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Andata e ritorno

Post n°276 pubblicato il 18 Maggio 2008 da falco58dgl
 

Pubblico il mio testo per il gioco narrativo "storia d'amore". Una storia d'amore che si consuma tra il lago Titicaca e Lima, nel Perù dei primi anni '80...

                                              (Marc Chagall)

Lima, 28 Luglio 1979

“Amore mio,

Sono tornata a Lima con una sensazione divisa. Sono stata così bene con te, che sull'autobus che mi riportava a casa ho pianto come un'adolescente che vive la sua prima passione amorosa. Certo, qui le cose da fare non mancano, ho presentato domanda per un incarico da assistente alla facoltà e ho buone speranze di entrare tra qualche mese, all'inizio del prossimo semestre accademico. Però, ripensando alle due settimane trascorse insieme, mi sono sentita invadere da emozioni che mi hanno scossa nel profondo.

 Ricordo le tue labbra che si dissetavano tra le mie gambe e quel desiderio di stare insieme, di fare insieme, di vedere le cose con uno sguardo condiviso. Sai, non è tanto il sesso che mi lega a te, quello è una conseguenza, mi piace quella febbre che ti porti addosso e che ti obbliga a cercare, a muoverti, a inseguire un sogno personale che forse nemmeno tu conosci in pieno, quella tua aria trasandata che ti rende simile a un viaggiatore che si sposta di continuo, interessato al percorso più che alla meta, la furia con cui mi prendi e mi fai capire che ti piaccio, ti sono necessaria. Ma più di tutto mi piace la tua impazienza, vizio che non ho mai sopportato prima negli uomini, il tuo vivere ogni attimo come se fosse l' ultimo istante della tua esistenza.

Penso a te e trovo la mia città vuota, anche se brulica di gente. Non ho mai scritto prima una lettera d'amore, quando ne ricevevo una diffidavo delle dichiarazioni appassionate, delle parole di circostanza, di quei grumi zuccherosi che si usano per celare i sentimenti veri. Forse perché io, che ne ero la destinataria, non provavo le stesse emozioni, ma più probabilmente perché le parole convenzionali nascondono passioni insincere e non volevo, a nessun costo, essere oggetto di un mezzo amore, di slanci dell'anima provocati solo dalla vicinanza dei corpi.

Ti ricordi quando siamo andati al tramonto in cima alla collina che domina il villaggio e il lago? Siamo rimasti assorti a guardare quei colori che, prima di svanire, s'accendevano in fulgori rossi, arancioni e viola. Tu mi stringevi e io mi abbandonavo contro di te, avrei voluto che quel momento si protraesse all'infinito, che non finisse, che fosse la materia del legame che ci tiene insieme. Quella sera mi sono sentita tua come non mi era mai successo, ne ho avuto paura, ho riso della ma paura, mi sono chiesta perché ridessi.

 Proprio in quel momento tu mi hai detto 'Scendiamo, inizia a far freddo' e ci siamo incamminati verso il paese, con un senso di pienezza che non aveva bisogno di parole. Sono felice di sapere che, fra quindici giorni, sarai qui per un primo bilancio della tua attività. Ti aspetto impaziente e ti mando un bacio forte".

Lima, 14 Marzo 1983

“Amore mio,

 Forse non dovrei chiamarti così, temo di rinnovare rimpianti e dolore, ma non riesco a iniziare questa lettera in altro modo. Non riesco a chiamarti con un’espressione diversa e in questo momento neanche il tuo nome, che pure mi viene in mente e custodisco nei miei pensieri, mi pare un esordio adeguato. Mi sono chiesta molte volte cosa ci è successo, perché si è logorato il nostro rapporto, come sia stato possibile che la stanchezza riuscisse a trionfare su un legame alimentato da affetto e non solo da desiderio. Non lo so e credo anche che cercare una spiegazione sarebbe vano, sarebbe come voler costruire un ponte di parole  su un fiume in secca.

 Sono stata bene con te, come non mi era  mai successo prima. Mi hai cercato con tenacia, hai aspettato che il mio bisogno di te crescesse poco a poco, senza forzarlo con le tue richieste e i tempi delle tue esigenze, mi amavi con irruenza e leggerezza. Ma quando mi hai avuta, quando sono entrata nella tua vita quotidiana, un po’ per volta, sei cambiato. Ti vedevo a volte stanco, assente, nervoso per cose che mi sembravano insignificanti, il traffico in città o un contrattempo sul lavoro.

Un giorno mi hai guardato da lontano e mi hai detto che sentivi la tua spinta vitale diventare  più debole, ti riusciva faticoso affrontare la vita. Quella sera abbiamo fatto l’amore in modo struggente, con un’intensità che da mesi non provavamo. Ma ho capito che il tuo sogno personale ti stava portando altrove, si stava attorcigliando in direzioni che ti risultavano ancora estranee e che io non avevo più un ruolo centrale nel tuo viaggio. Stavo diventando un elemento ordinario di una vita che trascinavi senza felicità, con pesantezza e non  ho potuto accettare il ruolo che mi avevi assegnato.

Certo, anch’io ho contribuito a far sì che questo succedesse. All’università spesso mi sentivo divisa tra due non voglie, tra due desideri negativi, quello di restare  nel mio piccolo ufficio a occuparmi di lavori accademici privi di interesse e quello di tornare a casa e incontrarti  mentre leggevi il giornale o bevevi una birra, di poche parole e con un filo di scontentezza che traspariva dal tuo sguardo. Vorrei dirti che mi spiace e, se servisse a qualcosa, ti chiederei scusa. Ma non tornerò indietro.

Ho scritto delle poesie, mi sono piaciute, le ho mandate a un premio letterario e ho vinto, con mio stupore. Voglio andare avanti così, facendo quello che  sento, senza cercare  mediazioni che mi avviliscano o scelte di compromesso che mi ritorneranno indietro intrise di rimpianto. Ma voglio anche dirti che conservi uno spazio speciale nella mia mente e che ti auguro, di tutto cuore, di trovare la tua strada e riprendere il tuo viaggio”.

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"DIECIMILA E CENTO GIORNI"
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(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)

 

LA RECENSIONE

usumacinta

DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO

Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.

E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.

Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.

Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.

 

 

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