Aessenza Ondivaga

Somebody


 Diretta... Fugacissima... Come una scoperta avvolta nella meraviglia, mi trovava sveglia questa notte quel solito rumore d' aggrumarsi di stelle. Dirottabile, ho stretto la mia bussola di carta nel palmo destro chiuso tutto il tempo. Per pensieri d'origami dentro cui giocare, solo per soffiare. E allora par che basti ancora trovare la piega giusta per cominciare, facendo poco e piano. Che i fiori di carta, pur sempre han petali e corolle e profumano di respiri e fili di rugiada stesi ad asciugare.Prima che sia lucida la cognizione che parte da periferiche ossa, sono rimasta ad ascoltare il vento e poi il mio cuore gloglottare. Mi piace sempre trovare l'esatto punto di congiunzione tra il vulnerabile che ho e l'ordinarietà composta dei miei gesti. Quando mi vacilla una lacrima ma nessuno se ne accorge. E allora mi basta solo piegare il capo di lato e restare un attimo ferma così, e guardare un istante qualunque in cui la vita (di)scorre sui vetri, per ritrovarmi sulla mia linea asciutta.Alle volte mi si lappa il cuore se sto tra la gente. E' un attimo puntuale da qualche giorno a questa parte, quasi costante. E' allora che tento una resa ed imploro una distrazione. Quando cerco (in)consistenze negli occhi di chi incrocio e scruto veloce camminando. Pare ci trovi una disperdibile via di fuga, una mobile porta anti-panico tra la gente. Poi mi si allunga più lento il respiro. Se mi soffermo negli occhi di chi non so affatto, immaginando pensieri, il daffare, i monologhi in solitaria ed i dialoghi appaiati. Come se fattolo potessi carpire uno stralcio di microcosmo altrui e forse confrontarlo al mio, trovando, per farlo, finestre aperte al piano terra, a una spanna da me, in mezzo a una sequenzialità di vita tutte diverse, così lontane seppur vicine, prontamente disperdibili. Ricordo un gioco cha facevo con mia madre da piccola, quando rincasavamo in tutta fretta che era già quasi ora di pranzo. Quelle volte io puntavo il mio vivace sguardo attento dentro alle case della gente, laddove fosse intrufolabile la mia curiosità dai battenti e i vetri lasciati aperti o semichiusi. In quell'attimo immaginavo e scrutavo briciole di vita altrui e lo trovavo ora interessante, ora più buffo. Poi ad un tratto io e lei cominciavamo a ridere cristalline, allestendo dialoghi inverosimili ed esilaranti tra quelle diverse persone appena intraviste. Ciarle scherzose ed improbabili le nostre il più delle volte. Poi era il turno del tirare a indovinare le pietanze che le brave massaie stavano impiattando nelle loro cucine. A quel punto quasi piagnucolavo, le dicevo che avevo fame, chiedevo cosa avremmo mangiato, poi quasi correvamo verso casa ridendo...Come quando mio padre ci portava al mare lungo la litoranea. (Sorrido ora all'idea del nome di queste vie che fiancheggiano le nostre coste, lungo il mare. E le immagino per qualche verso tutte tristi e coi musi lunghi, quei tanti nastri d'asfalto e di cemento che vorrebbero acqua e la vedon soltanto, senza mai lambirla. Chissà che darebbero per volersi piccole viuzze battute dai sandali e per tanta sabbia attorno, dritte e poi pendenti per il loro incontro sulla spiaggia, verso il mare. Proprio come quelle che vedon lì vicino per tutto il loro co-esistere...) Noi piccoli nei sedili posteriori contavamo le case mancanti a che si arrivasse al mare e poi, erano urletti eccittatissimi quando dirompeva il blu. I finestrini abbassati stemperavano la calura dell'abitacolo, mentre canticchiavamo o parlavamo allegri. Eravamo felici...Mamma aveva la sua pelle di porcellana, era giugno  ed io le baciavo una spalla, glielo dicevo all'orecchio...Io ricordo quelle canzoni ancora...Ora me ne basta solo una e guardandola dentro, nei suoi occhi, dirmi di averla carpita a meraviglia...   
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