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MYANMAR: GAMBARI vs SHWE


La diplomazia internazionale sta muovendo i primi importanti passi sul tormentato territorio del Myanmar. Ibrahim Gambari, l'inviato speciale delle Nazioni Unite arrivato sul posto sabato, ha già avuto la possibilità di un colloquio (di ben un'ora!) con Aung San Suu Kyi, la leader del partito democratico segregata ai domiciliari da 18 anni e ha potuto constatare il suo stato di salute. Qualche giorno fa infatti, il regime l'aveva fatta portare via dalla sua abitazione per nasconderla in qualche altro posto rimasto segreto e in molti avevano sinceramente temuto per la sua vita. È importante ricordare che la Premio Nobel è al momento la più amata dal popolo e la più odiata dal Generale. Infatti, probabilmente è grazie a lei se domani Ibrahim Gambari incontrerà anche il terribile Than Shwe, capo della giunta militare, il generale dittatore. All'arrivo dell'inviato Onu, Thwe non aveva dato ad intendere di voler concedere colloqui, ma la situazione si è ribaltata dopo la chiacchierata pacifista di ieri. • EX BIRMANIA IN SCIOPERO Il Sindacato Birmano ha lanciato una mobilitazione nazionale, con lo scopo di paralizzare l'intero Paese. Intanto, i manifestanti per la democrazia non accennano a diminuire la loro battaglia. Nonostante i 1.500 arresti (si parla di 90 civili, 1000 Monaci e 400 studenti attivisti), le marce non si fermano. Al momento, soltanto a Rangoon, sarebbero radunate 3.500 persone. Nonostante il veto di assemblea pubblica con più di 5 persone, nonostante le bastonate, nonostante gli spari ad altezza uomo. • GRUPPI ARMATI DI SUPPORTO Questo è stato possibile grazie all'intervento delle milizie armate, facenti parte di quelle minoranze etniche inserite nel Consiglio delle Organizzazioni Democratiche da Aung San Suu Kyi ed escluse dal Myanmar per mano del generale Thwe. Si tratta delle etnie "Shan", "Karen" "Mon" e "Karenny" e sono loro che adesso difendono i Monaci e i manifestanti; sono loro che al momento sparano sulle milizie del dittatore. Purtroppo, si è reso necessario rispondere al fuoco, ma quantomeno non hanno dovuto farlo i Monaci pacifisti. L'entrata in campo dei gruppi armati ha anche un secondo fine e cioè quello di disperdere i militari che al momento assediano Rangoon, che costretti a coprire più zone, diventano più facilmente obiettivi vulnerabili. Resta alto il pericolo di una guerra civile, anche se il generale sta mano a mano perdendo potere. Molti dei suoi militari si sono rifiutati di sparare sulla folla e si sono addirittura sistemati al fianco dei manifestanti. L'unica via d'uscita al momento, resta il veto della comunità internazionale, sempre che Cina e Russia riescano a mettere momentaneamente da parte i propri interessi.