Spremi-acume di film

Settembre, andiamo, è tempo di girare...


Era tanto prevedibile che avremmo potuto scommetterci, questo si dice dopo i festival. Non parlerò di Venezia, già gli agit prop a pagamento lo fanno benissimo.(Location veneziana: un cult che allora non ebbe grande successo di pubblico come lo è diventato nel tempo tramite anche i diritti televisivi.) Si dice comunque sempre che i gusti delle giurie non collimano col pubblico. Locarno: esercizi di stile, alienazione e incomunicabilità, film girati con macchina fissa, altri a mano, tutti però fermamente decisi a non concedere soddisfazioni allo spettatore. Chi praticava quelle teorie non aveva forse aiuti statali ma borghesi, e poi come disse Dino Risi per bocca di Gassman ne Il Sorpasso “perché oggi va di moda l’alienazione…ho visto un bel film di Antonioni al cinema, ho dormito due ore, bravo regista Antonioni!”. I film che ho proiettato nell’arena estiva di Vinci avevano il sapore invece di un anno spremuto bene: il mio compito è intervistare il pubblico, vera giuria. Il cinema si divide tra pellicole che raccontano il nulla in maniera astrusa, e pellicole popolari che una storia la raccontano, quindi sia mai ad accoglierle in concorso, al massimo sono buone per essere proiettate sulla piazza davanti a NOVEMILA persone! Che bestemmia! In mezzo, un fosso con i coccodrilli affamati: scelgano i registi se vogliono stare di qua o di là, se preferiscono farsi amare dai critici o dagli spettatori.Ma tornando a Locarno, appunto, PARQUE VìA, ha vinto. Dicono che parli di giornate vuote di un custode indio in una bella villa disabitata, uniche distrazioni l’anziana padrona di casa che ogni tanto arriva con l’autista (per i pagamenti e per controllare se i vetri sono puliti e l’erba del giardino tagliata) e Lupe, una prostituta convocata due volte alla settimana via telefono, che ogni volta si lamenta perché con tutta la casa a disposizione lui la intrattiene nella stanzetta della servitù. Dicono che si vede la sveglia che suona, le molte scale che portano in cucina, il caffè, la cottura delle tortillas, il telegiornale visto alla TV, il giornale con le ultime notizie di cronaca nera. Poche parole, sguardi nel vuoto tanti, lentezza esagerata, primi piani sul volto rugoso e le mani callose. Il regista è un allievo di un certo Carlo Reygadas di BATALLA EN EL CIELO negli annali di Cannas per quel pompino metafisico di cui vennero pubblicati anche lo storyboard: inquadratura dall’alto, poi dal basso, primo piano di una lacrima negli occhi di lei. L’allievo ha capito bene come si vincono i premi.Premio Miglior Regia al canadese Denis Coté con ELLE VEUT LE CHAOS film in bianco e nero di cui molti giornalisti dicono hanno dovuto leggere la trama sull’apposito catalogo per capire chi erano i buoni e chi erano i cattivi. Con gran gioia del regista, un energumeno, dicono chi l’ha visto in conferenza stampa, con le braccia e la schiena tatuata convinto che un film dallo svolgimento comprensibile sia un tremendo atto di violenza verso lo spettatore. Lo dice lui, che spettatore non è, però.Poi ci sono i film che qualche libertà se la prendono ma senza dimenticarsi che c’è qualcuno davanti allo schermo. Il coreano DAYTIME DRINKING dicono parli di una sbronza, lunga quasi una settimana, di un giovanotto che “fa cose e vede gente”, il classico film insomma che sulla carta sembra uguale a tanti altri, e nelle mani di un regista fornito di idee diventa un gioiellino anche se girato con pochi soldi.Niente però al film dello svizzero Lionel Baier UN AUTRE HOMME: la storia di un giovanotto arrivista che comincia copiando recensioni altrui, e poi impara a lodare i film da cineclub con paroloni suoi. Chissà perché non ha convinto la giuria, chissà perché! Era tanto prevedibile che avremmo potuto scommetterci.