respirandoti

la vergogna


Il termine “vergogna” deriva dal latino “vereor”, che significa “rispetto, timore rispettoso”, mentre il corrispettivo inglese, “shame”, si ricollega alla radice germanica “kam”, che significa nascondere, coprire (il prefisso “s” aggiunge un significato riflessivo, per cui “nascondere” diventa “nascondersi”). La derivazione latina dunque mette l'accento sulla motivazione scatenante della vergogna (il senso di rispetto), mentre il termine inglese trae le sue origini da una delle caratteristiche conseguenti alla vergogna: il bisogno di nascondersi. In effetti dal punto di vista fenomenologico, l’emozione della vergogna viene descritta come un senso improvviso e sgradevole di nudità, di trasparenza: ci si sente scoperti, smascherati e da qui nasce il desiderio di diventare invisibili, di sparire dalla vista degli altri.La persona che si vergogna prova un profondo turbamento, si sente confusa, disorientata e preda soprattutto di un desiderio di fuga, perché sente che ciò che è costretta a mostrare di sé è inadeguato o sgradevole. La vergogna attribuisce agli altri un ruolo attivo, osservante, giudicante, che porta la persona a sentirsi vulnerabile, infantile, a disagio e ciò le impedisce qualsiasi possibilità di comunicazione. Non a caso il primo segnale di vergogna è il distogliere lo sguardo, ripiegare la postura, voltare il viso, che in genere arrossisce (ma ci si può vergognare anche senza arrossire). In questo modo si ammette implicitamente di non essere riusciti ad raggiungere determinati standard di prestazione, o anche norme e valori che si ritengono rilevanti per la valutazione di sé. Il giudizio altrui, in ogni caso, procura sofferenza solo se coincide con il proprio giudizio: se non si condividono i valori degli altri, non ci vergogna né di sé, né del proprio operato. Per questo la vergogna rappresenta sempre un’accettazione sincera, convinta, dei valori di cui gli altri sono portatori.