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Mondi online: Il giorno che il mio avatar divenne una pubblicità

Post n°13 pubblicato il 09 Giugno 2006 da Xoniam


C'era una volta l'uomo-sandwich, anello di congiunzione tra l'affissione pubblicitaria e lo sfruttamento del proletariato. Oggi, in tempi di giustizia sociale, l'uomo-sandwich si è estinto, quantomeno nel mondo reale, ma una sua forma alternativa sopravvive all'interno dei mondi di gioco online.

È Paul Hemp ad indagare sui meccanismi del cosiddetto avatar-marketing, nuova frontiera della pubblicità creativa, in un interessante articolo pubblicato sull'Harvard Business Review. E a raccontare che, nonostante quanto si possa immaginare, fare pubblicità sfruttando gli avatar di un MMOG, un videogioco massivo online, è una pratica che può contare già su alcuni piccoli esperimenti.

«Nel mondo virtuale di There – spiega Hemp – Levi Strauss ha promosso un nuovo modello di jeans vendendone una versione virtuale per avatar, prezzandoli (in moneta di There) più dei generici jeans virtuali già in vendita. Nike ha venduto invece scarpe virtuali che permettevano a chi le indossava di correre più velocemente degli altri avatar».

Il meccanismo, nemmeno a dirlo, è quello dell'uomo-sandwich del terzo millennio. Se nel mondo reale, infatti, vedere un paio di Nike è la normalità, negli universi virtuali un simile contenuto rientra ancora nei confini del non convenzionale. E l'avatar diventa così, suo malgrado, portatore sano di pubblicità. Può indossare dei Levi's o delle Nike, come accaduto in There. Oppure mangiare un hamburger di McDonald's o bere una Coca-Cola, come in The Sims Online.

Ma perché le aziende dovrebbero interessarsi alle comunità di gioco online? In primis, per l'alto coefficiente di penetrazione dei messaggi promozionali. «Molti dei 100.000 o più abitanti di Second Life – spiega Hemp (sottovalutando il gioco di Linden Lab, già oltre i 240.000 utenti) – sono fortemente coinvolti in quel luogo. E questo lo rende un potenziale paradiso per il marketing. Invece di rivolgersi a occhi passivi, gli operatori hanno qui l'opportunità di interagire con menti partecipi».

Un target ridotto ma interessato al prodotto. Una sorta di consumatore modello in condizioni modello. Questo non esclude, in ogni caso, la necessità di rispettare le regole base del marketing, declinate naturalmente in chiave MMOG. Primo, rispettare la filosofia del mondo virtuale: un luogo online nel quale si ricerca la fuga dalla realtà, ad esempio, non può diventare un succedaneo della realtà. Secondo, puntare su contenuti pertinenti all'universo di gioco stesso, per non alienarsi le simpatie dei giocatori. Come dire, nessun distributore di Pepsi nei castelli medioevali di Everquest.

Le applicazioni, a quel punto, diventano virtualmente infinite. Dall'abbigliamento dedicato agli oggetti da usare/consumare/mostrare: cibo, bevande, automobili, animali domestici o quant'altro. «Un negozio iPod – scrive Hemp in riferimento a Second Life – vende player virtuali sui quali sono caricati brani ascoltabili quando il proprio avatar indossa uno di questi dispositivi [...] Un negozio chiamato Pear vende un laptop in grado di inviare email nel mondo reale e caratterizzato da un logo a forma di frutto che ricorda quello di Apple».

Ma non manca anche pubblicità più o meno subliminale. «Gli avatar – ancora Hemp - possono infine gestire negozi virtuali nei quali vendono prodotti nel mondo reale, oppure diventare quello che il blogger esperto di cultura del web Tony Walsh definisce "advertars", utenti pagati per pubblicizzare, dichiaratamente o meno, quegli stessi prodotti». Perché noi comunichiamo, in ogni momento. Per come appaiamo, per ciò che consumiamo, per quello che facciamo. La prospettiva? Milioni di avatar pronti a diventare, consciamente o meno, burattini pubblicitari in mano alle multinazionali. Ma niente paura, è già così anche nella realtà. Presto ci si fa l'abitudine.

(tratto da La Stampa)

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