Wonderwall

♪ ♫ • * ¨ * •♪ ♫ •


                                                      Le parolacce.Le parolacce dilagano. Ai bambini non le vietiamo più, e i politici ne fanno ampio uso. Il turpiloquio segnala una visione rozza della lingua, blocca i ragionamenti e qualifica chi lo utilizza più di chi ne è bersaglio.Ma esiste un modo per usarlo bene.Il turpiloquio dà – neppure un bambino lo ignora – un senso di potere; ti protegge, funzionando a un tempo, specie fra gli agguati del traffico cittadino, da formula di scongiuro, da esclamazione punitiva e da espressione di sdegno. Chissà quanti le parolacce le urlano tra sé e sé, dovunque risulti loro più congeniale, insaponandosi sotto la doccia o facendo jogging nel parco, o magari al buio, prima di addormentarsi. Qualcuno prega Dio, qualcuno insulta un altrettanto insondabile prossimo. Un v. e sogni d’oro.La parolaccia, che è fatta per offendere, pretende un pubblico e, va da sé, qualcuno o qualcosa da colpire. Sta al posto di una sberla o di un calcio, o di uno sputo. Aristotele, a ragione, notava che tra l’aischrologhia  e l’azione riprovevole il passo è breve.
Lo si è visto anche troppo dimostrativamente in questi giorni alla televisione. Sia Aristotele sia Platone, dunque, vietavano senz’altro la pratica dell’aischrologhia nel loro stato ideale.Le parolacce oggi dilagano. Non le si proibisce più neppure ai bambini. Il fenomeno è osservato dai linguisti e dai commentatori sociali. Dilagano perché dilaga la comunicazione spicciola. Non vengono senza le loro compagne ideali: le frasi fatte. Basta scorrere qualche scambio di battute su una pagina di Facebook e avremo una campionatura abbastanza rappresentativa della condizione verso cui tende la lingua pubblica. L’uso scriteriato di espressioni volgari indica un problema di ordine sociale.