VerdeOro al Tramonto

a Roma, una domenica di qualche settimana fa..


 Cammino da ore per il centro di Roma, facendo lo slalom fra turisti, determinati e distratti, e selfies che affidano all’eternità  una domenica di sorrisi e baci fotogenici. Impossibile schivare la memoria di tanti polifemi digitali: mi sono chiesta in quali parti del mondo sarei finita, sia pure come presenza involontaria in un angolo di inquadratura … Attorno a me si snoda un delta ampio di folla primaverile e prematuramente smanicata, di pelli altrimenti bianchissime rosolate dal sole. Una babele di lingue che fioccano da ogni direzione e paese; mappe della città continuamente aperte, voltate a rintracciare un orientamento, chiuse. Piramidi colorate e colanti di gelato in equilibrio precario. Una piccola mostra in memoria del centenario del genocidio della popolazione armena in Anatolia. Un’imprevista sfilata di poche auto d’epoca bardate a festa, con tanto di clacson in libertà, lungo un rebbio del Tridente. In Piazza del Popolo, l’uomo delle bolle di sapone si esibisce come sempre circondato da esuberanti vandali urlanti.  Quelle delle sue creazioni che sopravvivono all’assalto dei bambinetti festosi si levano in fretta verso il cielo, per mettersi in salvo. Immancabili, lungo il percorso,  i fachiri che meditano sospesi  (e di cui ho già svelato  il mistero     )  Infine satura di tanto chiasso, movimento e luce, mi sottraggo all’entropia infilandomi in vicoli meno battuti. Basta scivolare in una strada parallela per immergersi in una penombra rassicurante. Improvvisamente intima. Poche vetrine ancora illuminate, piccoli ritrovi dagli allestimenti accattivanti, botteghe antiquarie con pezzi appartenuti a chi sa chi,  trofei ora solitari e tronfi ancorchè smarriti nella loro "orfanitudine", molte serrande abbassate nella chiusura domenicale, grigie di vernice e smog e siglate da incomprensibili graffiti urbani. La luce, nel setaccio delle facciate alte e addossate, già affievolisce nell'incalzare dell'ora serale. Il silenzio si fa nuovo, rarefatto, nemmeno intaccato dalle poche presenze umane. La città col fracasso del suo ansito meccanico di colpo è lontana, come nelle pagine di un altro racconto. Cammino con il naso all’insù: un rettangolo di cielo ancora chiaro appena sopra l’orlo delle terrazze, lungo quanto la via e altrettanto stretto, segna il sentiero delle mie perlustrazioni mentre cala su di me un’oscurità impalpabile, come una nube di talco cinerino che si addensi in basso. Sfioro con lo sguardo le facciate, seguendo - come impronte digitali - le piccole sculture d’ombra che gli ultimi raggi, ormai orizzontali,  strappano all’intonaco o agli stucchi. Graffiti preziosi svelano capolavori la cui trama è affidata alla ricostruzione minuziosa del passante occasionale e curioso. Grisaglie, ormai dilavate dal tempo e dalla pioggia, resistono come sbiaditi fantasmi di fastosi decori; l’incalzare delle figure accennate, condottieri e dame discinte, grottesche e glifi, ha i colori di un bozzetto  a matita tracciato su un foglio pasticciato dal passaggio di  numerose mani grossolane e distratte.   Il senso gramo della transitorietà delle cose che non risparmia nessun tesoro. Inghiotto saliva abrasiva per cancellare questa certezza amara. A volte una lapide ricorda personaggi famosi che lasciano traccia del loro passaggio come Pollicino. Altrove il richiamo severo di antiche sanzioni  per chi getta rifiuti non scalfisce il non-senso civico di chi imbratta, oggi come allora. Qualche finestra aperta offre inattesi dettagli: soffitti importanti, travi a vista, trionfi barocchi di putti e donzelle  rosee e svestite, cassettoni decorati con inserti dorati e nobiliari.. Frugo, camminando, in quei riquadri di vita aperti verso l’alto.. una luce accesa qua e là, per dar chiaro alla sera domestica, suggestioni di arredi. Immagino le vite che furono in quelle stesse stanze, mi interrogo su quelle che vi sono ora. Saranno felici? Una curiosità pungente e senza meta si lascia trasportare dai miei passi. L’aria quieta della sera mi avvolge, negandomi - in assenza di luci - quelle eleganti stilizzate ombre lunghe, tanto care agli etruschi.. mi pone un dito sulle labbra invitandomi a tacitare le mie querule inquietudini. Acconsento .. Sento il cuore farsi lieve, non c’è più nessun in strada, nessun rumore, nemmeno quello dei miei passi. Quasi grata per quel suggerimento che mi rallegra e gravida di un’incipiente euforia mi sento regina di una boule de neige che nessuna mano  ha capovolto, lasciando il paesaggio interiore limpido. Vicino una campanella batte le ore:  otto rintocchi… E sento di amare Roma di un Amore disparato e crudo.