La riva dei pensieri

Femminicidio: lemma approssimativo


Da alcuni anni è stato coniato il termine "femminicidio": disdegno questo nuovo idioma derivato per disappunto e reazione a uno dei fenomeni delittuosi più odiosi e ricorrenti. Creato da Diana Russel, sociologa americana, circa trent'anni fa è entrato nel lessico italiano da circa due lustri. Vuole distinguere, per genere, il millenario termine latino "homicidium" composto di homo e cidium, derivato da caedere, ossia uccidere. Concependo homo come matrice di humanitas i nostri progenitori linguistici non fecero la differenza: era omicida chi uccideva un uomo oppure una donna. Indistintamente. E per le generazioni precedenti la mia questo era il significato, come confermano i vocabolari, oggi poco consultati. Mi permetto di scriverne perché in questa fine estate i "femminicidi" sono aumentati. Delitti spesso raccapriccianti. Ad eseguirli," maschi" a loro dire innamorati. Rapporti inquinati, che alimentano l'abominazione. Spesso sono individui tanto egri di temperamento quanto spietati. La mortificazione del rifiuto o dell'abbandono sono per questi soggetti opprimenti e inaccettabili, tanto che alcuni dopo il delittto si tolgono la vita. Non sono privo di comprensione, ma, a volte, vorrei un capovolgimento degli atti: prima il suicidio. Appare evidente che questi delitti descritti come "femminicidi" non sono stati un deterrente. Purtroppo in alcuni ha evidenziato ancor più lo squilibrio mentale. Ancora una volta è stata violentata la lingua italiana cedendo a una coartazione del politicamente corretto. "Femminicidio" è parola impropria. Chi lo commette non uccide una femmina, uccide una Donna.Devo confessare che ho avuto difficoltà a scegliere la cornice musicale per questo intervento. Poi ho deciso per una composizione raffinatissima d'invenzione armonica e melodica, di originalità ritmica, da risultare indipendente rispetto alle condizioni storiche della sua nascita. Il compositore , abbondantemente, effonde perentorie complessità operative, che l'esecutore esegue tecnicamente vicino alla perfezione. Egli suona non celando le capacità virtuosistiche  ma soprattutto per esigenza di concezione notistica e di mezzi espressivi. In mi maggiore, questa splendida sonata possiede una visione pentagrammatica di ripetizione variata: una serpentina verticalmente preposta all’accordo e alla didascalia, e subito dopo d' identica riproduzione ma in scala discendente a progressione, con suoni argentini ben distinguibili.