Adenia

Orfanotrofi: cosa cambia


Senza famiglia. Sospesi nell’attesa di un futuro. Di un cambiamento incerto che trova concretezza soltanto nei cavilli burocratici e solleva interrogativi e paure. Incognite e scenari complessi e delicati, difficili da interpretare. Alle spalle le fredde camerate e il refettorio in comune, davanti agli occhi il sogno di una casa vera.Sono ancora tanti i bambini costretti a vivere negli istituti. Per loro il 31dicembre 2006 rappresenta una data storica: la legge 149 del 28 marzo 2001 decreta, infatti, la chiusura degli orfanotrofi e il trasferimento dei minori in case-famiglia o presso famiglie affidatarie. Una vera e propria rivoluzione che suscita perplessità. Argomento spinoso, certamente, il fenomeno dell’abbandono, che riaffiora dal sommerso alla ricerca di una soluzione possibile. Coinvolti, in questo contesto, diversi soggetti: le istituzioni, i genitori naturali, le comunità assistenziali, i genitori affidatari, ma soprattutto i bambini, al centro, ancora una volta, di una questione più grande di loro.Gli orfani di oggi sono i minori nati in famiglie povere e disagiate, costretti a vivere lontano da una mamma e un papà separati, con problemi di droga, alcool, carcere, abusi sessuali, la fotografia dell’abbandono è cambiata nel tempo, l’utenza è diventata un’altra, molti sono ora, ad esempio, i bambini immigrati o già figli di immigrati.La nuova norma, dunque, diventa propositiva, innesca interventi importanti, guardando sempre al bene del bambino. In certi casi fa affiorare un’esigenza di rinnovamento latente, avvertita ma non ancora concretizzata. D’altro canto, evidenzia criticità complesse. Ha certamente dei lati positivi, ma c’è ancora spazio per ulteriori miglioramenti. Gli ambienti che la legge richiede, tanto per fare un esempio, sono troppo stretti; è giusto che i bambini non stiano a lungo nella casa-famiglia, ma il rischio è che passino da un centro a un altro, con il pericolo di finire in strada. Insomma ci vorrebbe maggiore elasticità e comprensione, non si può generalizzare: bisogna valutare ogni singolo caso e intensificare il dialogo con educatori e servizi sociali.Se la soluzione all’abbandono è ridare al bambino una famiglia o inserirlo, come recita la legge, «in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia», resta un dato allarmante il numero crescente di piccoli ricoverati negli istituti. Si dovrà aumentare il personale: il nuovo regolamento prevede un educatore ogni due o tre minori, ma per far questo bisognerebbe che il Comune raddoppiasse la retta.Con notevole lungimiranza, sembra avere anticipato i tempi l’associazione «Villaggi Sos Italia», nata a Trento nel 1963, che rappresenta nel nostro Paese l’«Sos Kinderdorf International», la più grande organizzazione privata mondiale, di stampo laico, per l’accoglienza all’infanzia in difficoltà. Il villaggio, infatti, è una casa-famiglia a tutti gli effetti, improntato sul rispetto delle differenti religioni, origini culturali dei minori e loro personalità individuale. L’associazione è stata fondata nel 1949 da Hermann Gmeiner, studente di medicina austriaco, di famiglia numerosa, che aveva compreso il grave problema dei piccoli rimasti orfani dalla guerra. Il primo villaggio sorse a Innsbruck, poi seguirono gli altri.Dai disastri della guerra alle storture moderne, ai numerosi fenomeni disgreganti che coinvolgono i bambini. In oltre mezzo secolo la storia è galoppata, ma il modello del villaggio è rimasto sostanzialmente quello delle origini: un microcosmo protetto che relaziona con il mondo esterno. Al centro la duplice esigenza di garantire ai minori il diritto a una famiglia e dare la gioia di un figlio a mamme e papà che lo desiderano.