Casato Aleramico

Post N° 12


Non sono del tutto chiare né le origini né la genealogia della casata sia per la scarsità o la poca attendibilità delle fonti sia per le contraddizioni provocate da documenti falsi forgiati nel Settecento a sostegno di precise pretese araldiche e largamente utilizzati dagli storici ottocenteschi[1]. Nei secoli scorsi molti storici cercarono di rintracciare i progenitori di Aleramo, il fondatore della dinastia, che secondo fonti medievali fantasiose sarebbe disceso da Teodorico di Frisia o dai Signori del Kent. Altri storici, specie nel XVI-XVII secolo cercarono inutilmente di trovare conferme documentali alla leggenda sull'amore, che avrebbe legato Aleramo ad Adelasia, mitica figlia dell'imperatore tedesco Ottone I del Sacro Romano Impero. [2] La dotazione del monastero di Grazzano, un documento del 961, riferisce che Aleramo era figlio di un conte Guglielmo, di legge salica. Sembra plausibile identificare Guglielmo con un personaggio, probabilmente di stirpe franca, entrato in Italia con trecento soldati al seguito di Guido da Spoleto nell'888 e attivo nel 924 alla corte di Rodolfo di Borgogna re d'Italia. Le origini di Aleramo sarebbero quindi da cercare ( e varie ipotesi sono state fatte) nei territori dell'antico regno di Lotario. Le origini familiari di Adelasia, prima moglie di Aleramo e progenitrice degli aleramici, restano sconosciute. Certo è che Aleramo sposò poi Gerberga, figlia di Berengario II re d'Italia e che questo matrimonio gli consentì di acquisire il titolo marchionale fra il 958 e il 961. L'origine imperiale di Adelasia sembra essere una leggenda creata solo per dare maggior lustro alla sua progenie.Aleramo può essere considerato il vero ed effettivo fondatore delle dinastie aleramiche. Egli godeva di grande prestigio sia presso i re d'Italia Ugo di Provenza, Lotario II e Berengario II, sia alla corte dell'imperatore Ottone I, come dimostrato da diverse donazioni di terre, che si aggiunsero ai beni che già possedeva nel Vercellese e in Lombardia, e dal titolo di marchese assegnatogli da Berengario II. Nel 967 Ottone di Sassonia gli donò un vasto territorio fra l'Orba e il Tanaro, che a sud raggiungeva le vicinanze di Savona. Questo territorio, boscoso e incolto, era stato devastato nel corso del secolo precedente da incursioni brigantesche, provenienti, o comunque favorite dai cosiddetti "saraceni" di Frassineto. Questo territorio fu chiamato "Vasto" o "Guasto" e molti successori di Aleramo si chiamarono appunto "marchesi del Vasto". Per alcuni secoli, secondo Riccardo Musso, il toponimo restò in uso per il territorio montuoso compreso fra Dego, Montenotte, Carcare e Cairo. In altri luoghi prevalse invece il toponimo equivalente "Langhe" (vulgariter enim loca deserta Langae dicuntur secondo il Lunig). Non era un territorio omogeneo, si trattava piuttosto di varie corti sparse sulle boscose ed incolte colline del Piemonte meridionale.La marca, di cui Aleramo era marchese, si estendeva approssimativamente dal basso Vercellese al Savonese, l'area costiera fra Finale e Cogoleto. Entro quest'area si trovavano però nuclei urbani, come Savona o Acqui, guidati dal loro vescovo e dotati di grande autonomia, riconosciuta dagli stessi imperatori. Al momento dell'investitura di Aleramo il resto del Piemonte e della Liguria Occidentale risultava diviso in due grandi marche: a nord quella di Ivrea e a sud, fra Torino e Ventimiglia, quella del marchese di Torino Arduino Glabrione.I domini di Aleramo rimasero proprietà parzialmente indivisa fra i discendenti dei suoi due figli Ottone e Anselmo per quasi un secolo, come dimostrano gli accordi che Savona continuò a rinnovare con tutti i rami della famiglia sino al 1085. La separazione patrimoniale fra i due rami aleramici, già avviata nei primi decenni del secolo XI, si concluse in concomitanza con l'estinzione della discendenza maschile dei marchesi di Torino. Dato che due figlie di Olderico Manfredi II, Berta e Adelaide, avevano sposato rispettivamente Tete (il padre di Bonifacio del Vasto) e Enrico di Monferrato, dopo la morte di Adelaide il territorio dei marchesi aleramici poté estendersi lungo il Po a tutto il basso Piemonte, scontrandosi però con le ambizioni dei Savoia (Umberto conte di Moriana) e il desiderio di autonomia del vescovo di Torino Mainardo. Agli inizi del secolo XII, quindi, i marchesi di Monferrato si trovarono ad avere il controllo della fascia di territorio settentrionale, adiacente al Po (il basso Monferrato) fra Chivasso e Casale, mentre Bonifacio del Vasto aveva aggiunto ai domini di origine aleramica nelle Langhe e nel Savonese ampi territori fra Alba, Saluzzo e Albenga. La definizione degli ambiti di potere di Bonifacio e Umberto di Moriana si stabilì lungo un confine situato fra Staffarda e Carmagnola, lungo la linea del Po.L'ampio dominio di Bonifacio, "il più famoso marchese d'Italia", secondo il cronista Goffredo Malaterra, fu suddiviso fra i suoi sette figli dando origine a un gran numero di linee dinastiche: i marchesi di Saluzzo, quelli di Busca e Lancia, quelli di Ceva e Clavesana, quelli di Savona e quelli di Incisa.