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Ipertempo


Prima di pubblicare un frammento narrativo di "Ipertempo", testo che fa parte dei "Racconti del ripostiglio", voglio salutare con gioia la vittoria di Aung San Suu Kyi, leader del movimento democratico in Birmania, pacifista, vincitrice delle elezioni politiche nel 1990  annullate dal golpo di stato della giunta militare, imprigionata per più di 15 anni da un regime assassino e feroce e adesso  libera ed eletta con l'82% dei voti nel parlamento birmano. Un'icona delle speranze di un intero popolo troppo a lungo oppresso da una dittatura che ha schiacciato qualunque anelito di libertà e ogni diritto umano nel Myanmar. 
 Qualcosa torna, s’affaccia  alla mente come una silhouette di donna intravista da una finestra, il profilo di una ragazza che fa capolino per un  secondo sul balcone prima di spegnere le luci  e consegnare l’edificio intero a un’oscurità completa. Immagini ancora frammentarie, ma che iniziano a disegnare scene dotate di senso.Dalla prima casa, affittata in centro a un’altra, di proprietà, in una periferia nebbiosa e vuota, fatta di corsi ampi, cantieri di edifici in costruzione e alberi piantati di recente che lambivano aree industriali e terreni abbandonati. Gli anni del liceo, l’autobus preso di corsa alle 7 e 55, per arrivare qualche minuto prima delle 8 e 30 a varcare i cancelli della moderna struttura di vetro e cemento affacciata su un corso frequentato da prostitute, ferme sul ciglio della strada, davanti a condomini residenziali. Oscurità e silenzio, anni buttati via  a misurare la distanza dagli altri, la differenza nei confronti di coloro che affermavano i loro desideri attraverso pullover sportivi e giacche eleganti, ragazze  esibite, scopate raccontate e utilitarie guidate sul filo della maggiore età. La voglia feroce di scappare, di andar via, di bruciare la città nel proprio cuore, di dimenticarne le ceneri, di ricostruire altrove  una sensazione di precaria appartenenza.  L’università, il gran casino di quel periodo “dalle molte parole”, come ha detto qualcuno, l’illusione di partecipare a un movimento collettivo che avrebbe trasformato le nostre vite, se non  i rapporti di forza tra classi sociali di cui  eravamo figli ed eredi, impegnati a distruggere una “borghesia” di cui facevamo parte e che ci avrebbe riassorbito, anni dopo, nei suoi interstizi marginali.Le donne…il sesso così poco erotico di allora, discontinuo, occasionale, qualche passione consumata nello spazio di due mesi, il desiderio di  debordare, mentre percorrevo la distanza tra la facoltà, la casa, il mercato e la radio.  La voglia di esserci e contare e un disincanto precoce, forse la percezione della vanità, dell’effimero che s’insinuava nella ricerca di un lavoro, di una casa con riscaldamento e ascensore, di amicizie e affetti al di fuori del recinto del collettivo politico e degli esami studiati in gruppo.Guardarsi intorno e non sapere se proseguire verso  mete ignote, rimanere nel territorio incerto  del tirocinio e del volontariato o tornare  indietro verso il punto di partenza con l’espressione di chi ha giocato per cinque anni.Eppure, anche adesso che i ricordi emergono, sprizzano con la stessa forza di un getto d’acqua che fuoriesce da un idrante, avverto un alone di oscurità, qualcosa che non può neanche essere detto, se non attraverso allusioni negative, qualcosa che non è neanche buio, ma resistente alla luce, refrattario ai significati e alle spiegazioni, materiale inerte che non riesco a trasformare in eventi, emozioni, connessioni di senso.Mi rendo conto, all’improvviso, delle mie mani che stropicciano il biglietto con le istruzioni per continuare il gioco. Non saprei dire se le ho già lette e il flusso dei ricordi sia un prodotto di ciò che ho visto o  se, al contrario, la rievocazione del passato sia un elemento indispensabile per recepirne il significato.Volgo la sguardo verso il basso e rimango a bocca aperta mentre leggo una frase brevissima che non contiene indicazioni di luoghi o di orari,“ora tocca  a te”.W.