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TERREMOTO: LA PREVISIONE NON E' UN'OPINIONE

Post n°63 pubblicato il 18 Giugno 2009 da Terra_Nostra

Il terremoto in Abruzzo era stato previsto, le sue conseguenze no?

Prevedere e provvedere

Nei messaggi diffusi dai media italiani “istituzionali” (nel senso che sono finanziati dallo Stato, ovviamente con i nostri soldi), prevale il convincimento/congettura che i terremoti non sono “prevedibili”. A volte, ma solo a volte, la sintesi estrema di una notizia può essere necessaria per motivazioni come la tempestività e la chiarezza, purtroppo altre volte essa può essere frutto dell’ignoranza e della convenienza, per cui non è facile risalire alla vera causa della sintesi.

Sui media, quindi, prevale il messaggio che definisce i terremoti non prevedibili; ma cos’è una previsione? Cosa la distingue da una predizione o da una visione? Cosa sono le analisi previsionali? Perché si distingue tra scenario e previsione? Cos’è uno scenario progettuale?

Da un comune vocabolario online disponibile gratuitamente su internet e scelto casualmente tra i tanti disponibili (http://it.thefreedictionary.com/), il termine “prevedere” è considerato sinonimo di ipotizzare, presupporre, ritenere possibile per il futuro, indovinare, predire, pronosticare, conoscere in anticipo, contemplare, prendere in considerazione.

I riferimenti precedenti sono utili perché uno di essi ben si presta a semplificare il nostro ragionamento: “ritenere possibile per il futuro”. La possibilità è cosa diversa dalla plausibilità, nella letteratura che tratta gli scenari, il termine plausibile è di grande importanza, perché riduce il campo delle possibilità. Ci si riferisce al fatto che, in genere, il futuro deve essere plausibile con un certo presente e con le tendenze che provengono dal passato ed è innegabile che questo vincolo, escludendo eventi non plausibili, riduce l’insieme delle possibilità.

Ma il termine futuro è polisemico esistendo molti modi di definirlo. Nel caso il futuro si configuri come unico e certo/determinato, esso può essere identificato con una concatenazione di avvenimenti prestabilita (destino), oppure con un insieme di eventualità possibili (avvenire), o anche con un processo storico non ancora accaduto (divenire). Nel caso, invece, si configuri come multiplo e incerto/indeterminato, il futuro può essere studiato con le analisi previsionali, che, si ricorda, esprimono ipotesi in merito a più futuri possibili e, quindi, congetturano; oppure con gli scenari esplorativi, che possono contenere sia previsioni, sia predizioni, sia visioni, provenienti da fonti oggettive o soggettive. Il futuro può essere anche progettato, altrimenti non esisterebbero metodi per la costruzione di scenari progettuali, nel sociale costituiti dalle immagini dello scenario esplorativo (prodotte dalle tendenze del passato) compatibili, o che possono essere rese tali mediante interventi pubblici, con le immagini generate dallo scenario normativo (“desiderata” dei cittadini).

De Finetti affermava che la previsione è cosa diversa dalla predizione, perché diverso è il momento in cui interviene la valutazione soggettiva. Nella predizione il momento soggettivo è a monte, perché “dico prima” quali sono le variabili, le equazioni che le legano e i parametri sono stimati con i dati del passato, così come avviene in un comune modello econometrico. Nella previsione, affermava De Finetti, avviene esattamente il contrario perché il momento soggettivo è a valle, ossia alla confluenza di tutte le informazioni utili per la valutazione, sia provenienti da fonti oggettive che soggettive. La previsione in senso stretto, in cui tutti i metodi usati devono rispettare il principio di simmetria tra spiegazione e previsione, è certamente la più affidabile ed ha almeno due ambiti diversi: la previsione deterministica e quella probabilistica. La previsione «… deve essere in grado di specificare il luogo, il momento, e quanto grande sarà l'evento in modo da dare alla Protezione civile una certezza con la quale può prendere determinate azioni. Quando invece si sa alle previsioni probabilistiche bisogna tenere conto di due possibili errori: il primo la mancanza di previsione di un evento sismico, il secondo i falsi allarmi. Alcune volte la probabilità aumenta senza che in realtà nessun evento sismico avviene.». Secondo Jordan «avere dei modelli che producono un elevato numero di falsi allarmi sono per ora di scarsa utilità per prendere delle decisioni importanti. Scopo della Commissione è fornire uno sguardo oggettivo di quello che è lo stato attuale delle conoscenze nella previsione deterministica e nella previsione probabilistica». Jordan ha anche chiarito che «allo stato attuale in nessuna parte del mondo esistono metodi per prevedere deterministicamente i terremoti». (Articolo dal titolo Sismologi concordi: «il 6 aprile terremoto impressionante», citazione tratta dalle dichiarazioni di Tom Jordan, del Southern California Earthquake Center, 13/05/2009 15.23)

Non abbiamo problemi ad ammettere che in nessuna parte del mondo esistono metodi per prevedere deterministicamente i terremoti, ma abbiamo difficoltà a comprendere perché, in tali casi, non vengano utilizzate previsioni probabilistiche. Una previsione probabilistica, disponendo di dati oggettivi (o anche soggettivi) è sempre possibile formularla, anche se con l’obbligo di corredarla di una valutazione di probabilità che, nel caso dell’Aquila, era indiscutibilmente molto elevata.

La previsione tendenziale prende in considerazione il passato e, quindi, l’ambito della memoria e dell’esperienza (expertise). La verifica della previsione, inoltre, non è la falsificazione, perché il futuro non può essere vero o falso, specie quando, come nel caso del terremoto in Abruzzo la previsione probabilistica (non deterministica) indicava che: il luogo si discostava di poche decine di chilometri dal quello che è risultato il vero epicentro, il momento ha subito un sfasamento di poche ore e la dimensione prevista dell'evento era deducibile dallo stato geologico dell’area. Anche se “solo” probabilistici, i segnali provenienti dagli indicatori previsionali, andavano presi in considerazione seriamente, mentre si è preferito rifugiarsi nel dogma della “imprevedibilità dei terremoti”. Sfido chiunque a non ammettere che dopo tre e più mesi di segnali inquietanti, anche il cittadino più distratto si sarebbe preoccupato.

Nell’eventualità di un rischio previsto come quello dell’Aquila, chi ipotizza l’evacuazione delle persone da un paese all’altro (ad esempio da Sulmona all’Aquila), o farnetica o è in mala fede. Un’evacuazione di una città di decine di migliaia di residenti può al limite essere progettata in caso di certezza di un avvenimento catastrofico, ossia nel caso di previsione deterministica o di previsione con probabilità uguale a uno). Perché chi rigetta l’ipotesi che i terremoti siano prevedibili, cita un esempio funzionale alla previsione deterministica e non a quella probabilistica?

La magnitudo della scossa delle 3.32 è stata di 5.8 della scala Richter, ma «La cosa abbastanza chiara», afferma un dirigente di ricerca dell'Ingv, «è che dagli accertamenti fatti è che comunque nelle aree dell'Aquila sono state registrate delle accelerazioni fino a 0,5-0,6 G, molto elevate rispetto a quello che ci si potesse aspettare e questo è dovuto alla combinazione sia della sorgente sia dell'amplificazione dovuta alla particolare geologia del sito». La forte accelerazione, come ha spiegato il tecnico «ha causato un incremento dei danni rispetto a quello che ci si sarebbe potuto attendere. Occorre fare un'analisi accurata di quanto l'accelerazione è stata determinante nei danni e quanto invece è stato dovuto alle caratteristiche costruttive dell'edificio». I costruttori lo sapevano? È facile criminalizzarli, ma erano al corrente dello stato geologico del sottosuolo? Gli esperti “istituzionali” certamente si! Quindi sapevano del rischio che si correva anche con una scossa d’intensità non elevatissima. Bisogna anche aggiungere, però, che «La particolarità di questo terremoto», ha evidenziato Paolo Gasparini, professor di geofisica all'Università Federico II di Napoli, «è anche che l'Aquila è vicina alla faglia, quindi ci sono anche degli effetti di campo vicino che è molto difficile tenere in considerazione prima che l'evento accada e tutto ciò crea delle difficoltà».

Alla luce del fatto che tutti i politici e i loro esperti sono concordi nel definire i terremoti non prevedibili e non sta a noi smentirli, appare ovvio a chiunque che la scelta più logica è quella di “provvedere“ per limitarne i danni. Anche se si accetta la non prevedibilità “esatta o certa” dei terremoti, quindi, non si può negare che le loro conseguenze possono esserlo, perché è facile generare “visioni” consequenziali al loro verificarsi mediante simulazioni sviluppate da ipotesi sulla natura (sussultoria/ondulatoria), intensità, durata, profondità, stato del sottosuolo o condizioni geologiche dell’area, stato delle costruzioni, eccetera.

Dallo stesso vocabolario online, il termine “provvedere” è considerato sinonimo di pensare, badare, occuparsi, disporre quanto è necessario, fare ciò che serve, come esempio riporta che “i genitori devono provvedere ai figli” e noi aggiungiamo: “così come lo Stato deve provvedere alla sicurezza dei cittadini”. Tra gli altri chiarimenti e sinonimi, inoltre, troviamo: prendere i provvedimenti per raggiungere un obiettivo, preparare per tempo, dotare, fornire, fare in modo che ci sia.

 

Dominante e dominato. Chi deve provvedere? La provvidenza?

De Juvenel affermava che la recessione è dominante nei confronti degli imprenditori e l’inquinamento lo è nei confronti dei cittadini, ma gli stessi fenomeni possono essere dominati dai Governi. Il terremoto è certamente dominante, ma esiste la possibilità di dominarlo? E se esiste chi ha il Potere di farlo? Come può essere dominato, o come si può limitare il dominio di un terremoto? Riflettendo sui danni? Quali danni? A cose e persone? Allora i fabbricati (le cose) andavano controllati prima in modo ufficiale, così come avviene con la revisione delle auto, almeno per le strutture strategiche (ospedali, prefetture, eccetera).

Mettendo a disposizione dalle persone le strutture della protezione civile, ad esempio tende in cui rifugiarsi dopo la scossa di “avvertimento” o, in genere, in caso di palese pericolo, non attrezzature complete, solo TENDE in cui rifugiarsi e un nucleo di sorveglianza delle stesse (o delegare la responsabilità della sorveglianza ai Comuni). La scossa tellurica fatale è stata preceduta da altre due scosse di minore intensità e, forse, se la popolazione, “dominata” dal terremoto, avesse avuto a disposizione le tende nei siti a rischio (vedi Onna) non avrebbe fatto ritorno a casa dopo la prima scossa (molte dichiarazioni dei terremotati sono in tal senso). Era banale! Forse sarebbero mancate le tende per interventi tempestivi in altri luoghi? Ridicolo! Smontare e rimontare non sono certamente consoni con la tempestività, ma al limite bastava comprarne altre, o dobbiamo pensare che non rientrava nella “arguta” e vetusta pianificazione degli interventi della protezione civile, basati prevalentemente sull’intervento ex-post (in cui i media istituzionali ci collocano in posizione di eccellenza). Quale grande contributo avrebbe potuto offrire una strategia ex-ante, che avesse fatto trovare tende disponibili ai colpiti dal terremoto dopo la prima scossa? Quante vite avrebbe potuto salvare l’opportunità di una TENDA in cui rifugiarsi in caso di pericolo palese? Quante persone ne avrebbero usufruito? Io penso che se avessimo potuto salvare anche una sola vita in più, oggi ci saremmo sentiti meno in colpa. Che serva almeno da lezione per la prossima volta, perché così com’è certo che non si può fermare il “dominante” terremoto, è altrettanto certo che se ne può limitare i danni, non solo costruendo case migliori ma anche includendo la PARTECIPAZIONE degli ESPOSTI al RISCHIO nel processo decisionale del governo della protezione civile. In presenza di un rischio sismico, ci si è concentrati sulla necessità di stabilire la correttezza delle previsioni del terremoto, invece di provvedere all’eventualità di un suo manifestarsi. Per essere banali fino in fondo, tutti guardavano il dito (la previsione) che indicava la luna (il terremoto), se solo uno di essi avesse guardato nella direzione indicata dal dito, ai suoi occhi si sarebbe prospettato lo spettacolo catastrofico a cui abbiamo assistito e non lo avrebbe ignorato.

 

Come affermava de Juvenel, uno dei padri del metodo di previsione tecnologico, il re aveva l’obbligo dell’ascolto[1] e su ciò il popolo aveva il diritto di vigilare, oggi abbiamo un’entità astratta come la sovranità popolare alla quale si delega il Potere. È il Parlamento a decidere, luogo in cui si riuniscono e si scontrano le volontà di coloro che hanno vinto la competizione per la conquista del Potere. E’ possibile, ma soprattutto logico, aspettarsi una decisione costruttiva per l'utilità sociale dallo scontro di volontà in disaccordo? Rousseau avrebbe voluto poche leggi, frutto della volontà generale dell'intera comunità e non della maggioranza, MENTRE LE leggi ATTUALI sono anti-sociali, poiché si fondano su una “concezione falsa della società”, in base alla quale la legge costituirebbe espressione della volontà generale, della Nazione, MENTRE è SOLO espressione della volontà DELLA MAGGIORANZA parlamentare, CHE DATA L’ATTUALE AFFLUENZA ALLE URNE, NON RAPPRESENTA NEANCHE IL 30% DELLA POPOLAZIONE.

Scrive de Jouvenel: «La proclamazione della sovranità del popolo non ha avuto altro effetto se non quello di sostituire ad un re vivente una regina fittizia, la volontà generale, per sua natura sempre minorenne e sempre incapace di governare se stessa». E’ importante aggiungere che de Jouvenel raccomanda di non trascurare l’inquietante contrasto fra il formidabile accrescimento che si è verificato nei mezzi a disposizione del Potere e l’allentamento del controllo che sull’uso di essi viene fatto. Qualunque sistema, infatti, finisce con il fornire al Potere stesso l’opportunità di espandersi nella società molto più ampie di quanto non abbia mai potuto disporre. L'idea sottesa è che il Potere costituisce un pericolo sociale da tenere costantemente sotto controllo. Secondo de Jouvenel, le popolazioni sono state ingannate, dalla promessa di leggi di maggiore utilità sociale, che avrebbero dovuto garantire un futuro migliore. De Jouvenel fa notare che beni di elevato valore non sono mai deputati alla soddisfazione di bisogni primari e che le cose molto preziose sono desiderate da pochi e solo quando i bisogni primari sono stati soddisfatti. Laddove invece i bisogni primari degli uomini sono la preoccupazione predominante, come nel caso dei colpiti terremoto, si assisterà allo spettacolo del pactum subjectionis, ovvero alla consegna allo Stato dei propri diritti individuali, barattati con i diritti sociali. Ed è così che il potere dello Stato diventa un grande ombrello protettivo e gli uomini acconsentono al proliferare dei suoi rami, ignari del pericolo che incombe.

Bisogna avanzare su tutti i fronti della ricostruzione, anche per le proprietà del Vaticano e di seconde case, come richiesto da un noto opinionista di origini abruzzesi, ma ora è necessario dare la precedenza alle abitazioni e ai servizi per le famiglie, poi si penserà ai luoghi di culto religioso e alle seconde case.

saluti dal vostro SARPETONDE

 

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