendeva una parte di protagonismo e responsabilità. ('U picciriddu!)) erano sologrida ossessive e monotone. <'Na macchina, prestu, prestu>. Quanto vociare equanta poca determinaziane. Ognuno parlava con I'altro, dava consigli, raccontavaaneddoti, confrontava malori passati con la sofferenza presente del bambino.Una sorte di torre di Babele. Ad un tratto il silenzio piombo nell'appartamento.La suocera di Nino Tumminu, un donnone sui centoventi chilogrammi di peso conle braccia prolungate da due sacchi pieni di spesa, coprì completamente la portad'ingresso. (Chi fu?) urlò una voce così alta e acuta che solo I'ovvia assenza fisica salvòPavarotti da un diabetico pallore d'invidia. Minacciosa guardava le facce mute e senzaprofilo dei vicini che le si stringevano intorno. Finché una voce si levò dalla folla epronunciò con tono solenne e grave <<'Upicciriddu>.Si udì un tonfo. La spesa rotolò per la casa e cento venti chili di furia abbatterono decinedi barriere umane. Il genero le si parò davanti fermandola e ie disse: picciriddu sta male, l'avemu 'a purtari a lu spitali lestu lestu>.Fu più ordine, la gente cominciò ad uscire velocemente dalla casa. Macchine, motori,biciclette, tutto ciò che poteva muoversi e trasportare fu confiscato a vicolo Gargano.Stipati all'inverosimile, la macchina dei genitori del malatino con la suocera chefungeva da navigatore, apriva la colonna.L'ospedale era lontano e la città si rese conto, attraverso quella corsa rumorosissima,disordinata e convulsa della solidarietà, dell'apprensione e del calore umano di quellabrava gente. Pronto Soccorso. L'invasione avvenne.Un povero infermiere fu attorniato da decine di persone che lo guardavano truci equasi con sospetto e timidamente balbetto:Che cosa possiamoFare per voi?>.Un tuono esplose nel sereno ciclo della sofferenza di quel Pronto Soccorso :< 'U picciriddu,'u picciriddu ! >.L'infermiere inebetito li guardava, qualcuno cominciò a spingerlo,un altro lo scosseper le spalle. Non mancava il solito sapientone che imprecava contro il governo.<'U picciriddu> ansimo il padre.Allora lui balbetto ancora:<>.A quest'ultima frase il gelo s'abbatté sulla folla.Un silenzio, tanto innaturale da far apparire i sepolcri rumorosi, serpeggio nelgruppo. Il padre guardò la madre, lamadre rivolse gli occhi verso i centoventichili in attonita attesa, i parenti girarono gli occhi sulla folla, la folla strabuzzògli occhi ed inarcò le labbra verso il basso in una smorfia di sbigottimento.Poi un urlo straziante e lacerante bucò le pareti del pronto soccorso,raggiungendoe sconvolgendo la calma attesa di altri reparti: E la madre, urlando e imprecando, riprese la strada per vicolo Gargano.