EARTH & SOCIAL

LAPIDATA


Mi chiamo Asha. Asha Ibrahim Dhuhulow e sono una ragazza somala di ventitrè anni. Lo ero. Quando ero bambina mio padre mi ha trovato marito e non appena il mio corpo s'è fatto a forma di donna con quel marito mio padre mi ci ha fatta accasare. Ero così giovane. Per qualche anno ho tenuto duro e ho fatto il mio dovere di moglie, anche se quel marito non lo amavo, anche se quella vita scelta da mio padre non era la mia. Chissà, io magari avrei studiato, avrei cercato il modo di vedere il mondo, di lavorare. Oppure semplicemente avrei aspettato l'amore a Chismaio, dove sono nata e dove ho sempre vissuto, per poi costruirmi con lui una vita serena e felice passo dopo passo, mattone dopo mattone, fatica dopo fatica. E invece no. Tempo fa in città ho incrociato uno sguardo che mi ha fatta vibrare. Tempo fa in città, mentre facevo la spesa al mercato, ho incontrato un uomo che mi ha fatto conoscere l'Amore e quell'amore è stato così forte, così impetuoso che per quell'amore ho rischiato la vita. Quell'uomo l'ho amato platonicamente, con tutta l'anima ma mai con il corpo. Qualcuno se n'è accorto e sono stata denunciata. In Somalia da due anni il governo transitorio ha tolto i poteri alle Corti islamiche ma da qualche tempo a questa parte il fondamentalismo è tornato forte. Ieri, senza aver sostenuto nessun processo, alcuni uomini sono venuti a prendermi nella mia casa di Chisimaio, la città dove sono nata e dove ho sempre vissuto; mi hanno coperto la faccia con un panno nero e mi hanno trasportato su di una jeep al centro d'una piazza dove c'era tanta gente che gridava: "a morte, a morte, a morte l'adultera, a morte la traditrice!"... Non appena mi hanno fatta scendere dall'automobile ho cominciato a dibattermi, a tirar calci e pugni, ma loro mi tenevano stretta e i miei calci e i miei pugni non facevano altro che alimentare la loro rabbia, il loro odio, il loro malsano senso di giustizia. Un mio parente è corso in mio soccorso e a quel punto gli aguzzini hanno iniziato a sparare, ad altezza d'uomo. È morto un bambino. S'è preso una pallottola che ha rovinato la giornata di festa dei suoi genitori, che l'avevano portato in piazza come in altri luoghi i bambini si portano al parco o al cinema. Per svagarsi, ma anche per scontrarsi con la vita, forse. In tutto quel trambusto i miei carcerieri hanno fatto quello che erano venuti a fare. Mi hanno buttata in una buca dove stavo giusto-giusto in piedi e mi hanno coperto di terra fino alla testa. E d'un tratto sulla mia faccia, sul mio giovane volto coperto dal panno nero, è cominciata una pioggia di pietre dure, spigolose, dolorose pietre scagliate da vicino con violenza immane, con ferocia disumana, da chissà quante persone. Persone... Forse perché era appena morto un bambino, forse per il mio giovane cranio delicato, per fortuna è durato poco. D'un tratto è finito tutto e su di me è scesa la pace. Ho volato per l'ultima volta sopra Chisimaio, la città dove sono nata, dove ho sempre vissuto e dove oggi sono morta, uccisa a sassate, lapidata senza pietà per aver amato. Somalia - 29 ottobre 2008