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LISBOA


Mentre scendo per la rua do Texeira verso il Rossio, penso che Lisbona è una città dove vorrei morire. Dal belvedere che domina il Bairro Alto un volo di uccelli pazzi interseca l’aria  e la frammenta di segni molteplici, compatti e leggeri. Scendo per la scalinata, addossandomi alle pareti screpolate, e vedo il tram a cremagliera che sale lento su da una parallela. Neanche la folla compatta di turisti, giovani vestiti di colori ripetuti, m’allontana da quella sensazione di  estraneità curiosa che segna i miei momenti più lieti. Passo davanti ad un ristorante che espone ai passanti una marionetta vestita da cameriere con un vassoio ed un bicchiere di vino. Impadronirsi del bicchiere, bere e fuggire, scendere giù  correndo, gridando parole felici.Invece mi fermo e guardo giù. La città è inghiottita dalla discesa, mi appresto ad entrare nel suo ventre. Una luce smorzata avvolge i  passi che mi portano verso le costruzioni neoclassiche della Baixa. Da lì, come in un gioco di specchi, vedi il castello di Sao Jorge ed il quartiere dell’Alfama, irto di strade piccole che declinano in  gradini di pietra, così scoscese che possono essere scalate solo  al calare del sole.Arrivo nella grande piazza del Rossio e cerco di evitare un mendicante con un volto da incubo, che staziona  sempre davanti allo stesso incrocio. Non ha la faccia, non ha più la faccia.. Solo un agglomerato di tessuti marroni che pende come una maschera di carne fino all’attaccatura delle spalle.Una donna mi guarda incuriosita, poi volta la testa dall’altra parte all’incrociarmi. Ho tempo, potrei bere un vinho verde e attendere il crepuscolo, pensando a questa città letteraria, a questo luogo dove  vorrei vivere i miei ultimi anni. Writerhttp://www.writer-racconti.org/